Concorso Neolaureati Eugenio Rosmann 2019 – Partecipanti
Tutti le tesi ricevute
Il premio dell’Associazione Ambientalista “Eugenio Rosmann” 2019 è rivolto agli studenti neolaureati e ai ricercatori universitari in materie naturalistiche e ambientali
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Inseriamo di seguito gli abstract delle tesi ricevute:
- Stima della consistenza e della distribuzione della popolazione di camoscio alpino (Rupicapra rupicapra L.) nella Riserva naturale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa (Friuli-Venezia Giulia, Italia)
Dott.ssa Martina Felician
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea Magistrale in Ecologia dei cambiamenti globaliStima della consistenza e della distribuzione della popolazione di camoscio alpino (Rupicapra rupicapra L.) nella Riserva naturale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa (Friuli-Venezia Giulia, Italia)
Il camoscio alpino, Rupicapra rupicapra L., è un ungulato montano le cui prime apparizioni sul Carso triestino ed isontino risalgono alla fine del secolo scorso. La sua presenza in un habitat ecologicamente così distante da quello abituale costituisce un interessante caso di studio, in quanto vi sono pochi altri casi documentati di camosci stabilitisi a basse altitudini. Il presente studio ha monitorato per 10 mesi la popolazione presente all’interno della Riserva Naturale Regionale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa (GO), utilizzando il metodo delle conte da punti di vantaggio. I dati raccolti sono stati elaborati mediante analisi cartografica sul software QGIS e la realizzazione di un modello di idoneità ambientale con l’algoritmo Maxent. L’area vocata alla specie ottenuta è risultata di circa 85 ha su un totale di 726 ha della Riserva, evidenziando una preferenza della specie per habitat rocciosi e praterie caratterizzati da forte pendenza ed asperità. È stata riscontrata una densità di 0,7 ind/100 ha sull’intera Riserva, riproporzionata a 6 ind/100 ha considerando solamente l’area vocata, indicando un apparente decremento rispetto ai monitoraggi precedenti. I dati di presenza hanno permesso di realizzare una prima carta distributiva per R. rupicapra all’interno della Riserva, fornendo un importante aggiornamento sulla sua distribuzione in ambito regionale. Benché la specie risulti presente in sole tre maglie di 1 km x 1 km della griglia utilizzata, questa carta può rappresentare un punto di partenza per uno studio più vasto lungo tutto il Carso triestino-isontino. Il camoscio alpino è specie di interesse comunitario (Direttiva Habitat, Allegato V), e la sua presenza peculiare in ambiente carsico può essere utilizzata per ridefinire le informazioni su etologia ed ecologia della specie, migliorandone la conservazione e la gestione.
- Gli uccelli alpini e il cambiamento climatico
Dott. Davide Scridel
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente
Dottorato di ricerca in Scienze della Terra e dell’AmbienteGli uccelli alpini e il cambiamento climatico
Le regioni montane, sebbene considerate aree globalmente importanti per gli uccelli e la biodiversità in generale, rimangono scarsamente studiate, nonostante la loro ben nota suscettibilità alle alterazioni climatiche. La conoscenza di base delle specie di uccelli che popolano queste regioni è scarsa, e manca persino una definizione condivisa di “regioni montane”, in quanto le interpretazioni variano in base a paesi e istituzioni. Queste ambiguità possono potenzialmente precludere la delineazione di efficaci strategie di conservazione su larga scala, ed è quindi urgente dare una definizione univoca di “avifauna di montagna” per poter indagare il potenziale impatto dei cambiamenti climatici su queste comunità di specie.
In questa tesi abbiamo esaminato le evidenze degli impatti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni di avifauna di montagna su scala olartica, riguardo a fisiologia, fenologia, interazioni trofiche, demografia e spostamenti di distribuzione osservati e previsti, considerando anche gli effetti di ulteriori fattori che interagiscono con i cambiamenti climatici, esacerbandone o attenuandone gli effetti. Per la prima volta abbiamo formulato una classificazione oggettiva dell’avifauna di montagna “specialista” e “generalista” e presentato i risultati di una revisione sistematica e di una meta-analisi riguardanti gli effetti dei cambiamenti climatici sugli uccelli montani, quantificando le conseguenze di tali alterazioni, come gli spostamenti altitudinali o i cambiamenti nei tratti biologici, e la valutazione di potenziali azioni mitigatrici e di compensazione degli impatti dovuti alle variazioni nel clima. Utilizzando l'Italia come caso-studio, abbiamo dimostrato l’esistenza di una relazione tra il clima e i cambiamenti nella distribuzione degli uccelli negli ultimi 30 anni, confrontando gli andamenti di occupazione ed abbandono di aree riproduttive da parte di specie legate ad ambienti freddi e di specie-controllo tassonomicamente vicine ma presenti in climi più miti. Inoltre, abbiamo utilizzato il fringuello alpino Montifringilla nivalis come specie modello (in quanto particolarmente sensibile ai cambiamenti climatici), al fine di migliorare le attuali conoscenze su biologia, ecologia e aspetti demografici delle specie d’alta quota, e chiarire meglio così i meccanismi che determinano il declino dell’avifauna di montagna. Infine, abbiamo sviluppato degli approcci conservazionistici innovativi per far fronte agli impatti del cambiamento climatico, su larga scala e poi su piccola scala. Nel primo caso, per identificare strategie che massimizzino le possibilità di persistenza delle specie in un clima che cambia, abbiamo stabilito nuove metodologie che hanno consentito di identificare nelle Alpi italiane le specie e le aree prioritarie per la conservazione (unità geografiche resistenti e resilienti ai mutamenti climatici), basandoci su connettività strutturale e previsioni di distribuzione futura di varie specie di avifauna di montagna. A scala più piccola invece abbiamo valutato il ruolo dei microhabitat come siti di rifugio per le specie minacciate dal clima, e sviluppato un approccio teorico basato sulla capacità di alcune attività umane (attività di pascolo e sfalcio) di contenere gli effetti dannosi del cambiamento climatico, con particolare riferimento alla nostra specie studio, il fringuello alpino, e alla struttura del suo habitat di foraggiamento.
Abbiamo identificato 2316 specie avifaunistiche che si riproducono nell’Olartico, 818 (35,3%) delle quali sono state divise secondo le nostre definizioni in specialiste d’alta quota (n = 324 specie) o generaliste di montagna (n = 494 specie). Abbiamo poi riscontrato evidenze di reazioni biologiche ed ecologiche degli uccelli di montagna al cambiamento climatico ed ambientale, ma l’influenza di meccanismi ed effetti sinergici di altre 4
variabili sono ancora poco conosciuti. Una meta-analisi svolta per valutare gli spostamenti altitudinali degli uccelli di montagna in risposta alle anomalie termali, non ha trovato una direttrice costante nel cambiamento di quota, ma una seconda meta-analisi riguardante le previsioni future ha suggerito che proprio le specie montane saranno significativamente più impattate dai cambiamenti climatici rispetto a specie non-montane. In Italia, abbiamo trovato una forte correlazione positiva tra variazione delle dimensioni degli areali riproduttivi e l’indice termale delle specie (STI: temperatura media di presenza di una specie a scala europea), a conferma del fatto che il recente riscaldamento climatico ha favorito specie di climi più caldi e sfavorito quelle legate ad ambienti più freddi. Un modello che includeva STI e habitat associati agli uccelli è risultato poco supportato, ma ha anche suggerito che le specie forestali hanno avuto variazioni più positive rispetto a specie legate agli habitat aperti alpini o agricoli. Per quanto riguarda la nostra specie modello, abbiamo scoperto che il fringuello alpino durante il periodo riproduttivo, seleziona per il foraggiamento luoghi freddi, caratterizzati da copertura erbosa bassa, margini di neve in scioglimento adiacenti al prato e macchie di neve: microhabitat sensibili al cambiamento climatico e che ospitano un’alta qualità e quantità di invertebrati. I fringuelli alpini sono in grado di selezionare con grande efficienza questi microhabitat in relazione all'abbondanza e al tipo di prede, dimostrando un'alta adattabilità alla variabilità delle risorse trofiche nello spazio e nel tempo, caratteristica tipica delle specie proprie di ambienti d’alta quota. Modellizzando l’idoneità di foraggiamento di questi microhabitat rispetto ai cambiamenti climatici osservati rispetto al passato (1976) e previsti per il futuro (2066), abbiamo riscontrato un’idoneità maggiore di tali siti nel passato e un previsto calo della stessa per il futuro. Le attività di pascolo, in grado di mantenere il manto erboso ad un’altezza adatta ai fringuelli alpini, potrebbero migliorare l'idoneità strutturale attuale e futura di tali microhabitat di foraggiamento, almeno per le popolazioni presenti in habitat adiacenti a prati alpini adibiti a pascolo. Per le popolazioni confinate invece in habitat rocciosi (ad esempio sub-nivali e nivali), dove la copertura erbosa è generalmente bassa o addirittura assente, questa mitigazione non potrà essere applicata, ed i fringuelli alpini di questi habitat, dipendendo principalmente dalla presenza di macchie di neve, potrebbero essere più colpiti/minacciati dai cambiamenti climatici. Le misure per mitigare e compensare gli effetti dei cambiamenti climatici si basano principalmente su una gestione a vasta scala che dovrebbe estendere le attuali aree protette per favorire le specie già presenti ed anche quelle future colonizzatrici provenienti da quote più basse. Abbiamo dunque suggerito lo sviluppo di piani di gestione delle aree montuose che considerino le minacce e le opportunità derivanti dalle interazioni fra cambiamenti climatici, uso del suolo a diverse scale spaziali e conservazione di ambienti chiave dal macro al micro habitat.
- LA VALORIZZAZIONE DELLA CARNE DI UNGULATI SELVATICI: Evidenze da una analisi empirica Italiana
Dott.ssa Maria Elena Marescotti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare (VESPA)
Corso di Dottorato in “Veterinary and Animal Science"LA VALORIZZAZIONE DELLA CARNE DI UNGULATI SELVATICI: Evidenze da una analisi empirica Italiana
Negli ultimi anni in Europa ed in Italia si è registrato un incremento preoccupante della popolazione di grandi ungulati selvatici (cinghiale, cervo, camoscio, muflone). Mentre in passato questi animali venivano classificati come specie a rischio di estinzione e quindi considerati come animali da tutelare, attualmente il loro sovrannumero è tale da determinare ingenti costi sociali. La continua crescita del numero di esemplari infatti causa danni agli ecosistemi, perdite economiche nella silvicoltura e nell'agricoltura, aumento del rischio di malattie zoonotiche e aumento della frequenza degli incidenti stradali provocati dalle collisioni con i veicoli. Per risolvere tali problematiche, sono state sviluppate strategie di gestione e contenimento, con conseguenti costi per le istituzioni pubbliche.
Tali strategie hanno determinato un aumento delle percentuali di abbattimento, che ha portato ad un incremento nella disponibilità di carne di selvaggina. Secondo le normative europee in materia di commercio e sicurezza (Reg. CE n. 178/2002, n. 853/2004 e n. 854/2004), i cacciatori sono considerati produttori alimentari primari, al pari di agricoltori e allevatori e, a determinate condizioni, possono vendere la selvaggina da loro cacciata. Allo stesso modo, dal punto di vista della domanda, negli ultimi anni si è registrato un notevole aumento della popolarità della carne di selvaggina ottenuta tramite attività di caccia. Infatti, le carni degli ungulati selvatici hanno caratteristiche nutrizionali ottimali, possono essere considerate un alimento ecologico e locale e rappresentano un'alternativa sostenibile alla produzione intensiva di carne bovina, suina o di pollame.
La crescente domanda e disponibilità di questi prodotti ha portato allo sviluppo di un numero crescente di mercati emergenti di carne di selvaggina cacciata in molti paesi sviluppati, inclusa l'Europa. Tuttavia, la diffusione del mercato per questo prodotto è spesso ostacolata dalla mancanza di una filiera di approvvigionamento alimentare strutturata. Questo è particolarmente riscontrabile in Italia, in cui al settore venatorio continua ad essere associata solo una connotazione ricreativa e sociale.
Anche dal punto di vista scientifico, nonostante il crescente potenziale del settore venatorio, solo pochi studi economici prendono in considerazione questa tematica e, in particolare, non esistono ricerche che esaminino il contesto italiano.
Considerate queste premesse, e considerando la particolare vocazione dell’Italia per la produzione di alimenti di alta qualità, il presente elaborato vuole fornire un contributo al possibile sviluppo della filiera locale italiana della carne di selvaggina ottenuta tramite attività di caccia attraverso un approccio di natura bio-economica, basato su una corretta pianificazione del prelievo venatorio volto a rendere le comunità maggiormente resilienti agli squilibri ambientali derivanti dal sovrannumero di ungulati selvatici. La tesi si struttura come un'analisi di fattibilità Step-by-Step che prende in considerazione tutti gli attori coinvolti in una ipotetica filiera, con l’obiettivo finale di creare un nuovo mercato.
Nello specifico la tesi è organizzata in tre diversi studi, ognuno dei quali sviluppa diversi aspetti dell'analisi.
Il primo studio si concentra sul produttore primario della carne di selvaggina, ovvero il cacciatore, stimando la potenziale disponibilità di prodotto che potrebbe essere immessa sul mercato e la qualità della carne di grandi ungulati selvatici ottenuta tramite attività venatorie in un contesto montano locale.
Il secondo studio si propone di valutare il reale valore economico della filiera locale della carne selvatica cacciata tramite la realizzazione di un'analisi esplorativa volta a quantificare la trasmissione del valore lungo la catena di approvvigionamento.
Infine, il terzo studio affronta la necessità di ampliare la conoscenza dell'atteggiamento dei consumatori nei confronti della carne ottenuta tramite attività di caccia, profilando i consumatori italiani e valutando se il loro atteggiamento e la loro percezione nei confronti della carne di selvaggina, le caratteristiche sociodemografiche e la conoscenza oggettiva influenzano il consumo di questo prodotto.
Considerando i risultati della ricerca, possiamo ragionevolmente presumere che il settore venatorio italiano presenti caratteristiche interessanti in termini di quantità di ungulati selvatici. Tuttavia, la carne manca ancora degli standard igienici e di qualità richiesti per il commercio. Il basso livello di istruzione e l'età dei cacciatori sono sicuramente alla base dei comportamenti non adeguati; il background culturale italiano del settore venatorio rappresenta probabilmente la più importante resistenza al cambiamento. Tuttavia, va sottolineato che una parte dei cacciatori intervistati conosce le buone pratiche di caccia e post-raccolta; l'evoluzione e il miglioramento del comportamento dei cacciatori sono quindi possibili e i responsabili politici e i ricercatori dovrebbero studiare gli incentivi per promuovere questi cambiamenti. Richiamando i principi di base della microeconomia, il mercato è lo strumento migliore per l'allocazione delle risorse e le scelte basate sul profitto e sull'utilità sono in genere efficienti.
Analizzando la potenziale dinamica del valore della carne di selvaggina, è emerso che il suo valore economico potrebbe essere un incentivo adeguato per i cacciatori per migliorare le loro modalità di caccia. Essi infatti, per massimizzare il loro guadagno, cercherebbero di raggiungere standard qualitativi della carne più elevati. Questo sarebbe ottenibile solo seguendo le buone pratiche di caccia. La creazione di un mercato genererebbe inoltre altri risultati positivi; ad esempio, altri stakeholder (trasformatori e ristoratori) coinvolti nella catena di approvvigionamento potrebbero diversificare la loro produzione, aumentando la disponibilità di carne prodotta localmente e gestendo la sovrappopolazione della fauna selvatica senza alcun costo per il pubblico.
Se una catena di approvvigionamento di carne di selvaggina cacciata sia economicamente sostenibile dipende dalla presenza di una domanda per questi prodotti, che a sua volta dipende dal modo in cui i consumatori li percepiscono. A questo proposito, è possibile affermare che, se ottenuta seguendo pratiche di caccia rigorose e regolamentate, la selvaggina incorpora una serie di caratteristiche che possono attrarre i consumatori “moderni”. I risultati relativi allo studio del consumatore hanno mostrato l'esistenza di importanti asimmetrie informative tra consumatori e produttori (cacciatori e trasformatori) che potrebbero costituire un ostacolo al consumo. I consumatori, infatti, spesso non sono consapevoli del fatto che la caccia può essere praticata eticamente e che si tratta di un'attività soggetta a una regolamentazione rigorosa e ben definita. Solo migliorando le conoscenze dei consumatori sulla carne di selvaggina è possibile aumentare la probabilità del suo consumo.
La presente tesi di dottorato contribuisce allo sviluppo di un nuovo mercato professionale italiano analizzandone la fattibilità da diversi punti di vista. Nel complesso, i risultati di questo studio possono aiutare i responsabili politici a progettare nuovi interventi strategici ed efficaci per la gestione della sovrappopolazione dei grandi ungulati (i.e. formazione dei cacciatori per aumentare la consapevolezza dei cacciatori sul loro ruolo di base; campagne di informazione per aumentare la conoscenza dei consumatori; sostegno finanziario per sviluppo di centri di controllo per le carni; elaborazione di regole ufficiali per le specifiche di produzione; organizzazione di incontri tra le parti interessate; creazione di disciplinari di produzione e marchio di qualità). Inoltre, la nostra ricerca offre informazioni utili per il posizionamento e il prezzo di nuovi prodotti a base di carne di selvaggina. La conoscenza dei profili sociodemografici e attitudinali dei consumatori in relazione a come percepiscono la carne di selvaggina può infatti consentire agli operatori di marketing di indirizzare meglio i loro nuovi prodotti a base di carne di selvaggina, migliorando l'efficacia delle future strategie di marketing.
- Quantificazione dell’accumulo di carbonio nel suolo di una foresta pluviale temperata del Sud America
Dott.ssa Ilaria Folie
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il TerritorioQuantificazione dell’accumulo di carbonio nel suolo di una foresta pluviale temperata del Sud America
Le foreste primarie sono caratteristiche per la loro elevata capacità di sequestrare il carbonio e trasformarlo in sostanza organica (biomassa) sia in superficie, che negli strati sotto superficiali.
Il grado di conservazione della sostanza organica dipende da diversi fattori climatici, in particolare da temperatura e umidità. La sostanza organica si conserva più efficientemente in condizioni fredde e umide, condizioni tipiche delle foreste temperate. Questo tipo di ecosistema, infatti, è in grado di stoccare elevate quantità di carbonio. A livello globale, le foreste temperate sequestrano minori quantità di carbonio rispetto a quelle boreali e tropicali, ma sono in grado di immagazzinarne la maggior parte nel suolo, creando quindi una cospicua e durevole riserva.
Lo studio presentato in questo elaborato è stato realizzato con profili di suolo prelevati nella foresta temperata dell’isola di Chiloé, situata lungo la costa del Cile meridionale. Precedenti studi hanno messo in evidenza un’alternanza di differenti tipologie di vegetazione (foreste e paludi) susseguitesi dopo l’ultima glaciazione. Le condizioni climatiche verificatesi nell’ultimo millennio, invece, hanno permesso lo sviluppo e la crescita di una foresta temperata primaria tipica della Patagonia settentrionale.
L’obiettivo di questa ricerca è quello di analizzare i campioni di suolo al fine di identificarne e valutarne la quantità di carbonio stoccata e il tipo di vegetazione responsabile dello stoccaggio nel corso dei millenni. Per lo svolgimento della ricerca sono state utilizzate tecniche sia di tipo qualitativo (biomarcatori lipidici e gas cromatografia) che quantitativo (analisi del carbonio organico totale (TOC) e spettrometria di massa).
Lo studio ha prodotto risultati che hanno mostrato la prevalenza di un ecosistema di tipo forestale rispetto a quello palustre. L’abbondanza di lunghe catene carboniose (omologhi nC27-nC31) che compongono le cere delle foglie di queste piante, sono indice, infatti, di un ambiente prevalentemente terrestre.
- Arctic Environmental Law: from an Internal to an International Political Dimension
Dott.ssa Martina Passoni
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Corso di laurea triennale in Scienze Politiche e dell’AmministrazioneArctic Environmental Law: from an Internal to an International Political Dimension
L’Artico: una delle zone più remote ed affascinanti della Terra, solo in apparenza eterea ed eternamente avvolta nel suo gelido candore. Quest’area è, infatti, attualmente, una delle più dinamiche al mondo: il cambiamento climatico ne sta modificando repentinamente ed irreparabilmente il fragile equilibrio, data anche la particolarissima natura dell’Artico stesso. Non si esagera nel dire che l’Artico può essere considerato “l’ago della bilancia” per quel che riguarda i cambiamenti climatici nel resto del mondo: quello che accade nell’estremo Nord del nostro pianeta finisce irreparabilmente per ripercuotersi a livello globale, inasprendo ulteriormente i mutamenti già in atto.
I cambiamenti dell’ecosistema stanno tuttavia aprendo anche nuove possibilità economiche, le quali spesso contrastano con il pressante tema della tutela ambientale: le stesse nazioni con possedimenti artici si sono recentemente trovate in disaccordo sulle politiche comuni da adottare nell’area durante l’ultima riunione dell’Arctic Council, organismo internazionale il cui obiettivo consiste nel coordinare e far dialogare le otto nazioni artiche – Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. Inoltre, le decisioni concordate non hanno carattere vincolante e il non attenersi a queste non genera sanzioni significative.
Ci si interroga dunque sull’effettiva concretezza delle politiche ambientali, soprattutto a livello globale: nonostante la presenza di organizzazioni che avrebbero il potenziale necessario per rivestire un ruolo importante nell’implementazione delle politiche rivolte alla salvaguardia ambientale e allo sviluppo sostenibile, queste sono tuttavia ancora troppo deboli per poter imporre concretamente delle linee guida da seguire a livello mondiale, ricorrendo se necessario a delle sanzioni nei confronti di quelle nazioni che non si attengono alle decisioni prese.
Gli argomenti trattati sono sicuramente vasti e di grande attualità: lo scopo di questa tesi consiste nel fornire una visione d’insieme su alcuni fra i temi più caldi del momento, invitando a riflettere sulla fondamentale importanza di una presa di coscienza collettiva della fragilità del nostro bene più prezioso: l’ambiente.
- Spectral techniques in ecological time-series: an application of wavelet and Fourier analysis on the study of roe deer (Capreolus capreolus) recursive movements
Dott. Tobia Sforna
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di laurea magistrale in ecologia dei cambiamenti globaliSpectral techniques in ecological time-series: an application of wavelet and Fourier analysis on the study of roe deer (Capreolus capreolus) recursive movements
Studiare i meccanismi che regolano i movimenti ricorsivi è un processo fondamentale per comprendere come gli animali utilizzano l’habitat in relazione alle dinamiche spazio temporali delle risorse nell’ambiente. Gli animali possono muoversi ad intervalli regolari per utilizzare delle risorse, interagire con conspecifici e/o ridurre il rischio di mortalità, sincronizzando le periodicità di tali movimenti con quelle imposte da stimoli interni ed ambientali. Poiché più stimoli possono agire simultaneamente sul comportamento di un animale, le periodicità dei movimenti che ne conseguiranno, potranno non essere di facile interpretazione.
In questa tesi, mi sono occupato di studiare l’utilizzo periodico di aree altamente rivisitate da un ungulato di piccola-media taglia, il capriolo (Capreolus capreolus). Le caratteristiche di questa specie, come la sua dieta erbivora, la plasticità comportamentale e l’utilizzo di un’area familiare (home-range), la rendono un ideale modello di studio in questo contesto. Inoltre, la presenza nell’area di studio di siti di foraggiamento con dati sulla gestione noti, hanno creato i presupposti per sviluppare uno studio circa l’utilizzo periodico di aree con un’alta concentrazione di risorse trofiche.
A questo scopo, ho analizzato le traiettorie GPS ottenute dopo aver dotato quattro caprioli di radiocollari satellitari. Ho poi determinato le aree più rivisitate (centri geografici di recursione) di ogni home-range, calcolando la distribuzione spaziale delle probabilità di ritorno in ogni cella di una griglia sovrapposta alle traiettorie degli animali . Successivamente, ho creato delle serie temporali binarie in relazione alla presenza-assenza e agli arrivi di ogni animale nei centri di recursione. Le periodicità nei movimenti ricorsivi verso singole mangiatoie artificiali (recursioni nello spazio geografico) sono state identificate attraverso un’analisi di Fourier e un’analisi wavelet. Ho comparato poi i risultati con quelli ottenuti applicando le medesime analisi sui movimenti dei caprioli verso la risorsa “foraggio supplementare”, utilizzando quindi la totalità dei siti di foraggiamento anziché singole mangiatoie (recursioni nello spazio ambientale). Per finire, ho valutato la variazione nelle periodicità di presenza dei caprioli alle 5
mangiatoie nel corso dell’anno, in relazione alla presenza di foraggio supplementare e alla qualità della vegetazione circostante.
I miei risultati suggeriscono che il capriolo fa generalmente affidamento sulle mangiatoie artificiali, utilizzando questa risorsa in modo opportunistico in relazione alla gestione del sito di foraggiamento e alla fenologia della vegetazione naturale. Ciò trova riscontro con la precedente letteratura scientifica sull’argomento. Gli animali hanno utilizzato le mangiatoie con delle periodicità circadiane caratteristiche (24 e 12 ore). Tuttavia, l’utilizzo periodico di singole, specifiche mangiatoie è risultato essere meno regolare e prevedibile. Questo pattern può essere il risultato di un trade-off tra l’utilizzo di una risorsa ad alto valore energetico e di un’area ad alto rischio, sia che esso sia reale, in relazione all’attività di caccia praticata nell’area, piuttosto che il risultato della coevoluzione con i naturali predatori. Spiegazioni alternative possono riguardare l’esigenza di evitare contatti con inter e con-specifici, con aree ad alta densità di parassiti e/o di ottenere informazioni sulla disponibilità di risorse nel paesaggio.
La mia tesi rappresenta il primo studio ad utilizzare l’analisi wavelet e di Fourier per analizzare le periodicità nei movimenti ricorsivi di più animali, sia nello spazio ambientale che in quello geografico. Auspico che gli studi futuri sull’argomento possano concentrarsi sull’identificazione dei drivers biologici di tali movimenti ricorsivi.
- La città dal mare negato: Verso una riqualificazione climate proof del waterfront di Napoli
Dott.ssa Klarissa Pica
UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Dipartimento di Culture del progetto
Corso di laurea magistrale in Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’AmbienteLa città dal mare negato: Verso una riqualificazione climate proof del waterfront di Napoli
Il presente lavoro propone una riflessione sulle possibilità offerte dalla riqualificazione dei waterfront, adottando un approccio che riserva particolare attenzione agli impatti derivanti dal cambiamento climatico. In tal senso, la ricerca mira alla comprensione di come costruire strategie per la riqualificazione e la valorizzazione dei fronti acqua entro un’ottica capace di affrontare in modo significativo gli effetti derivanti dal clima che cambia.
La tesi muove da una ricostruzione dei nessi tra città e acqua, ripercorrendo temporalmente le pratiche e i principi che hanno orientato il rapporto tra i due elementi, un rapporto dialettico inscindibile che ha attraversato, nel corso dei secoli, fasi molto differenti.
Dalla primordiale forte integrità e dall’interdipendenza reciproca, con il continuo evolversi delle città, il rapporto tra la città e il waterfront è diventato sempre più labile e frammentato, determinando una profonda separazione tra l’elemento città e l’elemento acqua, tanto fisica quanto simbolica.
L’evoluzione del rapporto tra la città e il waterfront ha generato l’avviarsi di un nuovo fenomeno urbano, caratterizzato da consistenti operazioni e programmi di riqualificazione, che può essere identificato sotto il nome di waterfront redevelopment. Tali esperienze derivano dal processo di progressivo abbandono di quegli spazi che precedentemente erano utilizzati dall’industria o dalle attività portuali, successivamente trasferite e delocalizzate in altre zone costiere. In quest’ottica gli spazi di margine tra città e acqua, corrispondenti spesso a luoghi ormai in stato di degrado, diventano un’occasione di recupero e di riflessione sulla loro funzione nella contemporaneità.
Tuttavia, oggi ci si trova dinanzi a una nuova fase che richiede una reintegrazione tra gli elementi e che trova, nelle possibilità di riqualificazione dei waterfront, l’occasione per riconquistare un rapporto perduto tra il tessuto urbano e il mare in un’ottica di valorizzazione naturalistico-ambientale, oltre che un’opportunità strategica per lo sviluppo dell’intera città e per una complessiva riorganizzazione economica e gestionale delle aree urbanemetropolitane.
Agire in un contesto di waterfront integrato permette di riconsiderare gli spazi e le funzioni territoriali in relazione alle moderne dinamiche urbane da una prospettiva che tenta di adattare, agli impatti derivanti dal cambiamento climatico, territori particolarmente vulnerabili. La ricerca sottolinea come il waterfront, parte di città fortemente vulnerabile soggetta a molteplici rischi climatici, e la sua riqualificazione, rappresentino un’opportunità per la sperimentazione di azioni di tutela ambientale volte ad aumentare la resilienza delle città in termini di adattamento agli impatti climatici. In anni in cui la tematica del climate change si fa sempre più rilevante, diventa opportuno sfruttare l’occasione di riprogettare tali aree come chance per considerare, nel processo progettuale, il tema della gestione dei cambiamenti climatici e della conservazione ambientale.
La metodologia di ricerca adottata per mettere in luce questi aspetti è quella dell’analisi bibliografica e del caso studio, per permettere di individuare da un lato le aree maggiormente sensibili agli effetti del cambiamento climatico, dall’altro le prospettive di riqualificazione e sviluppo del waterfront che sappiano tenerne conto.
Attraverso lo studio del caso di Napoli, la ricerca ha l’obiettivo di approfondire quali modalità di intervento siano funzionali alla lettura, alla comprensione e alla sintesi dei temi che caratterizzano lo spazio di waterfront, definendo un approccio metodologico potenzialmente replicabile ed adattabile ai diversi contesti progettuali.
Dalla fase di conoscenza dei fattori che hanno contribuito a determinare l’attuale stato del waterfront, si è passati allo studio degli elementi che possono influire sui processi di trasformazione, per definire un quadro conoscitivo su cui basare le istanze trasformative con il precipuo scopo di definire un progetto calato sulla realtà. Passaggio fondamentale della ricerca è la dettagliata analisi del waterfront declinata secondo tre ottiche: socioeconomica, delle
accessibilità e funzionalità e della valutazione della vulnerabilità agli impatti climatici.
La ricerca mira a strutturare un approccio di analisi del waterfront proponendosi due finalità:
• implementare la capacità di lettura del waterfront mediante la riorganizzazione delle informazioni e l’arricchimento del patrimonio informativo mediante remote sensing analysis e ICT;
• strutturare i criteri e le fasi che permettano una lettura complessiva dell’area di waterfront per percepire le ricadute territoriali dei diversi problemi combinati ai rischi provenienti dagli impatti climatici.
Le diverse analisi elaborate fanno emergere in modo chiaro che il waterfront di Napoli si presenta come un caleidoscopio, successione di paesaggi diversi, ognuno palinsesto di specifiche stratificazioni. Una realtà complessa che alterna caratteristiche e scenari urbani notevolmente diversi tra loro, talvolta antitetici, ma che nel loro insieme generano un disegno unico ed irripetibile, universalmente riconosciuto. In base a quanto appena sostenuto, il cambio di scala occorrente per l’approfondimento, ha portato alla suddivisione del waterfront in sette transetti con caratteristiche omogenee ma con realtà diversificate, ognuna caratterizzata da proprie specificità fisico-morfologiche, storiche, socioculturali ed economiche. In particolar modo è stata identificata una metodologia che sia potenzialmente replicabile, previo adattamento e modellazione ai contesti di riferimento, definita scomporre per ricomporre. La metodologia in una prima fase scompone il waterfront napoletano per analizzarne ed enfatizzarne gli elementi di difficile valutazione in un’analisi a scala macro-territoriale, per poi ricomporlo attraverso la definizione di strategie secondo un sistema di azioni coordinate tra loro. La metodologia di analisi offerta, inoltre, si rivela un efficace strumento di analisi territoriale in quanto capace di identificare le aree che maggiormente subiscono gli effetti del cambiamento climatico.
Il lavoro, presa coscienza della complessità della tematica, presenta il caso di Napoli come emblematico della sfida contemporanea per una pianificazione innovativa basata su un approccio integrato e climate proof, in grado di coniugare sinergicamente le realtà della città, della costa e del mare in un quadro di sostenibilità territoriale e resilienza climatica. In questo senso, se in passato le operazioni di waterfront redevelopment mettevano al centro la reintegrazione nel sistema della città di vuoti urbani e di aree dismesse conseguenti a fenomeni di delocalizzazione, oggi l’emergenza costituita dalla gestione dei cambiamenti climatici ci spinge ad osservare la riqualificazione dei waterfront da un rinnovato punto di vista, che sappia integrare e fondere queste due
componenti.
Le operazioni di riqualificazione di tali aree rivestono quindi un ruolo fondamentale se attraverso un approccio innovativo e sinergico riescono ad incorporare, all’interno del processo di progettazione, le strategie di resilienza per consentire al waterfront di adattarsi in un’ottica capace di leggere le vulnerabilità territoriali e reindirizzare il progetto in termini di efficacia ed efficienza. La sfida della riqualificazione di nuova generazione è quindi
chiamata a integrare le differenti questioni finora esposte, con la necessità di evolversi da un approccio legato meramente al progetto verso una visione maggiormente adattiva, capace di far propria la consapevolezza che le questioni relative ai cambiamenti climatici e alla valorizzazione ambientale sono diventate estremamente complesse e necessitano una loro considerazione all’interno degli strumenti di pianificazione. - Sovrapposizione di nicchia tra sciacallo dorato (Canis aureus) e volpe (Vulpes vulpes) in un'area di simpatria nell'Italia Nord-Orientale (Carso Goriziano)
Dott.ssa Elena Costa
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale
Corso di laurea magistrale in Ecologia e Conservazione della NaturaSovrapposizione di nicchia tra sciacallo dorato (Canis aureus) e volpe (Vulpes vulpes) in un'area di simpatria nell'Italia Nord-Orientale (Carso Goriziano)
La teoria della somiglianza limitante prevede che, per coesistere, le specie in competizione si separino lungo una o più dimensioni della loro nicchia ecologica. In Europa, sin dalla metà del XX secolo, il range dello sciacallo dorato (Canis aureus) è in continua espansione, ma poco si sa su come interagisce con altri carnivori. La volpe e lo sciacallo dorato sono considerate specie generaliste sia livello trofico che di habitat.
A causa del drammatico declino delle grandi popolazioni di carnivori in Europa, entrambi sono diventati i principali predatori in alcune aree del loro areale. Abbiamo quindi indagato se si verifica la segregazione di nicchia tra sciacalli e volpi (Vulpes vulpes) nell'Italia nord-orientale, dove queste due specie sono simpatriche. Abbiamo preso in considerazione tre principali dimensioni di nicchia - habitat, dieta, tempo - e valutato l'entità della loro sovrapposizione. Da marzo 2017 a novembre 2018 la presenza delle specie target è stata registrata utilizzando tecniche di monitoraggio non invasive, ovvero il rilevamento di segni di presenza e il fototrappolaggio. Complessivamente sono state raccolte 370 osservazioni riconducibili alla presenza dello sciacallo dorato e 317 osservazioni riconducibili alla presenza della volpe. Abbiamo quindi analizzato la loro dieta attraverso l'analisi di campioni fecali da cui è emerso un consumo prevalente di ungulati selvatici da parte dello sciacallo (MV% = 50,34 ± 6,12), mentre la volpe ha consumato prevalentemente roditori (27,56 ± 3,81) e frutta (32,20 ± 3,98). È quindi risultata solo una parziale sovrapposizione trofica (indice di Pianka = 0,51 ± 0,01). I nostri risultati hanno inoltre confermato un'attività crepuscolare e notturna predominante di entrambe le specie e una sovrapposizione temporale molto elevata (Δ = 0,83). Per quanto riguarda la valutazione dell'habitat, i nostri risultati hanno mostrato un certo grado di suddivisione di quest’ultimo: lo sciacallo è risultato prediligere habitat con un’alta copertura vegetazionale evitando aree a prevalenza di seminativi intensivi e assenza di vegetazione, mentre la volpe è risultata ben adattata agli habitat più antropizzati come le aree agricole. Comunque abbiamo rilevato una sostanziale sovrapposizione di habitat (indice di Hurlbert = 0,77 ± 0,002) indice che entrambe le specie utilizzano le risorse in base alla disponibilità. In conclusione, è stata confermata solo una parziale sovrapposizione di nicchia tra le due specie; la volpe e lo sciacallo dorato si separano principalmente lungo la dimensione trofica, di conseguenza il loro uso dell'habitat differisce leggermente. La segregazione osservata molto probabilmente ha ridotto le interazioni interspecifiche tra i due carnivori alle dimensioni ecologiche analizzate.
- Magnetorecezione: come le tartarughe marine si orientano tramite il campo magnetico terrestre
Dott.ssa Veronica Bissiato
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la NaturaMagnetorecezione: come le tartarughe marine si orientano tramite il campo magnetico terrestre
Il termine magnetorecezione corrisponde, per le tartarughe marine, alla capacità di orientarsi nel corso delle loro migrazioni secondo il campo magnetico terrestre rilevato.
I cheloni manifestano abitudini filopatriche, ovvero tornano al luogo in cui sono nati - spiagge di nidificazione - per riprodursi e deporre le uova. Affidandosi alle correnti dominanti dell’oceano per compiere migrazioni nel corso dei loro primi stadi di vita, come possiedono la capacità di sapere dove si trovano rispetto alla loro area natale, e come riescono a raggiungerla?
Le tartarughe possiedono un senso bussolare, e per confermarlo sono stati compiuti test principalmente sulla specie Caretta caretta, tartaruga marina comune.
Tramite il test Mardia - Watson - Williams sono stati ricavati risultati importanti. Tale esperimento consisteva nel sottoporre esemplari di Caretta caretta a campi magnetici artificiali analoghi a quelli presenti lungo il perimetro del Vortice Nord Atlantico, una delle principali correnti dell’Oceano Atlantico sfruttate dalle tartarughe marine comuni. Le tartarughe rispondevano a tali stimoli orientandosi sempre verso direzioni che permettevano loro di rimanere all’interno della corrente senza deviazioni.
Concretamente, le informazioni che il campo magnetico fornisce ai cheloni sono la direzione verso cui si muovono (ad esempio, “Nord-Est”), la latitudine a cui si trovano - rilevando l’angolo di inclinazione magnetica delle linee di forza del campo - e probabilmente anche l’intensità del campo magnetico. La variazione di questi parametri lungo la superficie terrestre mentre esse migrano fornisce loro continuamente la posizione nell’oceano.
Ulteriori test di tipo neuroanatomico hanno mostrato che la regione del cervello attivata dalla risposta magnetica corrisponde al collicolo superiore. Probabilmente la sua funzione è integrare informazioni magnetiche, informazioni sensoriali e motorie.
Queste abilità straordinarie sono oggi fortemente alterate dall’inquinamento causato dalla plastica. L’ubiquità dei rifiuti di plastica interessa infatti molti habitat e microhabitat sfruttati dalle tartarughe, come la barriera corallina o zone di convergenza di correnti marine, le quali per i cheloni corrispondono a zone foraggiamento. Danni diretti causati dall’ingestione di materiale galleggiante, ad esempio, risultano a livello di controllo del galleggiamento e quindi nella destabilizzazione del nuoto. A lungo termine queste implicazioni si trasformano in problemi di malnutrizione e maggior vulnerabilità alle malattie, perciò potrebbero portare ad impatti ecologici a livello di popolazione per i cheloni.
- Un confronto fra gli insetti pronubi di magredo evoluto, prato fiorito da sementi ed incolto
Dott. Giacomo Stokel
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali
Corso di Laurea in Scienze per l’Ambiente e la NaturaUn confronto fra gli insetti pronubi di magredo evoluto, prato fiorito da sementi ed incolto
In tempi recenti si è assistito ad un cambiamento nell’uso del suolo, per cui sono aumentate le zone antropizzate a discapito di quelle naturali, con una perdita di habitat che si è tradotta in una diminuzione della biodiversità. In tale contesto si inserisce la questione degli impollinatori, animali che visitano i fiori ed in grado di trasferire polline permettendone la fecondazione incrociata. Essi sostentano l’ambiente e la sua diversità attraverso questo meccanismo mutualistico, dato che ricevono in cambio il proprio nutrimento. Tuttavia, se da un lato essi sostentano l’ambiente, dall’altro l’ambiente sostenta loro, per cui la perdita di habitat naturali causa la diminuzione degli impollinatori e dei servizi ecosistemici ad essi correlati, quali alimenti, materiali, regolazione del clima ed altri ancora. Per contrastare questa perdita di ambienti naturali, di impollinatori e di prodotti e servizi da essi forniti, si può agire tramite la gestione oculata degli ambienti antropizzati. Per fare ciò servono delle piante che siano idonee, ovvero che risultino attrattive e nutritive per gli insetti, in modo da far aumentare il numero degli impollinatori e mantenere detti servizi ecosistemici. Lo scopo del presente lavoro di tesi è quindi quello di individuare quali sono alcune delle piante e degli ambienti più adatti a ricreare condizioni di semi naturalità, in modo da essere utili per i pronubi.
Considerando la naturalità dei magredi evoluti e l’elevata antropizzazione degli incolti, all’interno dell’azienda agraria “Antonio Servadei” dell’università di Udine è stata individuata un’aiuola piantata con sementi da prato magro, ideata dallo spin-off dell’università di Udine “SemeNostrum”, idonea per attuare un confronto tra essa e i due ambienti precedenti, valutando inoltre la possibilità che sia in grado di sostenere una comunità di impollinatori varia e numerosa. Questi tre ambienti sono posizionati all’interno della periferia sud di Udine, nella località di Sant’Osvaldo, e sono caratterizzati dalla reciproca vicinanza e da un sufficiente isolamento. Inoltre, posto in posizione baricentrica fra i tre, vi è l’apiario sperimentale dell’università di Udine, utile per ulteriori analisi ai fini dello studio.
All’interno dei tre ambienti sono state condotte diverse analisi: il rilievo della vegetazione con il metodo di Braûn-Blanquet; il calcolo della dissimilarità con l’indice di Jaccard; la cattura dell’entomofauna tramite retino, eseguita su tre transetti all’interno di ogni ambiente; la conta a vista dei pronubi presenti sugli individui in fiore, condotta in contemporanea con il rilievo floristico degli stessi e sempre usando i transetti; l’analisi palinologica, eseguita tramite apposite trappole poste nelle arnie dell’apiario, da cui poi sono state riconosciute le specie vegetali di origine. Dal rilievo della
vegetazione si è evinto che l’incolto si presenta come un mosaico non caratterizzabile vegetazionalmente, ma comunque con specie ruderali, mentre per quanto riguarda l’aiuola essa non ha una vegetazione diagnosticabile per definizione, ma tuttavia rassomiglia al prato magro come specie presenti. Quest’ultimo, secondo la classificazione di Poldini, è un Chamaecytiso hirsuti-Chrysopogonetum grillii, ovvero un prato magro evoluto della pianura padana nord-orientale. Esso presenta la maggior ricchezza floristica, indicata dal numero di specie e confermata dagli indici di diversità di Shannon e di equitabilità di Pielù; segue l’aiuola, data anche la similitudine, ed infine l’incolto, il quale presenta i valori minori dei tre parametri. Questi dati sono confermati dalle analisi della dissimilarità tra gli ambienti, effettuate con l’indice di Jaccard. Per quanto riguarda la cattura degli insetti nei tre ambienti, si nota come la maggior abbondanza di entomofauna sia nel prato magro, con l’aiuola a porsi da intermedio tra esso e l’incolto. Con la conta a vista dei pronubi sugli individui in fiore, invece, si è osservato come l’ambiente più ricco di impollinatori sia l’aiuola, con un maggior numero di api e di altri Apoidei, mentre bombi ed altri pronubi sono presenti in quasi egual numero nell’aiuola e nel prato magro. Confrontando questi risultati con il metodo della cattura e considerando che gli impollinatori appartengono agli ordini dei Coleotteri, Ditteri, Lepidotteri e alla superfamiglia degli Apoidei, risulta superiore il prato magro mentre l’incolto risulta come l’ambiente meno visitato. Per quanto riguarda le piante in antesi osservate durante il rilievo floristico condotto in contemporanea, nell’incolto si sono osservati in totale 67 individui, meno di un decimo rispetto agli altri due ambienti, i quali presentano risultati analoghi a riprova della loro similarità. Correlando i valori ottenuti dalla conta degli insetti impollinatori e del numero dei fiori in antesi si ottiene una relazione lineare, ovvero all’aumentare delle piante in fiore aumentano i pronubi che le impollinano. Considerando la maggior difficoltà nel catturare i pronubi rispetto all’osservarli, ed anche che con la conta a vista si ha un’immediata correlazione fra essi e la flora visitata, si è ritenuto più attendibile il secondo metodo, che vede appunto l’aiuola come ambiente preferito dagli impollinatori. Infine, dai campioni di polline analizzati si desume che le api abbiano bottinato piante appartenenti a tutti e tre gli ambienti studiati, cercando le risorse ove disponibili; ciò è da considerare come dato aggiuntivo e non confutante i precedenti dal momento che riguarda le sole api domestiche, mentre nell’aiuola e nel prato magro vi è una grande abbondanza di pronubi selvatici. Confrontando i risultati ottenuti con la bibliografia, si evince che le specie floristiche di interesse per gli impollinatori che sono state osservate hanno dei riscontri nella stessa, sia per i pronubi domestici sia per quelli selvatici, inoltre i risultati riguardanti la relazione tra flora ed impollinatori sembrano in linea con quanto enunciato nella letteratura consultata.
Pertanto, l’aiuola piantata a sementi si presenta simile al prato magro dal punto di vista floristico e dell’entomofauna impollinatrice, e da ciò si desume che tramite l’utilizzo di sementi adeguate come quelle presenti nell’aiuola dello studio, soprattutto se autoctone, si può contribuire al sostentamento dei pronubi tramite parchi e giardini in cui esse siano state seminate in modo da renderli simili agli ambienti naturali. Si ottiene così un processo circolare a feed-back positivo in cui l’ambiente sostenta la comunità di impollinatori i quali favoriscono la biodiversità vegetale e, conseguentemente, quella animale, il tutto a favore dell’ambiente stesso. Per cui, più in generale, mantenendo la naturalità di un ecosistema, ricreandola in ambienti semi naturali, e pure tramite la gestione di parchi e giardini con sementi bee-friendly, si migliora la biodiversità locale e la sua resilienza ai disturbi antropici e non.
- Archeologia Ferroviaria Sostenibile: Nuovo Parco Metropolitano per l’Ex Scalo Merci di Venezia Mestre
Dott.ssa Lucia Alfano
UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Dipartimento di Culture del Progetto
Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Culture del ProgettoArcheologia Ferroviaria Sostenibile: Nuovo Parco Metropolitano per l’Ex Scalo Merci di Venezia Mestre
Il progetto di tesi “Archeologia Ferroviaria Sostenibile : Nuovo Parco Metropolitano per l’Ex Scalo Merci diVenezia Mestre” si sviluppa nel contesto del progetto SEEDING, proposto dall’ Università di TU Delft (NL) per il bando Horizon 2020, SCC 02-2016-2017 per promuovere Soluzioni Innovative attraverso le Nature Based Solutions in ambito di rigenerazione urbana. NBS affronta la tematica della gestione e dell’uso della natura al fine di affrontare importanti sfide socio-ambientali (es. cambiamento climatico, rischio idrico, inquinamento idrico, gestione dei rischi) attualmente in sperimentazione nell’ Architettura del Paesaggio. NBS è anche un modo per ripensare le infrastrutture urbane, considerate come tutto ciò che nutre e sostiene la vita. Attraverso l’introduzione di diversi tipi di Urban Landscape Labs, il progetto promuove nuove strategie per la “naturalizzazione” delle città, a partire dai Drosscape e dal recupero dell’esistente, sostenendo la partecipazione sociale durante le fasi decisionali e gestionali del processo, garantendo così l’ottimizzazione qualitativa e funzionale dello spazio pubblico, in termini di vivibilità e di conservazione attiva del sito nel medio-lungo termine. Le NBS riconoscono il potere della natura nel fornire soluzioni funzionali che sostengono e implementano gli ecosistemi naturali, servendoli in maniera intelligente, alternativa all’ingegneria grigia. Una parte fondamentale di questo linguaggio è l’idea del ridisegno del Paesaggio, basata sulla multidisciplinarietà della materia, la flessibilità degli spazi, attraverso le NBS, in tempi e scale diverse. Il progetto identifica 14 città divise in pilota e seguaci, al fine di creare una rete di analisi e monitoraggio tra esse, per studiare gli effetti delle nuove realtà spaziali e generare modelli-pilota da applicare in analoghe realtà. Il progetto riferito alla città pilota di Mestre viene esaminato ed approfondito nel presente studio, identificando il Drosscape in disuso dell’Ex Scalo Merci della stazione di Venezia Mestre, caratterizzato da una rottura del tessuto urbano, una mancanza di integrazione tra infrastruttura e paesaggio circostante, nell’evidenza ambientale di diffusi fenomeni di degrado, inquinamento, rischio idraulico e mancanza di una specifica identità.
Di significativa importanza l’attività di ricerca introduttiva sulle NBS, svolta dalla scrivente presso l’Università di TU Delft - Dipartimento di Urbanistica, nel gruppo di ricerca Delta Urbanism, un programma interdisciplinare, che sostiene strategie di progettazione urbana, del paesaggio e della pianificazione, al fine di protezione idraulico-geologico in chiave sostenibile. In tale contesto, il materiale della Litterature si ricollega alle attuali migliori pratiche attuate in Europa e al tema dell’ Ecologia del Paesaggio, abbracciando le teorie ecologiche di Ian L. McHarg, Richard TT Forman e le teorie del paesaggio urbano come James Corner, Pierre Belanger, considerate nuove basi per il “ Designing Thinking “. Il Nuovo Parco Naturale dell’ Ex Scalo Merci utilizza l’inserimento di un sistema verde e di un’infrastruttura lenta, in un’area urbana residuale interessata da rischio idrologico, inquinamento acustico, carenza di stock di carbonio organico nel suolo e volumi edilizi in disuso, proponendo per i primi un sistema organico di canali e bacini artificiali atti a contenere le criticità idrologiche, la bonifica del terreno inquinato rigenerato a verde pubblico attrezzato e la riconversione funzionale e statica dei manufatti preesistenti con nuove attribuzioni di uso collettivo, in osservanza delle recenti norme Regionali in materia (Contenimento Consumi del Suolo LL.RR. nn. 14-40-44). - Paradigmi di sviluppo sostenibile. Il caso ASviS
Dott. Enrico Fedi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Corso di Laurea in Scienze Internazionali e DiplomaticheParadigmi di sviluppo sostenibile. Il caso ASviS
Data l’emergenza climatica e le disuguaglianze sociali sempre più inasprite che il nostro pianeta sta affrontando, la comunità internazionale si è trovata dinnanzi problemi ambientali di urgente rilevanza. Il nostro stesso futuro è messo a repentaglio. È stato finalmente capito che il modello economico tutt’oggi predominante è incompleto in quanto non tiene conto di certi elementi fondamentali e si fonda su delle superficiali valutazioni di concetti come ricchezza, crescita, equilibrio e ecosistema. In risposta a ciò, si è formato un nuovo concetto di sviluppo che sta prendendo sempre più rilevanza in seno al dibattito politico e accademico (talvolta in modo inflazionato) che non può non tener conto dell’ambiente nelle sue valutazioni di sostenibilità. Difatti, lo sviluppo sostenibile è tale in quanto si realizza secondo le necessità dell’ambiente, dei suoi stock e cerca la maniera più appropriata, lungimirante e democratica possibile di garantire un futuro, in cui ciò che fino a ieri era considerato essere un’esternalità (l’ambiente) è oggi elemento chiave dello sviluppo.
La tesi ha proprio voluto rendere conto della rivalutazione ambientale portata avanti da questo nuovo paradigma. Tuttavia, lo sviluppo sostenibile è un concetto multidimensionale e conseguentemente vago. Questo ha permesso l’evoluzione di numerose sue declinazioni, sintetizzabili nella macro-divisione tra sostenibilità a carattere forte e debole. Ciò che è interessante vedere è come l’ambiente – o meglio, il valore dato al capitale naturale – sia in gran parte il discriminante di questa differenza. Dalla maniera di concepire l’ambiente e le sue risorse discendono diversi paradigmi di sviluppo sostenibile, di innovazione tecnico-scientifica coerenti a tali modelli e conseguentemente di futuri percorsi per il nostro pianeta.
Lo sviluppo sostenibile considera dunque l’ambiente in differenti maniere. Questo discende da diversi fattori dal carattere culturale, istituzionale e di ratio economica. La tesi ha voluto notare come l’ambiente è vissuto dalle nostre società, come la sua concezione si è evoluta nel tempo ma soprattutto ha voluto analizzare come le interazioni tra sviluppo sostenibile e innovazione
tecnologica si configurano in base al valore dato alla natura. Mostrando dunque il carattere politico e non assolutamente univoco dello sviluppo sostenibile è stato ancora una volta enfatizzato il ruolo della natura, la cui conservazione ed evoluzione sembrano oggi dipendere solo da noi, in un’era che non per caso è chiamata Antropocene.
La tesi ha infine effettuato un caso di studio per dare valore empirico a quanto detto. È stato infatti analizzato alla luce delle precedenti premesse quale approccio di sostenibilità ha interiorizzato l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), portavoce in Italia degli SDGs dell’Agenda 2030. In questo modo si è potuto analizzare l’approccio alla sostenibilità (dal carattere forte) della più grande alleanza per lo sviluppo sostenibile della nazione. Ciò ha permesso di dipingere un quadro riguardante la visione italiana dell’ambiente, dando un messaggio sia critico-razionale che speranzoso per l’ambiente a livello nazionale e internazionale.
- Analisi e confronto di dati ground penetrating radar (2004 e 2015) da terra e da elicottero per la stima delle variazioni di volume del ghiacciaio della Marmolada (Alpi Orientali)
Dott.ssa Ilaria Santin
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Matematica e Geoscienze
Corso di Laurea Magistrale in GeoscienzeAnalisi e confronto di dati ground penetrating radar (2004 e 2015) da terra e da elicottero per la stima delle variazioni di volume del ghiacciaio della Marmolada (Alpi Orientali)
L’obiettivo di questo lavoro di tesi è di ottenere un bilancio di massa del Ghiacciaio della Marmolada tra il 2004 e il 2015 attraverso il confronto di due dataset di dati Ground Penetrating Radar (GPR) acquisiti, il primo, a terra e, il secondo, da elicottero. Entrambi i dataset sono stati prima sottoposti a processing, volto a correggere gli errori in fase di acquisizione e per favorire la successiva interpretazione con lo scopo finale di costruire le mappe di spessore del ghiaccio. Per quantificare correttamente le variazioni di un ghiacciaio nell'ottica di un monitoraggio utile, anche in vista della predizione di scenari futuri, è necessario considerare, non solo le variazioni di area e di posizione della fronte, ma anche le variazioni in termini composizionali e tipologiche (materiali ghiacciati aventi diversa densità), le modifiche volumetriche e, soprattutto, la variazione del contenuto d’acqua (w.e.). Grazie all’utilizzo dei dati GPR è stato possibile analizzare le differenti unità ghiacciate e calcolare la variazione di spessore, area, volume e conseguentemente di w.e. nell’arco di tempo considerato. I risultati ottenuti dimostrano che il bilancio di massa per il Ghiacciaio della Marmolada tra il 2004 e il 2015 è significativamente negativo, pari a -5,4 m w.e., sintomo di un periodo di sofferenza per il ghiacciaio. Il volume, e di conseguenza la massa, del ghiacciaio è diminuito del 26%, mentre l’area del 12%. Un’ulteriore valutazione per evidenziare il ritiro del ghiacciaio è stata l’analisi dell'arretramento della linea che marca lo spessore pari a 15 m: la linea, infatti, oltre a essere arretrata verso monte (Sud) di circa 90 m, nel periodo in esame è passata da una forma decisamente convessa ad una rettilinea con tratti convessi, a dimostrazione della rilevante evoluzione subita dal ghiacciaio. Lo spessore del ghiaccio passa da un valore medio di 25 m a 16 m, con variazioni molto più marcate nelle aree più a valle (centro-Nord). Le zone con spessore maggiore hanno infatti subito una variazione, nel complesso, più limitata. Prendendo come riferimento il lavoro di Crepaz et al., 2013, in cui è stata calcolata una variazione del w.e. nel periodo 2004-2009 pari a -5,05 m, il risultato raggiunto in questo lavoro di tesi (-5,4 m w.e. in 11 anni) non contrasta con il precedente risultato se si considera che nel periodo dal 2009 al 2015 ci sono stati due inverni record per la quantità di neve caduta durante la stagione di accumulo, che hanno permesso un rallentamento dell’arretramento dei ghiacciai più grandi, come la Marmolada. Tuttavia, il risultato ottenuto rimane senza dubbio un dato molto rilevante e significativo, in quanto il ghiacciaio ha perso più di un quarto della sua massa in soli 11 anni. Da questo lavoro, si può concludere quindi che il confronto fra volumi derivati da dati GPR è un dato attendibile ed estremamente dettagliato che costituisce la base per previsioni sull’evoluzione futura di corpi glaciali e che l’analisi attraverso un metodo che consideri l’andamento dello spessore del ghiaccio è fondamentale per ogni determinazione realistica e realmente quantitativa del bilancio di massa. Inoltre, il GPR si è dimostrato strumento geofisico molto utile per identificare ed analizzare i diversi materiali presenti e le loro caratteristiche fisiche. Infatti, oltre allo strato di neve di copertura e allo spessore di ghiaccio, sono state identificate due risposte elettromagnetiche differenti del ghiaccio al segnale radar, che hanno permesso di discriminare la presenza o meno di acqua libera all’interno.
- La questione ambientale in Italia: Dai movimenti alla politica
Dott. Enrico Moro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Corso di Laurea in Scienze Politiche e dell’AmministrazioneLa questione ambientale in Italia: Dai movimenti alla politica
La tematica ambientale pare essere all'ordine del giorno in quasi tutto il vecchio Continente. Probabilmente "l'effetto Greta Thunberg" ha fatto presa sull'animo di molti, aumentando la loro sensibilizzazione a tal punto da voler collegare la questione ambientale ad una rappresentanza forte dal punto di vista politico.
L’occasione c’è stata tra il 23 e il 26 maggio 2019 in quanto si sono tenute le elezioni in tutti i 28 Stati membri dell'Unione europea. È stata, dunque, ridisegnata la composizione del parlamento europeo per la sua IX legislatura.
In questa sede intendo approfondire le ragioni storiche, sociali ed economiche per cui i partiti verdi, alle elezioni, siano riusciti a guadagnarsi il quarto gradino come forza politica europea, in controtendenza con la tornata elettorale del 2014 (sono passati da 50 a ben 73 seggi assegnati), soffermandomi maggiormente sul caso Italiano, dove, al netto di un discreto miglioramento (dallo 0,90% del 2014 al 2,32% del 2019) non sia riuscito a stare "al passo" di altri Stati come Germania, Francia,Regno Unito e Austria.
Tuttavia, in un anno in cui il delicato equilibrio europeo sembra minacciato dalle forze sovraniste, dove i problemi economici diffusi sul continente sembrano aumentare, parlare solo d'ambiente non basta a convincere l'elettorato. Infatti nella nuova squadra di governo "giallo-rosso" (nata tra la coalizione del Movimento5stelle e Partito Democratico) emerge la dichiarazione del nuovo ministro allo sviluppo economico Stefano Patuanelli: "A me soddisfa di aver messo al centro dell'interesse del paese l'ambiente. Non tanto come elemento da proteggere ma come vero motore dell'economia del paese". Pare dunque che i partiti, attualmente di maggioranza, si siano appropriati della causa ambientale. Come dovrebbero reagire i verdi davanti a questo fatto? rivedere il programma politico? Andrò, dunque, a commentare il programma politico dei Verdi e a confrontarlo con il programma dei Grünen tedeschi (secondo partito tedesco alle elezioni del 2017 con 67 seggi) analizzandone le differenze. Infine, interessanti interviste agli esponenti politici più vicini alla causa ambientale, cercando di comprendere le prospettive future del partito ed eventualmente le strategie attuabili.
- Arte ed enogastronomia come offerta di qualità nelle terre del Collio e dei Colli orientali
Dott.sa Laura Fiorino
UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea triennale in Scienze del TurismoArte ed enogastronomia come offerta di qualità nelle terre del Collio e dei Colli orientali
Il Friuli Venezia Giulia è una regione ricca di cultura, arte e storia vista nei suoi patrimoni UNESCO, villaggi autentici, dimore storiche e intatti borghi pittoreschi con i loro caratteristici musei tematici. Spesso e purtroppo però, queste perle artistiche del territorio non sono abbastanza conosciute in Italia e all'estero oppure potrebbero essere promosse ancora di più.
Ma non solo, la regione possiede anche un'eccellenza enogastronomica variegata e distribuita in tutte le sue declinazioni. In particolare, quella vinicola con le cantine conferisce al territorio una sua unicità ed esclusività, confermata anche dalla scelta del capoluogo Trieste come sede dell'evento IWINETC 2020 (l'evento più importante al mondo per il settore del wine tourism). Eventi di massa dedicati al vino, come Cantine Aerte, sono presenti e di successo nella regione ma l'obiettivo è spostare il focus da questi ad un turismo e ad un target di nicchia, disposto a spendere somme abbastanza importanti che restino sul territorio, in modo da garantirne uno sviluppo sostenibile e contemporaneamente anche la valorizzazione del patrimonio artistico.
L'idea consiste, quindi, nell' unione di questi due prodotti, arte ed enogastronomia, per mostrare un volto nuovo del Friuli Venezia Giulia che cerca di far conoscere i suoi patrimoni e le sue ricchezze nascoste anche grazie al vino e alla buona cultura del cibo.
- What engagement prioritisation and motives do consumers have across different green conducts that contribute to a more sustainable food system?
Dott.sa Elisa Marchesan
UNIVERSITÀ DI STRATHCLYDE, GLASGOW
Department of Civil and Environmental Engineering
MSc in Sustainability and Environmental StudiesWhat engagement, prioritisation and motives do consumers have across different green conducts that contribute to a more sustainable food system?
L’attuale settore alimentare danneggia pesantemente il nostro pianeta, colpendo i corsi d’acqua, i cicli degli elementi nutritivi e la biodiversità. Produce rifiuti dannosi, alimenta la deforestazione, sfrutta le risorse naturali e contribuisce ampiamente a causare i cambiamenti climatici. Acquisti più sostenibili da parte dei singoli acquirenti possono coadiuvare un cambiamento verso un sistema alimentare più sostenibile. L’obiettivo di questa ricerca è di analizzare l’impegno e la priorizzazione dei consumatori rispetto alla sostenibilità alimentare, in relazione alle loro caratteristiche sociodemografiche, sociali e psicologiche. Lo studio mette anche in luce il gap tra atteggiamento e comportamento rilevato rispetto alle varie azioni green selezionate, ed esamina i fattori che ostacolano e facilitano la sostenibilità alimentare dal punto di vista del consumatore.
Questo studio è stato condotto tramite la somministrazione di un sondaggio alla popolazione civile nella regione Friuli Venezia-Giulia. Per la prima parte del questionario, le risposte a scelta multipla sono state convertite in dati quantitativi, a partire da cui è stata condotta un’analisi sullla correlazione di Pearson, per determinare la relazione tra i diversi fattori determinanti e i livelli di impegno e priorizzazione. La parte finale del questionario, incentrata su barriere ed incentivi per acquisti alimentari più ecologici, è stata strutturata sotto forma di domande aperte, così da agevolare un approccio analitico qualitativo.
Secondo i risultati riscontrati, le donne si impegnano sistematicamente più degli uomini nella sostenibilità alimentare. I gradi di priorizzazione e impegno sono più strettamente correlati con le Norme Personali (NP), la Gravità del Danno Percepita (GDP) e la Partecipazione alle Tematiche Ambientali (PTA). Una correlazione moderatamente robusta è stata anche osservata tra le NP e le norme sociali, nonché tra NP e PTA. Il Livello d’Informazione è risultato essere sistematicamente correlato con il grado di priorizzazione delle diverse azioni green. Le principali barriere osservate sono il prezzo maggiorato dei prodotti ecologici assieme alla loro limitata diffusione e fruibilità nella grande distribuzione. L’elemento incentivante più menzionato è la necessità di un’informazione ambientale più diffusa e trasparente. Il gap più rilevante tra atteggiamento e comportamento è stato osservato per la riduzione degli imballaggi. Il consumo di prodotti biologici ha mostrato il grado di impegno più basso, il ché potrebbe ricollegarsi a prezzi maggiorati, sfiducia nella certificazione biologica e bassi livelli d’informazione. Infine, la riduzione di prodotti di origine animale ha mostrato il grado di priorizzazione più basso e ha prodotto risultati confusi sotto diversi aspetti.
- Analisi dei principali fattori coinvolti nella germinazione pollinica: lo ione calcio e il pH
Dott.sa Demi Vattovaz
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea in Scienze e tecnologie biologiche - Curriculum BiotecnologieAnalisi dei principali fattori coinvolti nella germinazione pollinica: lo ione calcio e il pH
L’analisi proposta ha come obiettivo quello di mettere in evidenza i meccanismi coinvolti nella germinazione pollinica e i fattori che incidono in maniera rilevante sul processo di allungamento del tubetto pollinico, tappa chiave dell’impollinazione poiché consente l’effettiva fertilizzazione dell’ovulo.
I protagonisti della protrusione del tubetto pollinico sono:
• il citoscheletro, che viene rimaneggiato continuamente per permettere l’allungamento della struttura;
• l’esocitosi, cioe quel processo cellulare attraverso cui il granulo pollinico riversa sostanze accumulate all’interno di vescicole verso l’ambiente esterno;
• il materiale di parete, costituito principalmente da pectina.
Una volta che il granulo pollinico che contiene i gameti maschili giunge sulla struttura femminile, si reidrata e inizia questo processo estremamente delicato. I fattori che lo influenzano sono numerosi: tra questi troviamo la concentrazione di calcio (sotto forma di catione bivalente Ca2+) e di ioni idrogeno (H+), che determina il pH del substrato in cui il granulo pollinico germina.
Questi due parametri possono essere modificati dall’impatto antropico: gli inquinanti aerodiffusi, depositandosi sull’organo riproduttivo femminile, ne inducono una modificazione la quale può avere effetti negativi sulla germinazione pollinica e di conseguenza sull’intero processo riproduttivo. Diventa quindi fondamentale monitorare gli inquinanti già presenti nell’aria e i nuovi materiali (come per esempio il grafene) che nel futuro entreranno a far parte del particolato atmosferico per salvaguardare la germinazione pollinica.
- Criminalità e inquinamento: un’analisi degli eco-reati attraverso i casi della Valle del Sabato e di Sant’Arcangelo Trimonte
Dott.sa Ilaria Marino
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Scienze criminologiche per l’investigazione e la sicurezzaCriminalità e inquinamento: un’analisi degli eco-reati attraverso i casi della Valle del Sabato e di Sant’Arcangelo Trimonte
La tesi ha lo scopo di analizzare gli eco-reati a partire dalla definizione delle attività dell'ecomafia e dei settori che la compongono. L'emanazione della legge numero 68 del 2015 ha fatto sì che nel codice penale fossero inserite nuove fattispecie di reato che riguardano nello specifico l'ambiente. Con l'introduzione dei reati di disastro ambientale, inquinamento ambientale, delitti colposi contro l’ambiente, traffico e l’abbandono di materiali ad alta radioattività, impedimento al controllo, molti sono stati i cambiamenti nell'ambito delle attività delle ecomafie. Infatti, lo scopo della legge è stato quello di andare a colpire pratiche scorrette e dannose per l’ambiente. L’andamento di tale fenomeno viene costantemente monitorato da Legambiente che ogni anno stila un rapporto contenente numeri e storie sull'ecomafia in Italia. Da questo rapporto è emerso che la Campania è al primo posto per numero di illeciti contro l’ambiente. Con l’emanazione della legge le cose sembrano migliorare. Molto, però, c'è ancora da fare rispetto al fenomeno dell'inquinamento da parte delle industrie e della cattiva gestione dello smaltimento dei rifiuti. Esistono normative adeguate che hanno come obiettivo la tutela dell'ambiente e della salute. Nei casi analizzati - quello della Valle del Sabato e quello della discarica di Sant'Arcangelo Trimonte - si è registrata, e si registra ancora oggi, una grave violazione delle norme in materia ambientale e, allo stesso tempo, si creano i presupposti per i reati presenti nella legge numero 68/2015. Non solo: nella provincia di Avellino e in quella di Benevento c’è stata una violazione delle direttive europee in materia ambientale che ha avuto come conseguenza anche una violazione del diritto alla salute e a vivere in un ambiente sano. Le zone dell’entroterra campano, contrariamente a quanto si pensa, non sono immuni alla diffusione della criminalità ambientale: che sia stato per errore o per profitto, i reati ambientali nel territorio hanno fatto registrare una situazione di grave inquinamento che, nei casi specifici, va ormai avanti da molti anni. È difficile monitorare la situazione, ed è ancor più difficile tentare il percorso della bonifica dati i costi troppo elevati che ricadrebbero sulla popolazione. Oltretutto, questi reati sono silenziosi. Non sempre ci si accorge dell’inquinamento ambientale e non si conoscono bene le conseguenze che quest’ultimo può avere sulla salute. Inoltre, le caratteristiche delle attività illecite legate all’ambiente sono anche poco conosciute, soprattutto tra i giovani universitari italiani che hanno fatto parte del campione oggetto della ricerca presente nell'elaborato. La motivazione che può esserci alla base di questa scarsa consapevolezza rispetto al fenomeno può riguardare il fatto che, molto spesso, questo tipo di attività vengono associate ad aspetti del tutto diversi dalle caratteristiche vere e proprie della criminalità ambientale e, allo stesso tempo, le maggiori informazioni rispetto all’argomento provengono dalla televisione che non sempre riesce a fornire le notizie in modo completo. Ecco perché esiste una conoscenza frammentata e confusa della criminalità ambientale.
- Due itinerari geo-naturalistici nel Carso isontino
Dott.sa Sara Stella
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea in Scienze e tecnologie per l'Ambiente e la NaturaDue itinerari geo-naturalistici nel Carso isontino
Questa Tesi ha come oggetto la realizzazione di due itinerari geologico-naturalistici sul Carso isontino e si pone come obiettivo di fornire, a chi li percorre, conoscenze e approfondimenti sugli aspetti di tipo geologico, paleontologico, botanico e storico del territorio.
L’elaborato si divide in due parti. Nei primi due capitoli si vuole inquadrare l’area di studio in modo multidisciplinare, illustrando brevemente dapprima il concetto di carsismo, i processi che lo generano e le varie forme carsiche, per passare poi col capitolo successivo al Carso isontino nel dettaglio, in cui vengono fornite informazioni di carattere geografico, geologico, geomorfologico, stratigrafico, idrogeologico e vegetazionale di tale area. I concetti espressi in tali capitoli sono propedeutici alla buona comprensione di quanto esposto successivamente, e verranno in parte ripresi.
Nella seconda parte vengono proposti i due percorsi geologico-naturalistici. Il primo itinerario si sviluppa in parte nella Riserva dei laghi di Doberdò e di Pietrarossa, tra l’abitato di Doberdò e il paese di Marcottini. Il secondo prende invece in esame la zona tra Fogliano e le alture di Polazzo. Entrambi gli itinerari sono suddivisi in vari stop posti in corrispondenza di punti di particolare interesse geologico o paleontologico, corredati da più foto descrittive, e sono strutturati in modo da seguire un percorso "ad anello". Questo non vuole rappresentare un percorso obbligato per il visitatore, che può decidere autonomamente quale tratto percorrere, personalizzando l'itinerario utilizzando la vasta rete di sentieri che caratterizza il territorio, partendo dallo stop/punto di interesse che desidera osservare e approfondire, ad imitazione dei concetti della museologia moderna.
Il fine ultimo del presente lavoro è quello di voler dare risalto agli aspetti più evidenti del carsismo epigeo ed ipogeo e avvicinare il visitatore alla scoperta di tali fenomeni e i processi che li hanno generati. Spesso, infatti, nel materiale divulgativo che viene fornito ai visitatori delle aree protette del Carso (sia triestino che isontino), i fenomeni carsici sono descritti sommariamente, non vengono indicati gli affioramenti e le forme più caratteristiche e vengono messi in secondo piano rispetto agli aspetti vegetazionali e storici, pur importanti, di queste aree.
- Il tamia siberiano Eutamias sibiricus in Italia: status delle popolazioni, analisi della nicchia ecologica e del rischio di future invasioni
Dott. Rudy Zozzoli
UNIVERSITÀ DI PARMA
Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale
Corso di Laurea Specialistica in Ecologia e Conservazione della NaturaIl tamia siberiano Eutamias sibiricus in Italia: status delle popolazioni, analisi della nicchia ecologica e del rischio di future invasioni
Il tamia siberiano Eutamias sibiricus (Laxmann 1769) è un piccolo roditore terragnolo (95-100 g) della famiglia Sciuridae, originario dell'Eurasia nord-orientale, dalla Finlandia alla Corea. È molto apprezzato dal punto di vista estetico, per questo è lo scoiattolo più commercializzato e venduto come animale domestico dagli anni '60. È stato inoltre accidentalmente o intenzionalmente rilasciato nelle foreste e nei parchi urbani in Francia, Italia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Giappone. In Italia sono state segnalate delle popolazioni in due parchi urbani a Roma (Villa Ada e Villa Doria-Pamphilii), nel Parco Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio (Verona) e lungo il fiume Piave in provincia di Belluno.
Gli impatti dei tamia introdotti sono scarsamente documentati in Europa: è stata ipotizzata la competizione con piccoli roditori nativi e uccelli ed è stata documentata una perdita economica a causa di danni alle colture di cereali e girasole. Studi condotti in Francia hanno dimostrato che il tamia siberiano può contribuire alla propagazione della borreliosi più dei roditori nativi, aumentando il rischio di infezione da parte dell’uomo.
Nonostante questo, le popolazioni italiane sono state ignorate fino ad ora.
Pertanto, gli obiettivi di questa tesi di laurea sono stati:
- Delineare una mappa aggiornata della distribuzione di Eutamias sibiricus, valutando l'idoneità ambientale per questa specie al di fuori del suo range di distribuzione nativo;
- Aggiornare le conoscenze sul successo di naturalizzazione delle popolazioni segnalate in Italia;
- Valutare la carica parassitaria dei tamia in Italia, effettuando uno screening per Borrelia burgdorferi;
- Valutare eventuali differenze nell'uso dell'habitat tra il tamia siberiano (introdotto) e lo scoiattolo rosso europeo (nativo) quando in sintopia.
Gli strumenti utilizzati per la raccolta dati sono stati principalmente due: gli hair tubes, ovvero tubi in PVC ideati per attrarre gli animali con un’esca in modo che lascino del pelo su una superficie adesiva; e le trappole Sherman per le catture dirette. A completare il database si è affiancata un’estesa ricerca bibliografica (nelle 9 lingue più utilizzate nella letteratura scientifica mondiale) al fine di ottenere una mappa di distribuzione della specie.
Da questo studio è quindi emerso che:
- Oltre il 60% delle popolazioni aliene ancora presenti in Europa risiede in parchi urbani dove spesso questi scoiattoli rappresentano un'attrazione turistica.
- I modelli di distribuzione spazialmente espliciti hanno mostrato come il tamia potrebbe avere un elevato potenziale di espansione così come suggerito dalla bibliografia e dal modello di distribuzione per la (sotto)specie coreana (a cui gli esemplari in Italia appartengono), che mostra in Europa un’elevata estensione di aree idonee al suo insediamento.
- Lo status delle popolazioni italiane è stato aggiornato: la più grande popolazione di tamia siberiano (riportata per il tratto sinistro del fiume Piave in provincia di Belluno, tra Limana e Lentiai) è risultata essere pressoché estinta, fatta eccezione per 1-2 individui nelle vicinanze di una villa privata in condizioni di semicattività. Al momento, il nucleo più consistente (un centinaio di animali) è presente presso il Parco Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio (VR).
- La presenza di Borrelia è stata rilevata solo in una zecca di tamia investito nel 2012, enfatizzando il ruolo di questo roditore nella trasmissione del patogeno.
- Dallo studio condotto all’interno del Parco Giardino Sigurtà (luogo dove tamia e scoiattolo comune convivono) è emerso che la continua espansione dello scoiattolo nativo ha modificato sia la distribuzione sia l’uso dello spazio da parte di una popolazione di tamia siberiano introdotti quasi 40 anni prima, spingendolo di fatto nella direzione opposta al fronte di espansione della specie nativa (non è da escludere quindi la presenza di una popolazione aliena anche fuori dal parco).
Secondo uno studio condotto in parallelo, il tamia non rappresenta una specie iconica in Italia, sarebbe quindi il caso di intervenire con protocolli di eradicazione, in linea con il Regolamento Europeo 1143/2014 sulle specie aliene.
- Processo edilizio e sostenibilità. Progetto e valutazione di una palestra in legno ad impatto definibile
Dott. Stefano Murello
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura
Corso di Laurea Magistrale in ArchitetturaProcesso edilizio e sostenibilità. Progetto e valutazione di una palestra in legno ad impatto definibile
Oggetto della tesi è l’analisi critica del tema della sostenibilità e della sua trasposizione in architettura, avvenuta sostanzialmente nell’ultimo ventennio, verso il quale è maturato un interesse cresciuto di pari passo con i travisamenti derivati perlopiù da speculazioni commerciali.
L’omissione dell’attributo “ambientale” nel titolo intende porre l’attenzione sulla complessità della materia e sulla vastità dei campi d’indagine, sociale ed economica in primis, che concorrono alla sua determinazione.
Si è scelto di indagare il modo in cui la sostenibilità trovi concretezza nella legislazione e nelle pratiche comuni, evidenziando quali siano i limiti e le criticità dello studio degli impatti ambientali in edilizia, le distorsioni concettuali generate e quelle potenzialmente correggibili.
Nello specifico, la fase di indagine delle metodologie valutative e della normativa in materia ha permesso di individuare una serie di problematiche e di focalizzare l’attenzione su una particolare questione, quella dell’assenza di uno strumento di valutazione oggettiva della componente ambientale nelle gare d’appalto, resa necessaria dall’applicazione delle specifiche contenute nei Criteri Ambientali Minimi all’interno del Codice dei Contratti Pubblici, avvenuta con il D.Lgs. 50 del 18 aprile 2016.
Dalla lettura del cap. 1.2 del successivo DM 11 ottobre 2017 è risultato che, a fronte dell’obbligo d’inserimento di requisiti minimi all’interno del disciplinare di bando, non esista uno strumento unico, condiviso e scientificamente valido a disposizione degli enti banditori, cui anche i progettisti possano fare riferimento.
L’obbiettivo posto è stato quindi quello di affrontare l’esistenza di un vizio procedurale, confrontandosi con i diversi protocolli valutativi attraverso la loro applicazione ad un caso studio, al fine di comprendere quale fosse quello più congeniale allo scopo ed il modo in cui potesse essere implementato.
Di conseguenza, le successive fasi applicative sono state impostate in maniera da simulare l’iter di una gara d’appalto, raggiungendo il livello di dettaglio progettuale necessario per la valutazione degli impatti ambientali attraverso due delle metodologie indicate dal Decreto Ministeriale stesso: Casa-Clima Nature e Itaca.
Queste sono state scelte in quanto principali strumenti d’analisi in uso in Triveneto e a livello nazionale, sviluppati su impulso degli stessi enti pubblici, rispettivamente la Provincia di Bolzano e la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Coerentemente con l’obbiettivo perseguito, la scelta del tema progettuale è ricaduta su un concorso d’idee promosso nel 2015 dalla Provincia di Gorizia per la costruzione di una palestra a servizio del liceo scientifico del capoluogo isontino.
Nella redazione del progetto si è voluto utilizzare la tipologia costruttiva in legno, considerata a priori “eco-sostenibile” nella pratica comune, al fine di comprendere le reali implicazioni di una risorsa disponibile su scala regionale all’interno delle metodologie di certificazione.
Al termine della fase progettuale e della valutazione degli impatti, la comparazione dei risultati ha permesso di formulare delle proposte di integrazione metodologica in modo da suggerire uno strumento valutativo unico idoneo allo scopo ricercato.
A conclusione della tesi è stato prefigurato il potenziale sviluppo della tematica e dei suoi mezzi di indagine in campo edilizio, osservando come gli stessi decreti riportino al loro interno delle prescrizioni che potrebbero far convergere le metodologie esistenti verso pratiche diffuse, virtuose e scientificamente fondate.
- Gli effetti della tempesta Vaia sulla rete sentieristica del Primiero
Dott. Davide Benetel
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Territorio e Sistemi Agro-Forestali
Corso di Laurea Triennale in Riassetto del Territorio e Tutela del PaesaggioGli effetti della tempesta Vaia sulla rete sentieristica del Primiero
La rete sentieristica è il mezzo attraverso il quale escursionisti, appassionati o semplici turisti possono scoprire il territorio, inoltrarsi in esso e raggiungere luoghi di interesse. Essa assume quindi molteplici scopi, tra cui quello turistico, sportivo, esplorativo, ma anche di collegamento. Data la sua importanza strategica per lo sviluppo del turismo e la fruizione ricreativa della montagna è necessario conservare la rete sentieristica in un adeguato stato di conservazione tramite interventi periodici di manutenzione e messa in sicurezza di alcuni tratti.
Nell’Ottobre del 2018 una violenta tempesta, denominata poi “Vaia”, ha colpito il Nord-Est Italia, causando problemi idraulici ai corsi d’acqua, come piene ed esondazioni, e vari fenomeni d’instabilità, come colate detritiche e frane. L’azione del vento inoltre ha provocato lo schianto al suolo di interi versanti boscati in numerose valli del bellunese e del Trentino. Si sono verificati quindi danni a reti stradali, edifici, impianti di risalita, nonché alla rete sentieristica.
La presente ricerca si propone di analizzare gli effetti della tempesta Vaia sulla rete sentieristica del Primiero.
L’area in esame si trova nel Trentino Orientale, ai confini con il Veneto, ed è una comunità di valle della Provincia Autonoma di Trento. Al suo interno sorge il Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, il quale comprende note aree come il gruppo delle Pale di San Martino, la foresta di Paneveggio e una parte della Catena del Lagorai.
Lo studio si è incentrato sull’analisi dello stato della rete sentieristica provinciale e del Primiero, dopo l’avvento della tempesta. Sono state osservate le tipologie di danno presenti lungo i tracciati e la procedura di ripristino per estinguerli. Quindi sono stati esposti i risultati degli interventi di ripristino eseguiti dagli enti incaricati, dal mese di maggio al mese di settembre 2019.
Da ultimo, sono state svolte alcune considerazioni sull’impatto che la tempesta Vaia ha avuto sulla qualità del paesaggio fruibile lungo i sentieri, ponendo in evidenza anche la presenza di alcuni
possibili effetti positivi, costituiti dal formarsi di ampie vedute panoramiche che possono migliorare la qualità percettiva del paesaggio.
- Inquinamento ambientale: riferimenti sanitari e giuridici
Dott.ssa Maria Luisa Arrica
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
Scuola di Giurisprudenza
Corso di Laurea magistrale a ciclo unico in GiurisprudenzaInquinamento ambientale: riferimenti sanitari e giuridici
L’inquinamento si definisce come alterazione indotta sull’ambiente ed in genere sull’ecosistema. Può essere definito come naturale, antropico, di origine fisica, chimica, biologica.
I principi cardine della politica ambientale europea sono:
- Il principio “chi inquina paga” o “polluter pays principle”, proposto dal 1975 dall’OCSE (Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico)
- Il principio di precauzione (Vorsorgeprinzip) per indicare cautela, quando non c’è sicurezza di non provocare danni alle persone o all’ambiente.
Esiste una correlazione tra danno ambientale e salute.
Sono stati esaminati gli effetti negativi sulla salute derivanti dai cambiamenti climatici, dalle radiazioni solari, i problemi di citotossicità e carcinogenesi.
Vi sono sostanze inquinanti che possono causare effetti lesivi ad alcuni apparati, come al sistema respiratorio, cardiovascolare, vascolo-cerebrali, endocrino riducendo la vita media e l’aspettativa di vita.
Sono state descritte le conseguenze derivanti dall’esposizione a campi elettromagnetici.
La problematica agroalimentare è stata affrontata in rapporto agli OGM, e ai pesticidi (ad esempio il glifosato).
Sono state riportate le criticità derivanti dallo smaltimento dei rifiuti in Italia e in Europa, si è posto l'accento sull'importanza dell’economia circolare e sono state descritte le differenze tra inceneritori e pirogassificatori.
Della vasta normativa in materia di inquinamento ambientale, quella citata è la seguente:
- gli articoli 9 e 32 della Costituzione Italiana;
- la L.68/2005 che introduce nel libro II del codice penale, il Titolo VI bis “Dei delitti contro l'ambiente”, che prevede nuovi reati definiti “ecoreati”;
- il D. Lgs n.152 del 3 aprile 2006 con il quale è stato istituito il Codice dell'Ambiente (noto anche con l'acronimo TUA Testo unico in materia ambientale).
- CO2 - Il mondo che cambia con i gas serra
Dott.ssa Asia del Core
ACCADEMIA DI BELLE ARTI G.B. TIEPOLO UDINE
Graphic Design per l'Impresa
Corso di Laurea triennale in Graphic Design per l'ImpresaCO2 - Il mondo che cambia con i gas serra
Il pianeta sta cambiando e cambierà ancora. La terra è un essere vivente, che respira, muore e si rigenera. L’unico modo per salvarla è ascoltare la sua voce e sincronizzarsi al suo respiro. Negli ultimi 250 anni, dall’inizio della Rivoluzione Industriale, l’uomo ha immesso 1,4 trilioni di tonnellate di carbonio nell’atmosfera, modificando, specialmente nell’Artico, la vita sulla Terra come la conosciamo. Se si riuscisse a invertire il riscaldamento globale in tempo, si tratterebbe di un risultato senza precedenti nella storia umana. Questo testo intende illustrare le cause e le caratteristiche del cambiamento climatico, i suoi effetti in ambito biologico e geologico, le scoperte e le invenzioni che numerosi scienziati in tutto il mondo hanno sperimentato per preservare la vita e le peculiarità del pianeta.
- La micorrizia: storia evolutiva e ruolo ecologico
Dott. Giacomo Boscarol
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di laurea interclasse in scienze e tecnologie biologicheLa micorrizia: storia evolutiva e ruolo ecologico
In questo elaborato, dopo una semplice definizione ecologica ed evoluzionistica della micorrizia, si ripercorre brevemente la storia evolutiva di questa simbiosi.
Successivamente si discute sui vantaggi che piante e funghi possono trarre da questa simbiosi (aumento della biomassa, aumento della fitness, maggiore resistenza ad agenti patogeni e a condizioni ambientali avverse, ed altro ancora).
Infine, nella parte più consistente di questa tesi, la micorrizia viene presa in considerazione come un possibile bioremediator per suoli inquinati da metalli pesanti, da idrocarburi policiclici aromatici (IPA) o da nanomateriali di nuova generazione; la micorrizia potrebbe quindi essere uno strumento molto utile per un’area come quella del Friuli – Venezia Giulia, fortemente industrializzata e con gravi problemi di inquinamento del suolo. Con le dovute distinzioni, si propone la micorrizia come strumento da affiancare alla fitoremediation per la bonifica di suoli variamente inquinati, viste le comprovate proprietà che questa simbiosi possiede. Nello specifico viene analizzata l’analogia chimico-fisica tra gli IPA (notoriamente degradati da funghi micorrizici) e il grafene, sulla cui degradazione la comunità scientifica sta indagando proprio in questi anni. Si ipotizza quindi che alcuni tipi di micorrizia potranno essere efficacemente sfruttati per degradare il grafene, che per il momento sembra essere incredibilmente chemostabile e quindi molto pericoloso dal punto di vista ambientale e sanitario, a causa di fenomeni di bioaccumulo nelle varie retri trofiche.
- An eDNA protocol for the monitoring and conservation of biodiversity from genes to species: a case study of Alpine amphibians from Trentino
Dott.ssa Lucia Zanovello
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Biologia
Corso di Laurea Magistrale in Biologia EvoluzionisticaAn eDNA protocol for the monitoring and conservation of biodiversity from genes to species: a case study of Alpine amphibians from Trentino
In the last decade, environmental DNA (eDNA) and metabarcoding have provided new opportunities for the study of biodiversity in space and time. The eDNA metabarcoding approach is increasingly used as a cost-effective tool for species detection and community characterization, particularly for elusive species. However, technical challenges and case-specific limitations exist and need to be explored. In the present thesis, I tested if eDNA metabarcoding of water samples can be used for developing an effective protocol for the characterization and monitoring of Alpine amphibian communities. I successfully optimised the extraction and PCR amplification of two COI barcode regions using primers specific for amphibians, and compared the species composition of 12 selected wetlands and ponds in the MAB UNESCO ‘Alpi Ledrensi and Jiudicaria’ Biosphere Reserve (Trentino, south-eastern Alps) using eDNA with that expected using traditional methods. Choosing a widespread and abundant anuran, the common frog (Rana temporaria) as a model species, I also showed there were no major differences in detection success between two developmental stages. Lastly, by selecting a more specific COI fragment to assess mtDNA genetic diversity in this focal species, I showed that eDNA detected a similar number and diversity of haplotypes as that noted in previous studies using invasive sampling. Amphibians are threatened worldwide by climate change and habitat alterations, thus the development of a standardized, cost-effective protocol for monitoring amphibian biodiversity at species and genetic levels may represent an important resource for conservation managers. Future improvements and additional potential applications are discussed.
- Agenti infettivi zoonosici in zecche e ungulati selvatici in Friuli Venezia Giulia
Dott.ssa Laura Grassi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute
Corso di Laurea magistrale a ciclo unico in Medicina VeterinariaAgenti infettivi zoonosici in zecche e ungulati selvatici in Friuli Venezia Giulia
Negli ultimi decenni le malattie trasmesse da zecche hanno assunto una notevole importanza in diversi stati europei ed anche in altri continenti. In tutto il nord Italia è stata segnalata l’emergenza di tali infezioni e, in particolare, anche nella regione Friuli-Venezia-Giulia. In FVG infatti le positività riscontrate per la TBE (meningo-encefalite da zecca) e per il morbo di Lyme, sono tali che, attualmente, tale regione è ritenuta endemica per le suddette malattie; altri agenti eziologici trasmessi da zecche sono stati rilevati, ma sono stati studiati in misura minore e di conseguenza i dati che si hanno a disposizione sono scarsi.
Si è deciso di indagare cinque agenti zoonosici trasmessi dalla zecca Ixodes ricinus.: Borrelia burgdorferi s. l. e TBE virus (visto lo stato endemico della regione) e Anaplasma phagocytophiulum, Ehrlichia spp. e Rickettsia spp., la cui presenza è già stata precedentemente riscontrata in FVG, ma studiata in modo molto minore. Il campionamento si è svolto su ungulati selvatici in collaborazione con diversi gruppi venatori. Dagli animali abbattuti, durante la stagione di caccia 2017-2018, è stato prelevato un campione ematico e le zecche, se adese su questi. Sono stati inclusi nel campionamento le seguenti specie: capriolo (Capreolus capreolus), cinghiale (Sus scrofa), cervo (Cervus elaphus), camoscio (Rupicapra rupicapra) e muflone (Ovis aries).
Gli agenti patogeni sono stati ricercati con metodiche di diagnosi diretta, usando principalmente protocolli biomolecolari di PCR o real-time PCR. I campioni risultati positivi sono stati successivamente sequenziati amplificati e sequenziati.
I risultati hanno messo in evidenza la circolazione di Anaplasma phagocytophilum e Rickettsia spp. sia negli animali selvatici che nelle zecche, mentre Borrelia burgdorferi s.l. ed Ehrlichia spp. sono state riscontrate solo in qualche zecca. Non sono state evidenziate positività per il virus della TBE.
La prevalenza di Anaplasma phagocytophilum nei ruminanti selvatici si è attestata sopra il 75%, confermando il ruolo di reservoir di questi animali. Per gli altri agenti ricercati gli ungulati non fungono da reservoir ma sono comunque coinvolti nel ciclo epidemiologico, essendo frequentemente parassitati dalla zecca Ixodes ricinus.
I dati riportati in letteratura insieme ai risultati ottenuti hanno permesso di effettuare interessanti considerazioni relativamente alla diffusione e all’epidemiologia degli agenti infettivi nella regione FVG. È indubbio che tali malattie sono complesse da studiare, vista la molteplicità di fattori che le possono influenzare. Proprio in merito a questo, avendo apportato dati epidemiologici di infezioni che spesso sono neglette, si evidenzia come sia importante un continuo studio di queste infezioni poiché, in un ambiente che cambia, cambia anche la diffusione delle malattie trasmesse da vettori.
- Flora della città di Milano: distribuzione della biodiversità nei diversi ambienti urbani
Dott.ssa Chiara Toffolo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO - BICOCCA
Dipartimento di Scienze dell'Ambiente e della Terra
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il TerritorioFlora della città di Milano: distribuzione della biodiversità nei diversi ambienti urbani
Il rapido aumento su scala globale del fenomeno dell’urbanizzazione ha reso necessario studiare l’impatto delle aree urbane sull’ambiente e sulla biodiversità. Le città si caratterizzano per un’elevata eterogeneità degli habitat, un forte disturbo antropico e per una particolare sensibilità al fenomeno delle invasioni biologiche. Nell’ambito della biodiversità urbana la flora occupa un ruolo di fondamentale importanza per le sue implicazioni nel fornire servizi ecosistemici.
Scopo della tesi è lo studio della flora spontanea di Milano all’interno di un quadrante floristico, della cartografia floristica europea, dell’ampiezza di 6 x 5 km, suddiviso in 4 sotto-quadranti, situato nel centro della città. Diversi studi hanno dimostrato come gli agglomerati urbani presentino un’elevata ricchezza in specie, dovuta principalmente ad un’alta diversificazione degli habitat. Per la determinazione della flora di Milano, durante la stagione vegetativa 2018 è stato effettuato un campionamento stratificato in diversi ambienti scelti sulla base di un’analisi preliminare della carta d’uso del suolo DUSAF 2015 della Regione Lombardia. Per studiare la diversità floristica del capoluogo lombardo sono stati presi in considerazione 6 habitat rappresentativi: a) le zone urbanizzate (come aree residenziali, piccole strade e marciapiedi), b) le reti stradali, c) le zone produttive e di impianti pubblici e privati (come piazze o luoghi di interesse storico), d) i parchi, e) le reti ferroviarie e f) le aree agricole. Le attività di campionamento hanno permesso di compilare un elenco floristico della flora del quadrante del centro di Milano. È stato creato un database con le seguenti informazioni per ogni taxon elementare: famiglia, appartenenza al contingente autoctono o alloctono, forma biologica, corologia, categoria CSR di Grime, valore di urbanità e indici di Ellenberg. È stata quindi analizzata, mediante test dell’ANOVA e di Kruskal-Wallis, la distribuzione delle specie, al fine di valutare la ripartizione della biodiversità vegetale nei diversi ambienti urbani, sotto diversi gradi di pressione antropica, ponendo particolare attenzione alle specie alloctone.
In totale sono state censite 300 specie, appartenenti a 62 famiglie (dominanza di Asteraceae e Poaceae). Lo spettro biologico è dominato dalle terofite e dalle emicriptofite, mentre lo spettro corologico mostra la predominanza del corotipo eurimediterraneo, evidenziando il carattere termofilo degli ambienti urbani. Si osserva un’alta percentuale della componente alloctona, pari al 25,4% della flora complessiva (precisamente le specie aliene invasive incidono per il 12,5%, quelle naturalizzate per l’8,8% e quelle casuali per il 4,1%). La presenza del contingente alloctono è maggiore nelle aree di pertinenza ferroviaria, che sono zone di particolare importanza per le dinamiche della flora urbana e che si confermano “serbatoi” di biodiversità, ma al contempo anche incubatrici di specie esotiche. Inoltre, dallo studio è emersa l’importanza delle aree agricole all’interno del tessuto urbano, in quanto queste contribuiscono positivamente alla biodiversità urbana e assolvono la funzione di stazioni rifugio per le specie native.
In conclusione, la presente tesi ha messo in evidenza l’influenza dei diversi ambienti urbani sulla flora di Milano. Solo un’adeguata conoscenza del rapporto fra l’area urbana e la flora permette una corretta gestione della stessa, con il fine di mantenere la biodiversità vegetale ed i servizi ecosistemici ad essa correlati ed infine contrastare l’invasione di specie alloctone.
- Environmental stressors in a mountain-dwelling herbivore
Dott. Niccolò Fattorini
UNIVERSITÀ DI SIENA
Dipartimento di Scienze della Vita
Ph.D. School in Life SciencesEnvironmental stressors in a mountain-dwelling herbivore
La dinamica di popolazione degli ungulati di montagna è determinata dall’accesso delle femmine a risorse alimentari di elevata qualità durante il breve periodo di crescita della vegetazione. La disponibilità del pascolo durante la stagione vegetativa risulta infatti cruciale per l’allattamento, l’accrescimento e la sopravvivenza invernale della prole. Gli ambienti di montagna rappresentano ecosistemi particolarmente sensibili ai cambiamenti climatico-ambientali, poiché temperatura e precipitazioni influenzano disponibilità e qualità della vegetazione. In seguito all’esaurimento delle risorse, negli ungulati sono state documentate riduzioni nell’efficienza di pascolo e di allattamento, con conseguenti aumenti di mortalità invernale dei piccoli. Tuttavia gli effetti sulla fisiologia e sul comportamento, indicatori fenotipici chiave dello status di popolazioni e individui, sono ancora sconosciuti.
Approfittando di uno scenario quasi-sperimentale, ho quantificato per la prima volta il contributo netto di stressors di origine naturale (età e stagionalità) ed antropogenica (l’esaurimento del pascolo dovuto ai cambiamenti climatico-ambientali e alla reintroduzione di un competitore ecologico, il cervo) sulle risposte fisiologico-comportamentali di un erbivoro di montagna a rischio di estinzione, il camoscio appenninico Rupicapra pyrenaica ornata. Lo studio biennale è stato condotto nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise, areale storico del camoscio, durante la fase cruciale di allattamento/svezzamento dei piccoli. Utilizzando statistiche multifattoriali (inferenza multi-modello e modelli misti), ho analizzato i dati fisiologico-comportamentali in relazione a variabili ambientali/endogene.
Il costo associato alle cure materne, dipendente da stressors naturali (età e gradiente stagionale delle risorse alimentari), è risultato il determinante della risposta fisiologico-comportamentale basale delle femmine di camoscio. Controllando l’effetto di tali stressors, ho verificato come l’esaurimento del pascolo provocasse nel camoscio un aumento cronico degli androgeni, precursori del comportamento aggressivo, e degli “ormoni dello stress”. Infatti, la scarsità di risorse alimentari ha aumentato la competizione intraspecifica per l’accesso al pascolo, nonché i livelli di vigilanza, inducendo anche una destrutturazione dei gruppi e maggiori costi di alimentazione. Indipendentemente dalla qualità del pascolo, temperature maggiori hanno innescato un effetto diretto sul comportamento del camoscio, a causa dei meccanismi di termoregolazione, riducendo l’attività di pascolo. Aumenti di temperatura/riduzione delle precipitazioni nella stagione di crescita della vegetazione hanno indotto effetti indiretti, ovvero mediati dall’impoverimento della vegetazione criofila pascolata dal camoscio, incrementando il livello di competizione intraspecifica per l’accesso alle risorse.
Lo studio evidenzia come stressors di varia natura influenzino le risposte fisiologico-comportamentali degli erbivori selvatici. Tuttavia, mentre questi si sono ben adattati ai costi derivanti dagli stressors naturali nel corso della loro life-history, le conseguenze di quelli antropogenici possono produrre effetti a cascata su indicatori endocrini e comportamentali, influenzandone negativamente il ciclo biologico. Negli ecosistemi montani, i cambiamenti climatici previsti nei prossimi decenni e la presenza di potenziali competitori ecologici potrebbero contribuire ad alterare le risorse fondamentali per gli erbivori, minacciando ulteriormente quelli a rischio di estinzione.
- La nuova ferrovia del Brennero e il conflitto socio-ambientale nella Provincia di Bolzano
Dott.ssa Esmiralda Halilaj
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Corso di Laurea magistrale in Gestione delle Organizzazioni e del TerritorioLa nuova ferrovia del Brennero e il conflitto socio-ambientale nella Provincia di Bolzano
L’obiettivo di questo studio è stato quello di indagare i conflitti socio-ambientali generati dalla nuova ferrovia del Brennero (Galleria di base del Brennero e le tratte d’accesso) nella Provincia di Bolzano.
Indagando il conflitto socio-ambientale nella Provincia di Bolzano generato dalla pianificazione e dalla progettazione della nuova ferrovia del Brennero – che prevedeva la galleria di base del Brennero e diverse tratte d’accesso – si è riscontrato che l’infrastruttura era molto discussa nella realtà locale. Il motivo di questo dibattito era correlato alle posizioni divergenti dei vari attori che manifestavano questioni sociali, economici, ambientali e di progettazione. Al fine di avere una più vasta prospettiva delle tematiche del caso, è stato approfondito la questione a livello nazionale ipotizzando alcune comparazioni. Nel corso della mia ricerca, si è riscontrato che il caso della Val di Susa si presentava per certi versi analoga. Tuttavia, per quanto i due casi presentassero caratteristiche tematiche simili, una lettura più approfondita ha rilevato una sostanziale diversità nella struttura del conflitto, soprattutto per le posizioni e le azioni dei cittadini e istituzioni locali. Per quanto attiene all’impostazione della ricerca, è stato sperimentato e proposto una metodologia prevalentemente comparativa. È stato ipotizzato che il conflitto nella Provincia di Bolzano potrebbe essere letto mediante gli epifenomeni individuati grazie a una lettura approfondita del conflitto piemontese. I quattro epifenomeni che raffigurano il conflitto sono le proteste e le manifestazioni, il dibattito pubblico pro e contra la nuova infrastruttura, le petizioni rivolte a Bruxelles e le richieste di referendum popolare.
Per una descrizione e comprensione del tema è stato necessario interrogare gli attori, i quali hanno aggiunto elementi che hanno permesso di circoscrivere ulteriormente un’area di studio. Con il procedere del lavoro, l’osservazione è stata concentrata nello specifico sul caso del comune di Egna.
Nella progettazione e pianificazione delle opere di interesse nazionale e internazionale, le diverse scale e i diversi attori in gioco hanno un ruolo preponderante tanto a livello del progetto, quanto quello di sistema e, in un certo senso, anche del contesto. Il contesto territoriale gioca un ruolo molto importante nella comprensione della dimensione del conflitto. Nel contesto bolzanino sono stati messi in atto azioni, pratiche e processi del tutto caratterizzanti e specifici del territorio che, rispetto ad altre realtà come per esempio quella della Val di Susa, appaiono diversi sia nell’ambito sociale che in quello della pianificazione del territorio. Il lavoro su campo ha rilevato i cosiddetti nodi conflittuali durante la pianificazione e progettazione dell’opera. Secondo quanto descritto e constatato dalle interviste, si potrebbe sostenere che le cause del conflitto sono varie. Il processo decisionale non è la causa determinante del conflitto ma semplicemente una delle tante variabili. Infatti, l’analisi delle interviste mette in luce i motivi (con i temi ed i sotto temi) per cui si sviluppa il conflitto nella Provincia di Bolzano, che sono di seguito sintetizzati: - pianificazione e progettazione del progetto e dinamiche di realizzazione, - le caratteristiche e le criticità del progetto, - il processo decisionale.
Si potrebbe dedurre che grazie a questi argomenti sopra citati, il conflitto non è stato intenso e di grande dimensioni. Ulteriormente sono stati argomentati le ragioni per cui in Alto Adige la dimensione del conflitto è di un altro livello.
- Educazione ambientale. Indagine sociologica nelle scuole di Gorizia
Dott. Daniel Baissero
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea Magistrale in Scienze del Governo e Politiche PubblicheEducazione ambientale. Indagine sociologica nelle scuole di Gorizia
Ho deciso di dedicarmi al tema dell’educazione ambientale perché lo ritengo di vitale importanza per un futuro migliore non solo per il pianeta e le sue molteplici specie vegetali e animali, ma anche per la qualità stessa della vita e della salute umana. Ho voluto indagare se e come l’educazione ambientale sia insegnata nelle scuole a Gorizia, città dove sono nato e vivo, di ogni ordine e grado, rapportandomi direttamente o indirettamente con gli attori coinvolti in questo ambito, quali docenti, studenti, famiglie, associazioni, volontari e altri ancora. L’obbiettivo della tesi è quindi fotografare in particolare dal punto di vista sociologico lo stato dell’educazione ambientale in Italia e in particolare nella mia città, evidenziandone alcune criticità, potenzialità e possibili sviluppi. Ritengo che la chiave di volta per migliorare e rendere organico l’insegnamento dell’educazione ambientale sia rinnovare e riformare il sistema scolastico; ho quindi evidenziato l’importanza dell’autonomia e del ruolo del docente in questo processo, considerando che tutt’oggi l’educazione ambientale sia sviluppata e trattata soprattutto dal singolo insegnante “illuminato” piuttosto che dall’inserimento di una specifica linea di obiettivo strategico inserita all’interno del piano formativo della singola scuola. Si dovrebbe inoltre ampliare la collaborazione con agenti esterni che promuovono come propria attività anche professionali il rafforzamento della sensibilità ambientale. È auspicabile che nasca una contaminazione tra alunni e famiglie, come dimostrato in alcuni casi esaminati, che vada anche oltre l’orario curricolare di lezione, facendo leva sull’urgenza di certi problemi ambientali che tanti iniziano a percepire sulla propria pelle.
Scendendo nel dettaglio, dopo l’introduzione sui perché di questa ricerca, nel primo capitolo ho analizzato il concetto di educazione ambientale, passando, nel secondo capitolo, al percorso fatto di sempre maggior autonomia scolastica, rafforzato dall’ultima riforma organica e organizzativa di questo mondo complesso, con la riforma denominata “La Buona Scuola”. Il terzo capitolo collega la pratica dell’educazione ambientale e la sua caratteristica di interdisciplinarità con il mondo dell’autonomia scolastica, in particolare con il suo principale soggetto operante, il docente, e il suo principale strumento di realizzazione, il progetto educativo. Nel capitolo centrale, il quarto, ho esaminato le scuole di ogni ordine e grado a Gorizia per comprendere se e come l’educazione ambientale sia insegnata. Nel primo paragrafo ho sottolineato le basi teoriche che stanno alla base dell’insegnamento dell’educazione ambientale, collegandomi al ruolo attivo svolto dalla figura del docente individuata nel capitolo precedente. Nel secondo paragrafo ho individuato il metodo utilizzato per questa ricerca sociale, improntato su quattro strumenti ampiamenti usati dal sociologo: il censimento, l’intervista, il questionario e il colloquio. Ognuno di questi strumenti ha un paragrafo ad esso dedicato, caratterizzato da conclusioni e da obiettivi di ricerca individuati e strutturati secondo l’oggetto della ricerca.