Concorso Neolaureati Eugenio Rosmann 2017 – Partecipanti
Tutti le tesi ricevute
Il premio dell’associazione Eugenio Rosmann è rivolto a studenti neolaureati e ricercatori universitari, al fine di promuovere e valorizzare la tutela dell’ambiente, della salute e della gestione del territorio.
Con il Patrocinio del Comune di Gorizia e del Comune di Monfalcone
Qui trovi la commissione giudicatrice
Qui trovi i vincitori del concorso
- Hydrogeochemical investigations for aquifers characterization and proposal of a new transmission protocol for the chemical and physical monitoring
Antonella Di Roma
Università degli Studi di Ferrara
Dottorato di ricerca in Scienze della Terra
Anno 2016
Questa tesi presenta i risultati di uno studio idrogeochimico sulla falda acquifera della pianura alluvionale nella provincia di Ferrara, come strumento per una migliore conoscenza del territorio. Le caratteristiche chimiche delle falde acquifere sono state indagare attraverso 343 analisi chimiche dei campioni di acqua (253 dal campionamento delle acque freatiche e 90 dal database regionale raccolti negli anni 2003-2015). La maggior parte delle acque hanno facies Ca-HCO3; scarse le facies NaCl, gruppi di campioni superficiali presentano una facies CaCl e NaHCO3 le acque profonde e alcune acque freatiche.
L'applicazione della statistica descrittiva dell’ analisi fattoriale alle analisi chimica ha permesso di identificare tre diversi gruppi di fattori che riducono il numero di attributi utili alla definizione dei raggruppamenti. Gruppo 1: comprendono campioni affetti da processi di scambio ionico; Gruppo 2: acque con pH basso e arricchite in metalli pesanti. Gruppo 3: campioni con alta concentrazione di HCO3.
I cambiamenti climatici come l'aumento delle temperature e la diminuzione delle precipitazioni rappresentano anomalie climatiche che si riflettono nella composizione isotopica di acque sotterranee. Questi cambiamenti climatici possono essere osservati mediante la presenza di isotopi pesanti nelle acque sotterranee (2H e 18O). L’ interpretazione dei parametri climatici e un approccio statistico-idrogeochimico per lo studio dei dati su acque sotterranee sono i metodi adottati in questa ricerca. Un approccio multidisciplinare è necessario per comprendere le alterazioni alle quali le acque sono sottoposte. La composizione isotopica delle acque è nel range -10,75; -6,03 per δ18O e, -71 3 - 43, 71 per δ2H. Ciò suggerisce un origine meteorica per l'acqua freatica. Gli approcci combinati di idrogeochimica e climatologia ci hanno permesso di rilevare i processi climatici che influenzano le risorse idriche del terreno in modo più preciso, e questi approcci rappresenteranno eccellenti strumenti di valutazione necessari per il controllo del bilancio idrico nella ricerca futura. I modelli geochimici sono stati usati per comprendere meglio le reazioni geochimiche che avvengono e spiegare la composizione delle acque. I maggiori cambiamenti nella composizione geochimica possono essere attribuiti a cambiamenti nella mineralogia e petrografia dei sedimenti: le acque profonde sono caratterizzate da una marcata presenza di HCO3 e basso Mg, l'acqua di superficie da un marcatore di Mg. Le acque freatiche a contatto con minerali argillosi ricevono il magnesio attraverso la lisciviazione di smectite / clorite dei sedimenti i quali hanno una capacità di scambio cationico in rapporto alla loro struttura cristallina (Ca, Na e Mg). Nelle reazioni osservate svolge un ruolo determinante scambio ionico tra Ca e Na e la risalita di acque provenienti da settori profondi le quali risalgono lungo faglie e fratture grazie alla diminuzione di densità dovuta a CH4 in soluzione. Il metano può derivare da fonti profonde e localmente dalla presenza di materiale organico che svolge un ruolo importante nello scambio di cationi da acqua / suolo il quale è stato osservato in un aumento della (capacità di scambio cationico) CEC.
Per facilitare le pratiche di acquisizione dei dati di monitoraggio nell’ambito di questo lavoro è stato messo a punto un nuovo sistema di trasmissione basato su ARDUINO. Questa scheda è stata connessa ad un antenna GSM che invia i dati direttamente a un database nel cloud in cui è possibile leggere i dati in tempo reale. Il lavoro geochimico ha rappresentato uno strumento utile alla identificazione dei siti in cui sarà interessante posizionare il sistema di monitoraggio al fine di integrare la già esistente rete regionale in continuo con l'introduzione di nuove tecnologie. L'uso di questo strumento di gestione a basso costo e di facile utilizzo permetterà di migliorare la gestione delle risorse idriche.
- Accrescimento e accumulo di metalli pesanti in piante alimurgiche del Veneto
Cristian Dal Cortivo
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Agrarie
Anno 2014
L’inquinamento da metalli pesanti sta assumendo negli ultimi anni un’importanza rilevante in termini di rischio ambientale e di salute pubblica. Molti terreni agricoli ricevono quantità crescenti di metalli tossici attraverso la fertilizzazione, la difesa fitosanitaria e l’impiego di acque d’irrigazione contaminate, e la non degradabilità di questi inquinanti rende la contaminazione permanente. Alcuni metalli come cadmio e piombo sono dannosi sia per gli organismi vegetali e animali, uomo incluso; altri invece, come cobalto, rame e zinco sono essenziali, ma divengono tossici oltre una determinata soglia.
Nel presente studio, condotto sia in ambiente controllato (vaso) che in alcuni siti della provincia di Padova, è stata accertato un buon accumulo di metalli in specie alimurgiche poliennali appartenenti alle famiglie delle Asteraceae (Cichorium intybus L., Sonchus oleraceus L., Taraxacum officinale L. e Tragopogon porrifolius L.) e delle Polygonaceae (Rumex acetosa L.), utilizzate ancor oggi come piante mangerecce, ed oggetto di rilancio su scala regionale in alcuni programmi di conservazione, tutela e valorizzazione della biodiversità.
La sperimentazione ha inteso verificare la capacità di accumulo di metalli essenziali (Co, Cu, Zn) e xenobiotici (Cd, Pb) nei vari organi della pianta in presenza di un arricchimento artificiale nel terreno o in siti a rischio di inquinamento, al fine di valutare i potenziali rischi alimentari o la biofortificazione, e il loro possibile impiego nelle tecnologie “verdi” di bonifica.
Le specie saggiate hanno evidenziato una buona tolleranza alla contaminazione da metalli pesanti, in termini di accrescimento epigeo e di stato nutrizionale (SPAD, contenuto di clorofilla), mentre è stata osservata una marcata diminuzione dell’accrescimento radicale di T. officinale e S. oleraceus. Discreta è risultata la capacità estrattiva, ma non sufficiente per poterle ritenere piante iperaccumulatrici. L’elevata traslocazione alla parte aerea di Cd e Zn (coefficiente di traslocazione di 2,6 e 2,3 rispettivamente) suggerisce un loro possibile impiego nella fitoestrazione di questi metalli, specialmente di T. porrifolius e C. intybus, mentre il discreto accumulo di Pb e Cu nelle radici fittonanti (rispettivamente 15,6 e 85,7 mg kg-1) ne suggerisce una possibile applicazione nella fitostabilizzazione in planta. R. acetosa e T. officinale hanno mostrato il più elevato assorbimento di metalli (1,5 e 0,6 mg per pianta, rispettivamente). Considerando una densità di 15-20 piante m-2 di R. acetosa, o di 40-60 per T. porrifolius, possono essere assorbiti fino ad un massimo di 230 g di metalli per ettaro.
I siti indagati nella provincia di Padova (ex-discarica di Roncajette - Ponte San Nicolò, fosso campestre - Montà, ciglio Strada Romea - Legnaro) generalmente non sono risultati contaminati, ad accezione del bordo strada di Legnaro, caratterizzato da elevati livelli di Pb, Cu e Zn. Nonostante i livelli modesti di inquinamento da metalli nella ex-discarica di Roncajette, T. officinale si è arricchito di Cd e Pb nella parte epigea, mentre il fittone ha accumulato elevati livelli di Cu.
Il naturale arricchimento in minerali essenziali quali Zn e, in misura minore Co, può rappresentare un aspetto positivo nella biofortificazione vegetale. Tuttavia il contenuto di Pb e Cd nelle foglie, risultato in vaso generalmente superiore alle soglie massime ammesse dall’UE, renderebbe pericoloso il consumo continuativo di queste piante se cresciute in ambienti contaminati.
- Indagine sull’inquinamento da metalli pesanti e altre sostanze xenobiotiche nel comprensorio monfalconese
Daniel Marusig
Università degli Studi di Udine
Dipartimento di scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali Corso di Laurea Triennale - in Scienze per l’Ambiente e la Natura
Anno 2016
L’interesse nei confronti dell’influenza sull’ambiente e la salute umana da parte dell’impatto inquinante dell’industria monfalconese, ha fatto sì che la pressione sociale abbia spinto le istituzioni ad effettuare degli studi ad hoc per verificarne l’effettiva entità. Tra le varie aziende situate sul territorio l’attenzione si è focalizzata sul cantiere navale “Fincantieri” e la centrale termoelettrica “a2a”, ritenute le attività a maggior incidenza.
Al momento della stesura dell’elaborato, gli studi soggetti a pubblicazione mediante relazioni ufficiali sono stati tre. Per ognuno di questi è stata utilizzata una delle tre principali tecniche d’indagine del settore, permettendo così una visione d’insieme mediante più punti di vista. Le indagini in questione sono:
- Un’indagine epidemiologica condotta dal Gruppo di lavoro dell’Osservatorio Ambiente e Salute del Friuli Venezia Giulia (OAS FVG), per la valutazione dell’incidenza di tumori e altre patologie riconducibili alla presenza di inquinanti, basata sulle malattie diagnosticate in zona dal 1995 al 2009;
- Un’indagine strumentale del 2014 eseguita da ARPA FVG mediante una campagna straordinaria di monitoraggio degli inquinanti, in cui si è approfittato del blocco operativo della centrale a2a per valutarne l’effettivo ruolo come fonte emissiva;
- Uno studio di biomonitoraggio del 2014 condotto da ARPA FVG, in collaborazione con il Gruppo di Ricerca del “Dipartimento di Scienze della Vita” dell’Università degli Studi di Trieste, con cui si è analizzato l’accumulo di metalli in due specie di licheni epifiti.
Dai risultati dell’indagine epidemiologica, è stata messa in evidenza una correlazione tra la centrale termoelettrica e l’insorgenza di cancro alla vescica nelle donne, in particolare per quanto riguarda l’esposizione ad Azoto Diossido (NO2/N2O4). Gli autori dello studio tuttavia, escludono questa relazione, poiché dall’analisi dei modelli diffusionali, emerge essere il traffico a svolgere il ruolo predominante nell’insorgenza di tumori; le restanti sorgenti in analisi si qualificano come cause minori.
Lo studio strumentale è stato pubblicato da ARPA FVG all’interno del “Rapporto annuale sulla qualità dell’aria nel Comune di Monfalcone” relativo all’anno 2014, una cui parte specifica riguarda una campagna straordinaria di monitoraggio eseguita in concomitanza col blocco operativo della centrale termoelettrica a2a. Le analisi strumentali hanno messo in evidenza che le concentrazioni degli inquinanti si collocano all’interno dei valori limite fissati per legge. Unico elemento anomalo è il Cromo, presente in quantità nettamente superiori a centrale termoelettrica accesa, rispetto il periodo di inattività. Nonostante le pecche metodologiche dello studio, ARPA FVG attesta che a2a non svolge un ruolo significativo sull’alterazione della qualità dell’aria.
L’indagine di biomonitoraggio si è proposta di analizzare la presenza di 17 metalli, mediante lo studio di materiale lichenico e di alcuni campioni di suolo, confrontando i risultati con un modello di ricaduta delle polveri elaborato dal Centro Regionale di Modellistica Ambientale di ARPA FVG per la centrale termoelettrica. È stata rilevata la presenza di inquinanti in zone più periferiche rispetto quelle individuate dal modello di ricaduta, ciò nonostante le concentrazioni rientrano all’interno di classi di naturalità alta o molto alta. Da tenere in considerazione per possibili risvolti tossicologici sono: Arsenico, Cromo, Piombo e Vanadio, di questi As e V sono noti traccianti della combustione del carbone minerale, motivo per cui si presuppone una correlazione con l’attività della centrale termoelettrica.
Da quanto riportato dai vari studi, emerge un quadro generale condiviso del rispetto dei parametri imposti dalla legislazione italiana, tuttavia non è chiara l’effettiva incidenza dell’industria sull’inquinamento. È evidente la necessità di un ulteriore studio che confermi o smentisca in maniera univoca le conclusioni delle indagini proposte, quantificando l’effettivo rischio a cui sono sottoposti la popolazione e gli ecosistemi presenti sul territorio.
- Dinamica della copertura vegetale a seguito di interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica del sistema dunale della spiaggia della Sterpaia, Piombino (LI)
Elena Tondini
Università degli Studi di Pisa
Dipartimento di Biologia - Corso di Laurea in Conservazione ed evoluzione
Anno 2016
Dinamica della copertura vegetale a seguito di interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica del sistema dunale della spiaggia della Sterpaia, Piombino (LI)
Il sistema dunale dell’A.N.P.I.L. “La Sterpaia” (Piombino, Li) e la vegetazione psammofila a esso associata risultavano estremamente danneggiati e frammentati a causa dell’erosione marina e delle attività connesse al turismo balneare.
Tramite l’utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica, unito all’impianto artificiale di specie psammofile autoctone si è tentato di ricostituire la morfologia dunale e di raggiungere nuovamente un certo grado di naturalità.
Durante la stagione vegetativa del 2014, 2015 e 2016 sono stati raccolti dati relativi al livello di sopravvivenza delle specie impiantate e alla loro copertura.
Il presente lavoro di tesi ha analizzato i seguenti aspetti: 1) l’evoluzione temporale della composizione floristica e relativa copertura nelle celle di impianto artificiale; 2) il contributo della vegetazione di impianto all’attuale composizione floristica della duna mediante comparazione di aree che hanno subito l’impianto e aree di riferimento; 3) l’effetto delle diverse opere di ingegneria naturalistica sulla copertura totale e sul numero di specie all’interno delle celle.
I risultati hanno evidenziato un aumento della copertura totale accompagnato da una diminuzione di biodiversità, dovuta alla scomparsa di specie ruderali e sinantropiche, tipiche di ambienti disturbati. Si è verificata inoltre una sostituzione di erbacee annuali da parte di specie perenni, la duna ha quindi raggiunto un buono stato di consolidamento e stabilizzazione in cui specie perenni sono maggiormente competitive. In conclusione comunità vegetali presenti all’interno delle celle, che nel 2014 si presentavano come un mosaico misto di specie ad ampia distribuzione, ruderali, specie tipiche delle linee di deposito o del retroduna, si sono differenziate raggiungendo una certa similarità con le comunità naturali delle dune mobili embrionali descritte dalla Direttiva Habitat. Il monitoraggio ha evidenziato che le specie scelte per il ripopolamento si sono affermate già dopo 3 anni, presentando una buona sopravvivenza, con l’eccezione di Ammophila arenaria che, essendo una specie maggiormente tipica di dune più consolidate, probabilmente non ha trovato le condizioni ambientali idonee alla sua sopravvivenza. Nonostante questo lo studio ha evidenziato che la copertura di Ammophila arenaria, Eryngium maritimum e Pancratum maritimum è significativamente maggiore all’interno delle celle di impianto rispetto all’esterno, indicando l’efficacia del ripopolamento.
In un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica è stato scelto di non intervenire nei tratti di costa meno danneggiati con opere complesse e costose, bensì di operare con un principio di parsimonia realizzando opere con grado di protezione basso in zone poco danneggiate, agendo invece con interventi maggiormente strutturati in zone più compromesse. Queste differenze iniziali nello stato di conservazione delle dune e della loro vegetazione sono riscontrabili nel 2014, a pochi mesi dalla conclusione dei lavori, per ognuno dei parametri analizzati (copertura totale, ricchezza specifica, indice di Shannon). Negli anni successivi si ha un’attenuazione di queste differenze, il che dimostra come tratti di costa maggiormente degradati, se protetti mediante opere adeguate al grado di minaccia, possano uniformarsi ai tratti maggiormente conservati.
- L’inquinamento da PFAS in provincia di Vicenza. Metodi di valutazione economica del danno ambientale.
Eleonora Rigo
Università degli studi di Padova
Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M. Fanno”
Corso di laurea triennale in Economia
Anno 2017
In seguito alla comunicazione del Ministero dell’Ambiente circa la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque delle province venete di Vicenza, Verona e Padova, l’ARPAV e il Centro Nazionale di Ricerca hanno iniziato una serie di analisi e campionamenti che hanno permesso di mappare con dettagliata precisione la situazione dei bacini idrici della zona. Ciò che è emerso risulta particolarmente allarmante.
La salute dei cittadini ha subito richiamato le prime attenzioni, dal momento che queste sostanze sono bioaccumulabili, persistenti e soprattutto tossiche. Numerosi studi, infatti, sono stati finanziati negli anni successivi, al fine di capire concretamente i rischi a cui per anni è stata esposta la popolazione di queste province.
Un’altra conseguenza estremamente rilevante, che però è decisamente passata in secondo piano, riguarda il danno che questo fenomeno di inquinamento ha causato all’ambiente naturale. Non si tratta solo della contaminazione della risorsa idrica, bensì questo risulta essere un problema più vasto, che ha compromesso e continua a compromette prodotti agricoli, bestiame da allevamento, prodotti caseari e avicoli. L’uso potabile dell’acqua resta in ogni caso il più grave e danneggiato, con danni non solo in termini sanitari, ma anche in termini economici, sia per i piccoli consumatori privati, sia per le grandi aziende che gestiscono il servizio di approvvigionamento idrico.
Questo elaborato si propone dunque di analizzare il fenomeno di inquinamento da PFAS con una chiave economica e monetaria. Sulla base della letteratura in materia di economia ambientale, ricordando brevemente i metodi proposti per questo tipo di analisi, si cerca infatti di tenere in considerazione i vari usi delle acque contaminate al fine di stimarne le conseguenze monetarie.
- Indagine sull’impatto di Myocastor coypus (nutria) lungo i canali di irrigazione della pianura veneta
Francesca Breda
Università degli Studi di Padova
Dipartimento agronomia animali alimenti risorse naturali e ambiente - Dipartimento territorio e sistemi agro-forestali
Corso di laurea magistrale in Scienze e tecnologie agrarie
Anno 2017
Il Myocastor coypus (nutria), classificata tra le 100 peggiori specie invasive al mondo e ampiamente diffusa nella penisola italiana, risulta essere un roditore che danneggia, oltre alle colture agricole, anche manufatti e opere di regimazione idrica. Nonostante le attività di contenimento messe in atto dalle autorità locali, il Myocastor coypus continua ad ampliare il proprio areale di diffusione, aumentando l’importanza economica e sociale del suo impatto.
Manca in questo senso una quantificazione reale sia degli animali che dei danni ad essi attribuiti, dal momento che lo stato delle conoscenze rimane confinato ai proprietari dei fondi o a chi esegue opere di manutenzione dei manufatti.
Questo lavoro di tesi è finalizzato ad una raccolta delle notizie sulla diffusione di questo animale in Veneto e alla quantificazione dei volumi erosi dai roditori negli argini (correlati alla presenza di tane, camminamenti, ripetuti passaggi) utilizzando una metodologia di rilievo a basso costo. Sono state considerate 4 differenti aree di studio localizzate nella Provincia di Padova. Per il monitoraggio e la quantificazione dell’erosione correlata alla presenza di roditori è stato usato una recente tecnica fotogrammetrica nota come Structure from Motion, che consiste nella creazione di un modello 3D di un oggetto o superficie impiegando foto prese da camera e da angolazioni diverse. Il modello 3D è stato poi processato in ambiente GIS per la quantificazione dei m3 di suolo eroso.
Infine è stata proposta una valutazione economica della portata del problema, di gran lunga superiore ai costi sostenuti per la campagna messa in atto in Inghilterra che ha consentito l’eradicazione della specie, e i costi per metro lineare per il ripristino di una sponda in caso di frana.
- Giardino di fabbrica: progetti di paesaggio nelle aree industriali produttive
Francesca Ravasin
Università IUAV di Venezia
Master Universitario annuale di II livello in Architettura del Paesaggio e del GiardinoAnno 2016
Partendo dal presupposto che l’Italia è un Paese dalla grande capacità manifatturiera, costellato di aree produttive e siti industriali più o meno estesi e tipologicamente diversi fra loro, sia in area metropolitana che in ambito periurbano, si è voluto analizzare il paesaggio in rapporto ai siti industriali. Lo scopo della ricerca è stato quello di indagare come il paesaggio possa essere la chiave giusta per migliorare e integrare queste aree, che a causa dei piani di zonizzazione sono state emarginate dalla città e non hanno alcuna relazione con essa. Partendo dallo studio sugli scritti e riflessioni di Pietro Porcinai riguardo al tema del Giardino di Fabbrica e del suo progetto per la riqualificazione ambientale dello stabilimento Italsider di Taranto, si è giunti fino ai giorni nostri con l’analisi di due progetti contemporanei nei quali si è trovata applicazione a quello che già teorizzava lo stesso Porcinai più di sessant’anni fa. I progetti sono stati analizzati per quello che concerne l’oggetto di studio, si è volutamente tralasciato l’aspetto compositivo. Per uno dei due progetti si è poi intervistato il committente, un industriale, per capire quali sono oggi le motivazioni che spingono un imprenditore ad investire sull’ambiente e sui suoi dipendenti. Si è voluto inoltre accennare a quali sono ora la attuali normative a livello nazionale riguardo ai siti industriali (APEA) e cosa prevedono a livello globale i trattati internazionali sui cambiamenti climatici.
Per meglio comprendere la tematica oggetto di ricerca, è stata condotta inoltre un’intervista all’urbanista Josep Acebillo e una alla paesaggista Laura Zampieri, per capire anche quale possa essere oggi, il ruolo del paesaggista, in termini ambientali ma anche sociali.
- Cartografia e valutazione dello stato degli habitat attraverso la componente vegetale del Lago di Doberdò
Francesco Liccari
Università degli studi di Trieste
Corso di laurea magistrale in Biologia ambientale curriculum terrestre presso il dipartimento di Scienze della VitaAnno 2015
Il Lago di Doberdò (assieme al Lago di Pietrarossa e Sablici) fa parte di uno dei più importanti esempi di idrologia carsica presenti in Italia e in Europa.
Sebbene esso non sia eccessivamente esteso, al suo interno coesistono delle situazioni ambientali molto differenti, date dalla diversa esposizione, dall’acqua e dalla sua permanenza sul terreno, dalla pendenza e dall’ombreggiamento, che fanno sì che l’area sia ricca di comunità vegetali.
Tuttavia la biodiversità vegetale è minacciata da più fattori: il primo è rappresentato dal progressivo interramento, evoluzione naturale di qualsiasi lago, accelerato però dallo stato di abbandono attuale; il secondo è rappresentato dalle specie vegetali aliene invasive.
Proprio per consentire di valutare l’entità di tali minacce è stato eseguito questo studio, che vuole offrire un’analisi degli habitat naturali e del loro stato di conservazione, sulla base della componente vegetale, con i seguenti principali obiettivi:
- la creazione di alcune ortofoto di dettaglio, ottenute dall’unione di centinaia di immagini scattate da un drone;
- la digitalizzazione di una mappa vettoriale, basata sulle ortofoto, che rappresenti e descriva le comunità vegetali presenti nell’area;
- la valutazione dello stato degli habitat attraverso la componente vegetale;
- lo svolgimento di un campionamento all’interno delle comunità più igrofile del lago, per valutare quali siano le specie esotiche più frequenti e gli habitat più colpiti.
Tale lavoro inoltre vuole fornire le conoscenze scientifiche di base per la predisposizione di un progetto futuro di recupero e gestione ambientale, per il quale si sta chiedendo un finanziamento europeo.
- Legge e caso: il riuso dell’archeologia industriale lungo il fiume sile
Gian Maria Casadei e Marco Bolsieri
Università IUAV di Venezia
Anno 2017
Alla luce dall’assunto “la legge genera il caso”, scaturita dall’osservazione del territorio, dalla comprensione delle normative dell'Ente Parco Naturale Regionale del fiume Sile e dei comuni rivieraschi, dall’esperienza sul campo, si prende in considerazione il fiume Sile quale evidenza geografica da valorizzare, considerando il territorio all’interno dei confini dell’Ente Parco, secondo un’accezione fisica e non giuridica, in senso opposto a quanto avviene oggi, come evidenziato da Carlo Olmo: “Vale solo forse la pena di sottolineare come nel corso del Novecento il confine diventi sempre più da fisico a giuridico. Sempre più raramente i due confini coincidono (aiutando a spiegare forse l’odierna, scarsa comprensione dello spazio persino tra autorità)”.
Come è possibile immaginare una città futura se il presupposto da cui partire è quello del caso?
A tale casualità contribuisce in modo determinante la normativa urbanistica, priva di una matrice progettuale e distaccata dai problemi locali, incapace di una visione generale, che tenga conto del fiume quale infrastruttura geografica, ossessivamente tassonomica nel descrivere un paesaggio che andrebbe invece considerato attraverso l’incrocio tra visione zenitale e prospettica.
Per chiarire meglio vale la pena rileggere quanto scrive Antonio De Rossi a proposito dell'incrementalismo: “[...] Un primo fattore di crisi è indubbiamente determinato dall'incrementalismo, e dalla stessa velocità delle trasformazioni. La costruzione incrementale del territorio mina alla base un'idea di progetto che ha nel suo codice genetico come primo obbiettivo il compimento e l'autorealizzazione del proprio disegno formale [...]”.
Parimenti la filosofia dello sfruttamento ha inevitabilmente guidato le dinamiche economiche del XX secolo, secondo una visione miope, fondata sull’inesauribilità delle risorse di questo territorio.
Presa coscienza dell’infinitezza dei problemi, appare necessario un restringimento del campo di analisi, elaborando un pensiero selettivo, in grado di proporre, a partire da una visione generale, una strategia che prediliga un intervento per punti.
L'attenzione è posta in particolare nel brano di paesaggio delimitato a nord dal nucleo urbano di Treviso ed a sud dalla laguna.
La casualità, la visione incrementale e lo sfruttamento intensivo sono i tre setacci attraverso i quali il territorio del Sile viene messo al vaglio, configurando l’immagine della “maceria”, emblematica per comprenderne il carattere frammentario e di abbandono.
Il carattere di maceria si manifesta in tre configurazioni spaziali differenti: capannoni, aree pubbliche e cave.
I capannoni impediscono l’accesso al fiume. L’industrializzazione di nuova generazione non ha tenuto conto del cambio di rotta avvenuto nelle dinamiche logistiche e del trasporto dei materiali, con uno strascico inerziale rispetto alle forme di proto-industrializzazione, la cui ragione di essere s’identificava con il Sile. Ciò ha generato l’insediamento di cortine di capannoni che impediscono il collegamento trasversale tra l’abitato ed il fiume. Eloquente risulta la negazione del rapporto con l’acqua, intesa non come elemento di qualità, bensì confinata a retro di agglomerati industriali. Il progetto è indirizzato al recupero dell’antica relazione con l’acqua, ponendo l’accento sull’accessibilità e la percorrenza lungo le sponde fluviali, impedita dall’impropria collocazione di edifici industriali o artigianali.
Le aree pubbliche, casualmente collocate e talvolta inaccessibili, risultano scevre da un disegno sistemico, configurandosi piuttosto come esito dell’applicazione di norme urbanistiche, nonché spazi di risulta. Spesso aree messe a disposizione dei comuni da parte di privati, si caratterizzano per frammentarietà ed inadeguatezza della collocazione rispetto all’accessibilità. Necessario è mettere in tensione queste aree, ripensando alle connessioni, in particolare al ruolo della pista ciclabile come elemento di cucitura.
Le cave, attive ed inattive, costituiscono un’evidenza fisica che ha profondamente segnato il territorio, tendenza alimentata da una visione che non considera le risorse locali come esauribili. Emblema della violenza umana sul paesaggio, attraverso progressive asportazioni ed estrazioni di materiale al fine di assecondare ragioni di natura economica, le cave, si presentano come spazi privi di qualità a cui conferire nuova identità. Obiettivo è la risemantizzazione del loro ruolo all’interno del paesaggio.
Il progetto propone il riuso dei manufatti di archeologia industriale e delle cave, considerando la collocazione e l’importanza del reperto, l’accessibilità, le relazioni intrattenute con il fiume e con le aree pubbliche: un’idea che rigetta il concetto di rifondazione, volgendo piuttosto, nella direzione della ricostruzione di un mondo già esistente, ma frammentario, pensando il progetto come strumento d’interrogazione puntuale dei luoghi.
Le tre aree oggetto di approfondimento si trovano nei comuni di Silea, Casier e Casale sul Sile.
- Applicazione di un nuovo metodo di monitoraggio di Morimus asper/funereus, specie protetta dalla Direttiva Habitat: caso di studio nel Parco Naturale Regionale delle Prealpi Giulie
Giulia Leonarduzzi
Università degli Studi di Udine
Dipartimento di scienze agroalimentari, ambientali e animali
Corso di laurea in scienze per l’ambiente e la naturaAnno 2016
Il presente studio ha lo scopo di testare l’efficacia di un nuovo metodo per il monitoraggio del coleottero Morimus asper/funereus nel Parco Naturale Regionale delle Prealpi Giulie. Questo permetterà di aumentare la conoscenza delle caratteristiche autoecologiche della specie nell’area in esame e di sviluppare adeguate strategie di conservazione.
Morimus asper/funereus è un coleottero saproxilico incluso nell’allegato II della Direttiva Habitat (92/43 CEE) e indicato nella lista rossa dei coleotteri saproxilici italiani come specie vulnerabile. Appartiene alla famiglia dei Cerambicidi, sottofamiglia Lamiinae. È una specie attera, presenta elitre scure e granulose con macchie nere, più o meno, evidenti.
Dal punto di vista ecologico la specie colonizza gli ambienti forestali, dal piano basale al piano montano fino a 1800 m s.l.m., prediligendo le foreste ben strutturate con un abbondante presenza di “legno morto” di grosso diametro. Il ciclo di sviluppo larvale avviene a carico del legno di diversi generi di latifoglie.
In Italia la specie Morimus asper è diffusa in tutto il territorio nazionale. La "forma" Morimus asper funereus è presente solo nella porzione nord-orientale della regione Friuli Venezia Giulia, compreso il territorio del Parco delle Prealpi Giulie; a ovest del corso del Tagliamento è sostituita dall’affine Morimus asper asper.
Lo studio, che rientra nelle attività del Progetto Life MIPP, è stato condotto in una particella forestale a faggeta della proprietà silvo-pastorale del Comune di Resia, situata in località Starmiza. Per il monitoraggio della specie sono state allestite, tra il 3 e il 4 maggio 2016, 21 cataste di legno costituite da tre specie arboree (Fagus sylvatica, Fraxinus excelsior e Picea abies) (sette cataste per ciascuna specie arborea), con lo scopo di valutare la capacità attrattiva e stabilire la specie arborea più idonea per l’allestimento delle stesse ai fini dello sviluppo di adeguati protocolli di monitoraggio.
Le cataste sono state monitorate una volta a settimana, nella fascia oraria compresa tra le 18.00 e le 20.00, nel periodo compreso tra il 17 maggio 2016 e il 12 agosto 2016, per un totale di 13 controlli.
In sintesi dallo studio è emerso che:
- La specie arborea più attrattiva per gli adulti di M. asper funereus,è rappresentata dal faggio, seguita dal frassino maggiore;
- Il periodo di attività della specie, considerate le specifiche condizioni microclimatiche dell’area, è compreso tra la fine di maggio e l’inizio di agosto;
- È stata evidenziata una correlazione positiva tra presenza della specie sulle cataste e la temperatura media giornaliera;
- Le cataste rappresentano un efficace mezzo di monitoraggio della specie in esame, ma anche di altre specie di estrema importanza come Rosalia alpina (Allegato II della Direttiva Habitat) e altri rari coleotteri saproxilici.
- Relazioni tra zootecnia montana e servizi ecosistemici: il caso della Provincia di Trento
Ilaria Dal Molin
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di riferimento: Territorio e Sistemi Agro-Forestali
Corso di Laurea specialistica in Scienze Forestali ed AmbientaliAnno 2017
Identificare ed interpretare l'eterogeneità del comportamento degli allevatori sta diventando sempre più importante per sostenere gli obiettivi politici e decisionali.
Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare nell’area della Provincia di Trento: (1) le percezioni dei diversi stakeholders (allevatori, politici, tecnici ed operatori turistici) sui diversi aspetti dei sistemi zootecnici di vacche da latte in rapporto con l'ambiente, (2) gli obiettivi ed i comportamenti degli allevatori, (3) la relazione tra questi elementi, ed (4) il collegamento tra gli obiettivi e le reali pratiche gestionali dell’azienda zootecnica.
Le attitudini, gli obiettivi ed i comportamenti degli allevatori sono stati analizzati utilizzando una combinazione di Principal Component e Cluster Analysis che sono state applicate alle risposte alle domande di un questionario face-to-face. Gli intervistati sono stati classificati in tre profili: allevatori imprenditoriali (cluster 1, 7 allevatori), allevatori tradizionalisti (cluster 2, 14 allevatori) e allevatori pianificatori (cluster 3, 25 allevatori).
I risultati hanno mostrato che il Cluster 1 raggruppa gli allevatori che sono interessati a migliorare la qualità della vita attraverso la diversificazione, che gli allevatori assegnati al Cluster 2 considerano importanti le questioni come i problemi ambientali e l'auto-efficienza dell’azienda, e che gli allevatori del Cluster 3 hanno invece una visione più ampia sulla gestione dell’azienda, considerando di grande importanza tutti gli aspetti riportati nelle affermazioni.
Il rapporto tra i gruppi di cluster e le variabili comportamentali significative è stato poi analizzato. Un punto interessante che abbiamo trovato nella nostra indagine è che alcuni comportamenti, come "andare in vacanza", sono confermati dal valore sugli obiettivi, confermando così alcune previsioni che avevamo fatto prima di iniziare il nostro studio.
Per alcune questioni relative al rapporto tra agricoltura e ambiente gli allevatori dei tre cluster hanno mostrato differenti pratiche gestionali.
I risultati suggeriscono che la conoscenza dei profili comportamentali degli allevatori potrebbe sostenere politiche che diano risposte più mirate agli obiettivi ed alle preoccupazioni degli allevatori. Tuttavia, sono state trovate somiglianze anche tra i profili, il che suggerisce che il comportamento degli allevatori sarebbe meglio interpretato come un insieme dinamico di identità, piuttosto che come dei profili statici.
- La pericolosità da valanga calcolata e visualizzata - Un modello numerico-geografico
Luca Iacolettig
Università degli Studi di Udine e Università degli Studi di Trieste
Corso di Laurea magistrale in scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorioAnno 2016
I bollettini valanghe informano sul pericolo di valanghe in maniera qualitativa, iconografica e testuale, senza un’evidenza geografica dettagliata delle zone realmente pericolose. Nel tentativo di superare questa limitazione, è stato sviluppato un modello numerico per visualizzare e quantificare automaticamente le zone pericolose previste dagli esperti, offrendo loro un supporto oggettivo.
Il modello, infatti, calcola la predisposizione al distacco di valanghe a lastroni secondo le condizioni nivometeorologiche del momento. I parametri del modello, frutto dell’estensione di un algoritmo esistente, sono stati determinati analizzando i bollettini e mediante un’indagine rivolta a professionisti del settore. Sono stati integrati la stabilità del manto nevoso, le esposizioni e le quote ritenute più pericolose, e una maschera della copertura nevosa dai limiti variabili; inoltre, il modello calcola la frazione dei pendii ripidi più pericolosi in un’area. I casi di studio riportati illustrano le differenze rispetto al modello originale. Non sono tuttavia considerate le valanghe a debole coesione, né lo studio reologico della dinamica delle valanghe: in futuro, la ricerca dovrebbe integrare questi fattori e, migliorati i parametri ed effettuate più simulazioni, il modello andrà validato per renderlo pienamente operativo.
Parole chiave: valanga, sistemi informativi geografici (GIS), pericolosità, manto nevoso, modellazione
- La riproduzione di Procambarus clarkii (Girard, 1852) in Friuli Venezia Giulia: monitoraggio e studio del ruolo fisiologico dell’ormone gonado-inibitorio per il contenimento numerico della specie
Luca Peruzza
Università di Pisa
Corso di Laurea Magistrale - Biologia MarinaAnno 2013
Procambarus clarkii è un crostaceo decapode proveniente dagli Stati Uniti meridionali, noto come gambero killer. È una specie aliena invasiva diffusa in tutta l'Europa. P. clarkii rappresenta un problema serio per gli ecosistemi, in quanto è capace di alterarli in maniera significativa, causando un'importante riduzione della biodiversità sia animale che vegetale.
In letteratura gli studi sulla biologia riproduttiva di P. clarkii provengono principalmente da Spagna o Portogallo, mentre invece, in Italia, tale attività è stata svolta prevalentemente nella regione Toscana. Per approfondire le conoscenze sulla riproduzione delle popolazioni che abitano i corsi d'acqua della regione FVG, tramite campionamenti in natura è stata avviata un'attività di monitoraggio presso la zona di bonifica del Canale del Brancolo (GO) durante il presunto periodo riproduttivo di questa specie. Dal monitoraggio è emerso come il periodo di riproduzione della popolazione in esame differisca rispetto alle popolazioni studiate in Toscana, Spagna e Portogallo e invece assomigli ad una popolazione studiata in Germania.
Ciò costituisce un’ulteriore prova della plasticità del ciclo biologico di questa specie originaria dei climi caldi della Louisiana, ma in grado di adattarsi anche a climi freddi, e rafforza la convinzione che sia necessario approfondire ulteriormente le conoscenze su questi organismi per poterne limitare la diffusione.
Successivamente è stato investigato mediante tecniche di silenziamento genico indotto da RNA, RNAi, il ruolo fisiologico dell'ormone gonadoinibitorio, GIH. Negli animali trattati è stato osservato un aumento del peso degli ovari che ha raggiunto un valore doppio rispetto ai controlli. Inoltre è stato osservato come, il silenziamento di Gih, abbia promosso maturazione delle uova, tramite il processo di vitellogenesi. I risultati hanno confermato il ruolo di Gih come ormone gonadoinibitorio in grado di agire in particolare sulla vitellogenesi di P. clarkiie lo propongono come possibile metodo innovativo di contenimento numerico di questa specie mediante l'uso di esche contenenti l'ormone di sintesi durante la stagione riproduttiva. La possibilità di veicolare attraverso l'apparato digerente anche piccole quantità di ormone attivo nell'emolinfa degli animali dovrebbe inibire la vitellogenesi esogena e la maturazione finale delle uova.
- Cambiamenti climatici e infrastrutture verdi: il servizio ecosistemico di mitigazione del runoff nel centro urbano di Dolo
Martina Robbi
Università IUAV di Venezia - Dipartimento di Progettazione e pianificazione in ambienti complessi
Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Politiche per la Citta, il Territorio e l’AmbienteAnno 2016
I cambiamenti climatici potrebbero causare, nel Nord Italia, un aumento degli eventi estremi di precipitazione nei prossimi decenni. Ciò può portare a fenomeni di inondazione che andranno a colpire le popolazioni locali e le loro risorse. Le infrastrutture verdi possono svolgere un ruolo fondamentale nella mitigazione del deflusso urbano favorendo l'infiltrazione dell'acqua e aumentando l'evapotraspirazione, fornendo così un importante Servizio Ecosistemico (SE).
Il presente studio fornisce una valutazione del servizio di regolazione dell'acqua fornito dagli spazi verdi nel centro urbano di Dolo (VE). L’obiettivo è infatti quello di analizzare la capacità attuale ed il potenziale di fornitura del SE di regolazione del deflusso delle acque urbane. È stato scelto un approccio alla scala micro-urbana. L’area di studio è il territorio del Comune di Dolo (VE), che è spesso soggetto a problemi di urban flooding causati da una insufficiente capacità di evacuazione delle precipitazioni. Nello specifico, la metodologia ha permesso di rispondere alle seguenti domande di ricerca: i) Quali sono le aree che contribuiscono maggiormente alla formazione del deflusso superficiale e quali invece rendono un SE?, ii) Quali di queste sono pubbliche e quali sono private?, iii) Come e dove posso ridurre la quantità di run-off per aumentare il SE fornito?
Come primo passo sono state mappate le infrastrutture verdi urbane, elaborando i dati dell'indagine LiDAR (Light Detection And Ranging) a 50 cm di risoluzione. Il deflusso urbano è stato calcolato utilizzando il Runoff Curve Number (CN) Method (Soil Conservation Service, 1972) e proiettando quattro diversi scenari di precipitazione a 10, 45, 90 e 168mm.
Il potenziale riduzione del deflusso urbano da parte delle infrastrutture verdi è stato quantificato attraverso due indicatori: la quantità totale di riduzione di deflusso (ΔV) e il coefficiente di riduzione del run-off (Cr). Il parametro ΔV rappresenta i benefici prodotti dal verde urbano in termini di riduzione afflussi-deflussi. Un alto valore di ΔV indica maggiori benefici forniti dagli spazi verdi urbani. Il parametro Cr è stato successivamente calcolato dividendo ΔV per quantità totale di pioggia in una determinata area. Un alto valore di Cr indica una minore necessità di migliorare la gestione futura dell’acqua piovana urbana di una determinata area.
I risultati mostrano che le proprietà private sono quelle che contribuiscono maggiormente al deflusso urbano, mentre le proprietà pubbliche offrono livelli più elevati di servizi di regolazione dell'acqua. L'analisi consente di individuare aree prioritarie di intervento combinando i valori idrologici con l'indice di vulnerabilità, elaborando strategie ed azioni concrete per rendere il territorio del Comune di Dolo più resiliente rispetto al cambiamento climatico, nello specifico verso gli impatti derivanti da eventi atmosferici estremi e fornendo uno strumento adeguato per affrontare le decisioni di pianificazione urbana facendo riferimento ad un approccio basato sull'ecosistema.
- Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e valori di fondo dell'arsenico nella prima falda confinata: uno studio geostatistico nell'area centrale del bacino scolante in Laguna di Venezia
Nico Dalla Libera
Università degli Studi di Padova Scuola Di Scienze
Dipartimento di Geoscienze - Tesi di laurea magistraleAnno 2015
La medio – bassa pianura veneto – friulana è notoriamente interessata da un fenomeno di inquinamento diffuso delle matrici ambientali suolo e acqua, imputabile alla genesi geologica della stessa. Il fenomeno riguarda prevalentemente i metalli pesanti quali Arsenico, Ferro, Manganese, Alluminio ed il composto inorganico NH4+ (Ione ammonio). Tali elementi si ritrovano disciolti nelle acque sotterranee oppure adsorbiti nella frazione limoso – argillosa dei sedimenti formanti la pianura. Nel corso degli ultimi anni i vari enti operanti nel territorio della Provincia di Venezia si sono interessati a questa tematica, conducendo diversi studi atti a caratterizzare il sottosuolo sia dal punto di vista idrogeologico che geochimico, nonché a definire i valori di fondo per questi inquinanti. L’interesse nasce dal fatto che il territorio veneziano, soggetto a forte pressione antropica, si trova a dover fare i conti con l’inquinamento prodotto dall’attività di uno dei più grandi siti industriali come quello di Porto Marghera e da tutte le attività ad esso legate. L’idea è quella di fornire delle indicazioni di base per discriminare l’inquinamento antropico da quello naturale, al fine di una pianificazione ambientale e territoriale. In questa direzione, il lavoro di tesi si pone l’obbiettivo di realizzare una ricostruzione della distribuzione spaziale dell’As (metalloide di elevato interesse ambientale e sanitario, per la sua elevata tossicità) all’interno delle acque di falda superficiale (profondità di 10 – 20 m da p.c.), ed eventualmente di trovare una relazione con i parametri fisico-chimici e le caratteristiche idrogeologiche che caratterizzano l’area. Lo studio si svilupperà dapprima a scala regionale (aree comprese nel Bacino scolante in Laguna di Venezia) e successivamente a scala locale, concentrandosi per lo più sulla zona delle “Aree agricole Ovest”, adiacenti al SIN di Porto Marghera. In questo modo si potrà valutare se le correlazioni a livello regionale hanno valenza anche a scala locale e viceversa. Le elaborazioni prenderanno come base di lavoro i dati ottenuti durante le campagne di rilevamento delle acque di falda effettuate per i progetti A.Li.Na (“Analisi dei livelli di fondo naturale per alcune sostanze presenti nelle acque sotterranee della falda superficiale dell’acquifero differenziato del bacino scolante in laguna di Venezia”, ARPAV, 2014) e “Indagine ambientale delle Aree Agricole” (ARPAV, 2010). Per quanto riguarda le informazioni sulla struttura geologica - idrogeologica del sottosuolo veneziano, i dati provengono dallo studio “IDRO” (Fabbri et al., 2013) redatto dalla Provincia di Venezia in collaborazione con il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova.
- Prosecco, non solo un vino un territorio tra turismo e natura
Riccardo Zanusso
Università degli Studi di Udine
Corso di laurea in Scienze e tecniche del Turismo CulturaleAnno 2016
In questa tesi l’obiettivo è stato quello di dare ad un vino di enorme importanza come il Prosecco, una valenza ancora più ampia ed importante di quella che riveste all’interno del mondo enologico.
In quest’ultimo settore, infatti, è sicuramente uno dei protagonisti dell’intera scena mondiale, avendo conquistato grandi primati come il superamento dei litri prodotti nei confronti dello Champagne, suo competitor principale in ambito economico e di export.
La sua crescita sta avendo numeri sempre più importanti, puntando sia a conquistare un mercato sempre maggiore che a farsi strada nella cultura vitivinicola mondiale, facendosi ammirare per la sua facile bevibilità e il suo gusto frizzante e leggero.
Grazie alla fama che sta ottenendo in ogni continente, il Prosecco sta diventando un grandissimo ambasciatore del made in Italy e un potentissimo prodotto attrattivo.
Per questi motivi si è pensato, insieme a Luca Giavi, direttore del Consorzio Prosecco Doc, a come poter rendere il Prosecco un traino anche per il settore turistico italiano, ed in particolare per quello del territorio nel quale viene prodotto questo spumante, ovvero le nove province tra Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Udine, Trieste) e Veneto (Belluno, Padova, Treviso, Vicenza, Venezia).
Con questo scopo e per arrivare a questa finalità, si è progettato un itinerario turistico all’interno del distretto di produzione del Prosecco.
Questo itinerario si appoggia a luoghi che sono presenti nelle nove province di produzione e che hanno come caratteristica fondamentale l’essere a stretto contatto con la natura e quindi con ambienti dove è molto bassa l’antropizzazione.
La proposta di questo viaggio turistico e la ricerca di questi siti vuole costituire una proposta di un turismo non tradizionale ma bensì di matrice naturalistica, con l’idea di valorizzare la fauna, la flora e i paesaggi di luoghi spesso poco conosciuti e promossi.
Con questa “mission” ci si è concentrati nel fare del Prosecco un grande “promoter” di questa area; un tramite per unire la visita ai territori dove questo viene prodotto e quindi al Prosecco stesso, alla scoperta di una vasta area che grazie alla fama di questo importantissimo vino può conoscere e scoprire uno sviluppo turistico di grande rilievo.
A rendere ancora più appetibile questo distretto territoriale sono i prodotti DOP e IGP che caratterizzano questi luoghi e che sono stati proposti nell’ultima parte della tesi.
In conclusione avendo conosciuto da molto vicino il mondo del Prosecco si può affermare che quest’ultimo non può essere considerato “solo” un vino ma bensì molto di più.
È un prodotto ormai fortemente rappresentativo del made in Italy nel mondo, portando con fierezza ed orgoglio l’immagine italiana in ogni continente e rispettando la grande qualità che l’enogastronomia del “Belpaese” possiede.
Credo che il Prosecco può quindi ora ambire ad essere un prodotto trainante per la sua area di produzione, attraendo moltissimi turisti in queste terre con la possibilità di aumentare il flusso di turismo e la scoperta di territori che sono presenti all’interno della zona del Prosecco, implementando la capacità economica di un vastissimo territorio, diventando quindi un degno ambasciatore di due splendide regioni come il Friuli Venezia Giulia ed il Veneto.
- Riduzione dei fanghi di depurazione con reattore anaerobico side-stream: un processo sostenibile
Roberta Ferrentino
Dottorato di ricerca presso l’Università di Trento
Anno 2016
Le problematiche connesse all’elevata produzione di fango sono molteplici e interessano sia aspetti di carattere ambientale, come l’impatto associato allo smaltimento in discarica con produzione di percolato ed emissioni di CO2 in atmosfera, sia aspetti di carattere economico data l’elevata incidenza sul costo totale dell’intero trattamento delle acque. In questo scenario, lo sviluppo di uno schema di trattamento delle acque reflue che consenta di ridurre la produzione di fango di supero e al contempo di ottenere anche un risparmio energetico rientra tra i principali obiettivi della ricerca scientifica promosso a livello internazionale. Numerosi studi hanno dimostrato che l’inserimento di un bioreattore anaerobico sulla linea di ricircolo dei fanghi del trattamento di depurazione convenzionale a fanghi attivi potrebbe ridurre fino al 60% la produzione dei fanghi senza causare effetti negativi per le prestazioni operative. Oggi, questa configurazione è conosciuta come processo con reattore anaerobico side-stream (ASSR). Nonostante l'elevata percentuale di riduzione della produzione di fango raggiunta, il processo ASSR è ancora poco applicato in scala reale dal momento che i principali parametri operativi e i meccanismi di riduzione non sono stati definiti univocamente.
Obiettivo della tesi di dottorato è stato la verifica dell’efficacia del processo ASSR, la possibilità di identificare i meccanismi di riduzione della produzione di fango e l’individuazione della struttura microbica del processo. Durante la prima parte della ricerca, è stato progettato e realizzato un impianto sperimentale di laboratorio. Il sistema è composto da un reattore sequencing batch (SBR), per simulare la linea acque di un impianto di trattamento delle acque reflue, e un reattore ASSR come unità di trattamento dei fanghi. A differenza della maggior parte degli studi scientifici di letteratura, il sistema è stato alimentato con un refluo derivante da un reale impianto di depurazione di reflui municipali. La ricerca è stata sviluppata in tre diverse fasi, ciascuna della durata di 90 giorni. Il sistema sperimentale a scala di laboratorio è stato testato in tre configurazioni, ottenuto variando l’età del fango del reattore anaerobico (SRT) e il tasso di interscambio (IR) tra linea acque e linea fanghi. I risultati dell’ultima fase (SRT 2.5 d e IR 100%) hanno confermato che il processo può consentire una diminuzione significativa della produzione di fango ottenendo una riduzione fino al 62% minore rispetto ad un trattamento convenzionale di depurazione. In particolare, il ricircolo della biomassa tra la linea acque SBR e la linea fanghi ASSR seleziona microrganismi DPAO (batteri fosforo accumulanti denitrificanti). Tale risultato è di grande interesse perché gli organismi DPAO favoriscono la rimozione simultanea e biologica dei nutrienti quali azoto e fosforo, normalmente presenti all’interno delle acque reflue. Inoltre, gli organismi DPAO hanno una minore resa cellulare rispetto ai comuni organismi eterotrofi, favorendo, quindi, una minore produzione di fango. Tali risultati sono stati confermati da analisi microbiologiche.
Il processo ASSR è, quindi, una soluzione sostenibile per la riduzione dei fanghi di depurazione e, lo studio ha chiarito quali sono i meccanismi e i parametri operativi fondamentali per l’ottimizzazione del processo. Sulla base dei risultati della tesi di dottorato, è stata presentata una domanda di brevetto per uno schema innovativo di impianto di trattamento delle acque reflue.
- Metodi di monitoraggio del cervo (Cervus elaphus, Linnaeus 1758) nella Foresta del Cansiglio (BL-TV)
Rossella Sibella
Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Biologia - Corso di Laurea in Scienze NaturaliAnno 2016
La Foresta del Cansiglio, nota culla delle pratiche selvicolturali fin dai tempi della Repubblica di Venezia, ospita una popolazione di cervo (Cervus elaphus) insediatasi alla fine degli anni ’80 del secolo scorso e diffusasi rapidamente negli anni successivi fino a divenire, in tempi recenti, un reale problema per gli equilibri dell’ecosistema forestale. La gestione dell’area veneta del Cansiglio, comprensorio sotto la giurisdizione di due regioni (Veneto e Friuli-Venezia Giulia), è affidata dal 1997 a Veneto Agricoltura, azienda regionale per i settori agricolo, forestale e agro-alimentare (www.venetoagricoltura.org).
Dal 2001 l’azienda, nelle vesti di gestore del patrimonio forestale, ha dato inizio a sistematici monitoraggi nei confronti della specie cervo. Inizialmente, sono stati effettuati censimenti al bramito, svolti in autunno, che hanno permesso di determinare una prima stima di consistenza della popolazione. Nella primavera successiva è iniziata la raccolta dati, mediante censimenti al faro, ripetuta poi con cadenza annuale.
Nell’anno 2008 venne sperimentato il censimento con termocamera che ha fornito i dati, finora più precisi, sul numero di individui.
Precedentemente, nel 2004, venne avviata la costruzione di 5 piccoli recinti di esclusione, di dimensioni 8x8 metri, per valutare l’impatto del cervo nei confronti della rinnovazione arborea e arbustiva. Nel 2010 il numero di recinti piccoli venne aumentato a 11, fino ad arrivare a 13 nel 2015, anno in cui vennero aggiunti due nuovi recinti di superficie pari a 1,5 ettari ciascuno (recinti grandi). Nell’autunno dello stesso anno si è proceduto con l’applicazione di radiocollari satellitari a 10 cerve della popolazione, al fine di acquisire ulteriori informazioni sull’ecologia e sul comportamento di questa specie nell’area di studio.
Il mio tirocinio si è inserito nel contesto sopra descritto e si è svolto a partire dal mese di Aprile 2016, in occasione dei censimenti al faro, proseguendo nel mese di Luglio, quando l’attività si è concentrata sui rilievi vegetazionali nel sottobosco, in corrispondenza dei recinti di esclusione. L’esperienza maturata sul campo nei diversi ambiti di indagine ha quindi permesso l’elaborazione di uno studio che ha utilizzato di tecniche di monitoraggio diretto (censimento al faro) e monitoraggio indiretto (rilievi vegetazionali) al fine di constatare la presenza e l’entità del danno ambientale causato dai cervi sulla foresta. Particolare attenzione è stata riservata alla componente arbustiva ed erbacea del sottobosco che costituiscono la principale fonte alimentare (offerta pabulare) di tale ungulato.
Di conseguenza, gli obiettivi individuati sono stati:
- valutare il cambiamento della vegetazione di sottobosco a cinque anni dall’installazione di 5 recinti piccoli di esclusione;
- determinare il quadro della situazione ambientale e vegetazionale all’anno “zero” per i recinti grandi, punto di partenza per un database successivo.
Nel complesso, dai dati ottenuti è possibile asserire che la situazione forestale risulta contraddistinta da un forte fattore di disturbo, quale la brucatura del cervo, che ne altera la struttura con effetti tangibili anche sul breve periodo. Lo strato arbustivo del sottobosco appare, infatti, in forte regressione sia per quanto concerne la copertura esercitata al suolo sia per la ricchezza in specie. Ciò si ripercuote a cascata anche sulla fauna selvatica abitante il sottobosco che da esso trae importanti risorse ( Bottazzo M., 2013 Il cervo in Cansiglio, una questione che va presa per le corna. Brochure, Veneto Agricoltura). ll danno osservato è inoltre correlabile ai dati forniti dai censimenti notturni che testimoniano, dal 2001, una continua crescita demografica della popolazione di cervo in Cansiglio. Quanto emerge lascia presagire scenari futuri non rassicuranti per i quali si rende necessario un intervento gestionale, affinché i già compromessi equilibri ecologici non vengano definitivamente scardinati.
- Rinaturalizzazione delle spiagge mediante l'uso di foglie spiaggiate di posidonia oceanica
Stefano Vitti
Università del Salento
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per l'AmbienteAnno 2014
La linea di costa, o interfaccia terra-mare, è il luogo fisico in cui terra e mare si incontrano dando origine ad un'area di transizione tra ambiente continentale e marino caratterizzata e determinata da fenomeni complessi. La geomorfologia costiera studia l'evoluzione della costa nel tempo per trarre indicazioni circa la protezione e gestione di questo ambiente, molto importante dal punto di vista economico.
Lo spiaggiamento dei resti di Posidonia oceanica(foglie morte, rizomi, resti fibrosi) è un fenomeno naturale che annualmente si verifica sui litorali, specialmente in seguito alle mareggiate autunnali ed invernali. L'accumulo di biomassa spiaggiata , combinandosi con la sabbia, forma delle strutture conosciute con il nome di “banquettes” che possono raggiungere anche i 2 metri di altezza e svilupparsi per centinaia di metri, in funzione dell'assetto geomorfologico della costa.
Lebanquettes svolgono un ruolo importantissimo nella protezione meccanica delle spiagge dall'erosione ostacolando l'azione e l'energia del moto ondoso contribuendo alla stabilità delle spiagge. Inoltre, esse contribuiscono in maniera diretta ed indiretta alla vita delle biocenosi animali e vegetali della spiaggia in quanto i prodotti della degradazione delle foglie accumulate rimettono in circolo grandi quantità di nutrienti fondamentali per la flora e la fauna dell'intera fascia costiera. Tuttavia i resti di Posidonia oceanica spiaggiata costituiscono un problema sempre maggiore per la fruizione turistica delle spiagge. Infatti, se da un lato è utile mantenerli il loco per ostacolare l'erosione delle spiagge e favorire la produttività delle acque costiere, dall'altro la loro presenza in zone turistico-balneari può scoraggiare la presenza dei bagnanti sia per i residui fluttuanti sia per gli odori dovuti ai processi di degradazione batterica.Il destino delle banquettes si colloca nella più generale problematica della gestione delle biomasse spiaggiate ed in particolare di come queste debbano essere considerate.