Concorso Neolaureati Eugenio Rosmann 2020 – Partecipanti
Tutti le tesi ricevute
Il premio dell’Associazione Ambientalista “Eugenio Rosmann” 2020 è rivolto agli studenti neolaureati e ai ricercatori universitari in materie naturalistiche e ambientali
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Inseriamo di seguito gli abstract delle tesi ricevute:
- Modificazioni del paesaggio del Monte Matajur a seguito dell’abbandono dell’attività del pascolo
Dott.Angelo Sinuello
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea Magistrale in Ecologia dei cambiamenti globaliModificazioni del paesaggio del Monte Matajur a seguito dell’abbandono dell’attività del pascolo
Il presente studio analizza il fenomeno dell’abbandono delle pratiche di pastorizia e sfalcio dei prati avvenuto all'interno del comune di Savogna, nelle Valli del Natisone, durante il periodo 1982-2018. Fornisce inoltre un quadro conoscitivo aggiornato degli habitat presenti nell'area di studio e del loro stato.
L’area di studio comprende l’alto bacino del torrente Alberone, sulle pendici meridionali del monte Matajur, vicino al confine tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia. Questa zona è una di quelle più colpite in regione dall’abbandono della popolazione e dalla perdita dei prati sfalciati e dei pascoli. Prati e pascoli abbandonati vanno incontro ad una successione secondaria di incespugliamento ed imboschimento che si conclude con la ricolonizzazione da parte del bosco. Tale processo produce delle conseguenze negative sia per l’ecologia, riducendo la biodiversità, sia a livello socioeconomico, danneggiando la pastorizia e le produzioni latteo-casearie, importanti risorse per gli abitanti delle terre alte. Per limitare questi danni diventa necessaria una pianificazione territoriale da parte delle istituzioni per favorire il ripristino ed il mantenimento delle pratiche di pastorizia e allevamento estensivo. I risultati di questo studio possono rappresentare delle linee guida per questa pianificazione territoriale.
Lo studio è stato condotto mediante rilievi in campo e adottando tecniche di telerilevamento satellitare. L’adozione di indici spettrali quali l’NDWI, l’impiego di immagini di stagioni diverse (multitemporalità) e l’uso della classificazione mediante albero decisionale ha permesso di distinguere tra loro differenti usi del suolo e diverse tipologie vegetazionali. È stato possibile separare e quantificare i diversi stadi di imboschimento dei prati da sfalcio e dei pascoli. Si è inoltre riusciti a identificare tre tipologie forestali diverse (peccete, faggete e altre caducifoglie) all’interno della copertura boschiva. Il telerilevamento quindi, se adeguatamente affiancato a dei rilievi sul campo, si rivela idoneo all’identificazione delle vegetazione.
Tra i risultati di questo studio vi è la creazione di una carta aggiornata al 2018 degli habitat Corine Biotopes secondo la classificazione Palaearctic e l’individuazione delle principali serie dinamiche di imboschimento che subiscono i prati ed i pascoli abbandonati.
La perdita di prati e pascoli nell’area di studio per il periodo 1982-2018 è risultata drastica: il 52% di queste aree sono state perse. La situazione appare ancora più grave se si considera che il 70% degli attuali prati e pascoli è abbandonato. Sono proprio queste aree abbandonate in cui è ancora presente una vegetazione erbacea ad essere la più adatte per un futuro ripristino del pascolo. Questa perdita di prati e pascoli è parallela ad un abbandono da parte della popolazione residente, che tra il 1981 e il 2017 è calata del 63%.
L’impiego di altri indici spettrali nel telerilevamento e l’identificazione di alcune aree di test potrebbe portare ad un ulteriore miglioramento dei risultati ottenuti.
- La responsabilità delle persone giuridiche in materia di reati ambientali
Dott.sa Rita Serena Bosco
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali G. ScadutoLa responsabilità delle persone giuridiche in materia di reati ambientali
La trasversalità del tema della responsabilità da reato ambientale delle persone giuridiche interroga inevitabilmente i diversi saperi dell’assetto ordinamentale, a livello nazionale e internazionale. Il presente lavoro, dopo aver percorso brevemente il processo evolutivo che ha condotto, anche a livello giurisprudenziale, ad un progressivo riconoscimento del bene “ambiente” come “diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività”(1), analizza la normativa nazionale e sovranazionale posta a tutela dell’ambiente, allo scopo di approfondire il tema della responsabilita degli enti in materia di reati ambientali e valutare, quindi, il possibile impatto della normativa sovranazionale su quella nazionale in termini di rafforzamento della protezione dell’ambiente.
L’interesse verso il profilo della responsabilità da reato ambientale degli enti nasce dalla consapevolezza che il crimine ambientale e frequentemente commesso dalle imprese che sono i soggetti maggiormente inquinanti e che, nonostante la correlazione tra criminalità ambientale e criminalità d’impresa, talvolta, riescono a sfuggire alla normativa penale, storicamente rivolta agli individui.
Al fine di delineare un quadro completo delle problematiche sottese al tema oggetto di indagine si e reso pertanto inizialmente necessario procedere allo studio dei principali risvolti normativi determinati dall’attuazione, tra le altre, della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente(2) e della direttiva 2009/123/CE sull’inquinamento provocato dalle navi(3), rispetto all’assetto normativo preesistente, evidenziandosene i punti di forza ma anche le criticità.
Tra i risultati più significativi si annovera la responsabilità degli enti per gli illeciti ambientali introdotta dal d. lgs. n. 121/2011, di recepimento della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente, che introduceva alcuni illeciti di settore nel catalogo dei reati- presupposto dell’art. 25-undecies del D.lgs. 8 maggio 2001, n. 231 recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”.
A questo proposito, però, non si e mancato di rilevare come, nonostante gli sforzi del legislatore di adeguare la normativa nazionale agli standard di tutela fissati dall’Unione Europea, sempre più sensibile alle problematiche relative agli impatti negativi delle attività produttive inquinanti sull’ambiente, permanessero ancora molti vuoti di tutela a cui talvolta la giurisprudenza ha cercato di porre rimedio, sia pure con esiti non sempre positivi.
Da qui la genesi della L. n. 68/2015 che nell’ambito di una riorganizzazione dell’intero impianto previsto in materia di tutela dell’ambiente, ha altresì inciso sulla responsabilità degli enti, estendendo il catalogo dei reati presupposto.
Dopo aver delineato il panorama normativo, dottrinale e giurisprudenziale in cui si inserisce la disciplina della responsabilità degli enti in materia ambientale e preso atto delle difficolta e dei limiti che l'attuale disciplina presenta, nel corso del terzo capitolo ci si porrà l'interrogativo in merito alla possibilità di configurare, nel diritto internazionale, un generale dovere di non inquinare sotto forma di un diritto umano ad un ambiente sano, in grado di conferire una maggiore efficacia alla salvaguardia dell’ambiente.
A tale scopo, si procederà allo studio dei principali trattati regionali previsti in materia di diritti umani e, principalmente, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; in particolare, analizzando in chiave critica la giurisprudenza della Corte europea in tema di attività inquinanti, si vaglierà la possibilità di un impatto positivo nell’ordinamento nazionale delle valutazioni cui perviene la Corte, nei termini di un rafforzamento della protezione dell’ambiente nel complessivo bilanciamento con gli interessi economici e imprenditoriali.
1 Cass., Sez. Un., 06.10.1979, n.5172.
2 G.U.C.E. del 6 dicembre 2008, entrata in vigore il 26 dicembre 2008.
3 G.U.C.E. del 21 ottobre 2009, entrata in vigore il 27 ottobre 2009. - Development of numerical experiments to simulate lab tests and predict field activities in the Most project
Dott.sa Ilaria Cunico
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Department of Civil, Environmental and Architectural Engineering
Master Degree in Environmental EngineeringDevelopment of numerical experiments to simulate lab tests and predict field activities in the Most project
La seguente tesi tratta il fenomeno dell’intrusione salina e in particolare i suoi effetti sull’ambiente, sulla società e sull’economia. L’intrusione salina è la contaminazione degli acquiferi di acqua dolce costieri, dovuta alla penetrazione dell’acqua salata nell’entroterra, la quale può provocare seri danni alle risorse idriche potabili. Inoltre, l’intrusione salina è un problema contemporaneo-globale che sta provocando diverse complicanze socio-economiche in molti paesi del mondo (le aree più colpite sono le piccole isole del Pacifico, il Mozambico e il Vietnam).
Sebbene si siano effettuate molte ricerche negli ultimi 50 anni, al giorno d’oggi vi sono ancora molte incertezze sui funzionamenti del fenomeno.
Gli attuali studi sull’intrusione salina sono principalmente basati sulle simulazioni numeriche effettuate su esperimenti di laboratorio, come quello di 174 ore, realizzato all’università di Padova, nel 2016. L’esperimento simula un acquifero omogeno freatico in contatto diretto con il mare; il principale scopo è il testare l’implementazione di un cut-off wall come barriera contro la penetrazione dell’intrusione salina.
L’evoluzione temporale della risalita è valutata in termini di “posizione del piede” e i risultati numerici ottenuti sono stati comparati con quelli delle precedenti ricerche, con lo scopo di migliorarli.
In seguito viene simulato anche un caso studio reale, di un campo agricolo situato nella zona sud della laguna di Venezia (Ca’Bianca, Chioggia), con un modello matematico tri-dimensionale per quantificare, in modo realistico, la magnitudo del fenomeno nell’area affetta, per analizzarne i principali fattori responsabili e per fare delle previsioni future sul suo evolversi.
Dall’analisi emerge la complessità del caso studio analizzato a causa dell’eterogeneità del suolo, dei flussi di infiltrazione, della variabilità delle precipitazioni e dal comportamento strettamente stagionale del fenomeno stesso. Inoltre, dai risultati numerici, viene rivelato il livello critico di vulnerabilità dell’area esaminata e la necessità di provvedere a delle contromisure adeguate per migliorarne lo stato; in questa area il fenomeno dell’intrusione salina sta provocando diversi danni, risalendo nell’entroterra anche di 20 chilometri, provocando gravi problemi per la produzione agricola e favorendo il rischio di desertificazione dell’area.
Il fenomeno è studiato tramite simulazioni numeriche; il programma scelto è Seawat, che è stato prima testato e convalidato tramite simulazioni di esperimenti controllati effettuati nel laboratorio di idraulica dell’università di Padova.
L’obiettivo principale dell’elaborato e della ricerca è lo studio dettagliato del fenomeno all’interno del dominio scelto al fine di prevedere, tramite analisi numeriche, le possibili efficaci contromisure ingegneristiche applicabili.
Il metodo matematico utilizzato e il metodo a differenze finite e le equazioni di flusso e di trasporto sono risolte in accoppiata tramite una procedura implicita e con una adeguata discretizzazione temporale e spaziale. Le condizioni al contorno sono implementate in transizione nel modello per simulare comportamenti realistici e cambiamenti nel tempo.
Personalmente ho scelto questo argomento perché il fenomeno dell’intrusione salina è un fenomeno globale-moderno, che è destinato a crescere drasticamente in futuro a causa dei cambiamenti climatici e causa della richiesta sempre più radicale di acqua potabile; in alcune zone del mondo, come le piccole isole del Pacifico o in alcune regioni del Vietnam esso è già di importanza vitale, poiché la poca acqua potabile disponibile risulta essere compromessa dalla penetrazione del sale nell’entroterra.
Spero quindi che il mio elaborato e i miei risultati possano essere utili, almeno in parte, per promuovere la conoscenza sul fenomeno e per suggerire alcune soluzioni, al fine di evitare o almeno ridurre i danni all’ambiente e alla società, non solo del nostro paese, ma anche dei paesi in via di sviluppo, là dove il problema, più che economico, risulta essere un problema vitale per la preservazione delle comunità locali e della biodiversità.
- La Tutela dell’Ambiente: Legislazione, Procedimenti Amministrativi e Sviluppo Sostenibile
Dott. Francesco Miniaci
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MAGNA GRECIA DI CATANZARO
Departimento di Scienze della Salute
Master di 2° livello "Il diritto privato della pubblica amministrazione"La Tutela dell’Ambiente: Legislazione, Procedimenti Amministrativi e Sviluppo Sostenibile
Si tratta di un buon lavoro di ricerca frutto di una riflessione accurata sulla categoria del Diritto Ambientale e dello Sviluppo Sostenibile, di cui ha considerato l’evoluzione storica e normativa, l’incessante dinamicità che negli anni ha interessato la disciplina e la disamina delle problematiche insite alla materia, anche alla luce delle dinamiche socioeconomiche contemporanee.
Nella prima parte della tesi il dott. Miniaci incentrato la ricerca sul significato odierno di ambiente, concetto attorno al quale nel corso degli anni sono state enucleate differenti definizioni meta-giuridiche, sociologiche e normative, analizzando le variegate ed eterogenee fonti della normativa ambientale, individuabili dapprima in sede internazionale e comunitaria, approdate poi nelle normative interne dei singoli Stati.
I principi fondamentali delle normative ambientali dei vari Stati, quali ad esempio il principio di precauzione, il principio di prevenzione, il principio “chi inquina paga”, sono oggetto di acuto approfondimento nel primo capitolo della tesi.
La normativa del Testo Unico Ambiente volta alla tutela del suolo, delle acque, dell’aria, nonché la gestione dei rifiuti, è oggetto del secondo capitolo della ricerca.
I procedimenti amministrativi di pianificazione e valutazione di impatto ambientale, i procedimenti di autorizzazione, nonché i procedimenti amministrativi sanzionatori in cui si concretizza il potere autoritativo della P.A. (ordinanze-ingiunzione ex L. 689/1981) quale conseguenza della violazione delle norme contenute nel Testo Unico Ambiente, sono oggetto di trattazione nel terzo capitolo del lavoro di ricerca.
La parte centrale del lavoro è dedicata all’esame di una nuova forma di danno prima totalmente sconosciuta nell’ordinamento giuridico italiano, ovvero il “Danno Ambientale”, evidenziando come essa sia la conseguenza delle condotte dannose dell’uomo e delle sue attività venefiche sull’ambiente.
In questa parte della ricerca, si ricostruisce anche, con attenta analisi e rigore metodologico, il dibattito dottrinale in materia di danno ambientale, volto a comprendere ed identificare, se la responsabilità civile del soggetto che inquina, rivesta carattere oggettivo, ovvero soggettivo.
Proseguendo nella trattazione, sono stati messi debitamente in luce i casi di inquinamento e contaminazione di un sito ambientale, per i quali il legislatore ha predisposto lo strumento amministrativo del procedimento di bonifica, che può concretizzarsi in attività di ripristino del sito danneggiato a spese del trasgressore, ovvero in un obbligo di risarcimento.
Tali argomenti, sono oggetto di approfondimento nel quarto capitolo della ricerca.
Infine, la nascita e l’affermazione del principio dello sviluppo sostenibile, inteso quale faro nel mare della normativa in materia ambientale, lo sforzo programmatico contenuto nell’Agenda 2030 dell’ONU con i suoi diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile, l’importanza delle fonti energetiche rinnovabili e lo strumento degli appalti verdi, ovvero l’inserimento di criteri volti a ridurre l’impatto ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, sono oggetto del quinto ed ultimo capitolo della presente tesi.
Il lavoro del dott. Francesco Miniaci ha tenuto conto delle principali fonti bibliografiche, normative (anche sovranazionali) e giurisprudenziali sull’argomento, ed è stato svolto con serietà e vivo interesse.
- La percezione del ritorno del lupo a Campogrosso e sull’Altopiano di Asiago (VI-TN). Implicazioni sociali, turistiche ed economiche
Dott.sa Jessica Peruzzo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Corso di Laurea magistrale in Gestione delle organizzazioni e del territorioLa percezione del ritorno del lupo a Campogrosso e sull’Altopiano di Asiago (VI-TN).
Implicazioni sociali, turistiche ed economicheIl ritorno del lupo in alcune zone d’Italia risulta essere un fenomeno recente e di grande impatto sull’opinione pubblica e nella vita degli allevatori che devono proteggersi dagli attacchi al bestiame. Il mio elaborato tratta del recente ritorno di questo carnivoro al Passo di Campogrosso, fra i Comuni di Recoaro Terme (VI) e Vallarsa (TN), e sull’Altopiano di Asiago (VI) e delle conseguenze sociali che questo ritorno ha generato. In particolare, si è indagato come diverse categorie di persone percepiscano la ricomparsa del lupo al fine di comprenderne e confrontarne le attitudini, le opinioni e le aspettative per poter avere un quadro generale della situazione nel 2019 ed apportare materiale utile alle scelte future di gestione faunistica a livello locale, regionale e nazionale. Il fine ultimo della ricerca è stato quello di costruire una sorta di esemplarità della conoscenza sociologica delle località indagate e di mettere in evidenza le problematiche principali, le contraddizioni fra quanto creduto dalle persone e la realtà dei fatti, i punti di debolezza che potrebbero essere migliorati e i punti di forza che potrebbero essere sfruttati.
L’interesse nel voler approfondire questa tematica è nato dalla mia convinzione che sia necessario trovare al più presto delle forme di convivenza con i grandi carnivori che siano efficaci e socialmente condivise per evitare ulteriori malcontenti sociali e continue persecuzioni ai danni di questi predatori, patrimonio ecologico di indiscussa valenza che, proprio in ragione della grande importanza della diversità biologica quale capitale naturale di cui ancora dispongono le società umane, è necessario tutelare al pari degli interessi delle persone.
Dopo aver attuato un approfondimento di carattere ecologico nel primo capitolo ed aver fornito nozioni riguardo la situazione attuale della popolazione di lupo, il suo monitoraggio e le principali problematiche legate alla sua conservazione, nel secondo capitolo si espongono le principali teorie legate alla Human Dimension del ritorno del lupo, le attitudini attuali e passate delle persone nei suoi confronti e i motivi di conflitto con le attività umane, in principal modo con il mondo dell’allevamento.
Il terzo capitolo è dedicato al turismo: se per quello di stampo naturalistico il lupo può rappresentare un elemento di attrazione, per altre forme di turismo questo carnivoro può costituire un elemento di rischio che disincentiva la frequentazione, talvolta anche a causa dell’allarmismo prodotto dai media, altro elemento che viene esplorato all’interno del capitolo. Vengono infine presentate e caratterizzate le località di conduzione della ricerca.
Nel quarto capitolo, dopo aver approfondito la domanda e la metodologia di ricerca condotta tramite interviste, vengono analizzati per aree tematiche i risultati suddivisi nelle tre categorie di persone intervistate: escursionisti, allevatori e operatori economici, ossia le categorie che si sono ritenute maggiormente interessate dal ritorno del lupo.
Il quadro sociologico locale emerso rispecchia le opinioni rilevate dagli studiosi in altre parti d’Italia e d’Europa, confermando che il settore maggiormente danneggiato da questo ritorno è quello degli allevatori; per la maggior parte degli escursionisti e dei commercianti intervistati, invece, il lupo non risulta essere un particolare problema, anzi, per taluni potrebbe rivelarsi una forma di incentivo.
Infine, si conclude con una riflessione generale e vengono forniti spunti per ulteriori approfondimenti e per concretizzare i risultati di questa ricerca.
- Idoneità ambientale per la martora (martes martes) e la faina (martes foina) sull'arco alpino
Dott.sa Federica Fonda
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente
Corso di Laurea in Scienze della NaturaIdoneità ambientale per la martora (martes martes) e la faina (martes foina) sull'arco alpino
La martora (Martes martes Linnaeus, 1758) e la faina (Martes foina Erxleben, 1777) appartengono alla famiglia dei mustelidi e sono i carnivori simpatrici più simili in Europa. Secondo il principio di Gause, popolazioni stabili di due specie che condividono la stessa nicchia non possono coesistere in una stessa area; devono, quindi, differenziarsi in almeno una delle sue dimensioni. In particolare, per poter convivere devono differire nell’utilizzo delle risorse o devono mostrare una segregazione spaziale o temporale. Di recente, solo poche ricerche hanno affrontato lo studio della selezione dell’habitat di martora e faina in aree di simpatria, per lo più includenti aree molto diverse per condizioni ambientali e, quindi, per disponibilità delle risorse. Sulla base dell’ipotesi che la biodiversità varia tra regioni biogeografiche e che le differenze ecologiche tra le specie sono maggiormente evidenti a larga scala, lo scopo della ricerca è stato quello di analizzare le relazioni ambientali della martora e della faina in un’area omogenea dal punto di vista delle caratteristiche ecologiche, ovvero le Alpi italiane, facenti parte della regione biogeografia alpina.
Sono state attivate delle collaborazioni con numerosi Enti per la condivisione dei dati di presenza delle due specie target sull’arco alpino ed è stato possibile raccogliere 1566 dati di faina e 246 di martora. Sono stati realizzati dei modelli di distribuzione delle specie, in particolare utilizzando l’algoritmo della Massima Entropia, meglio noto come MaxEnt. Per individuare in modo più accurato i fattori che maggiormente influiscono sulla selezione dell’habitat da parte di queste specie, sono stati realizzati sia modelli specifici per ciascuna classe di fattori ambientali considerati (uso del suolo, geomorfologia e clima), sia un modello complessivo sviluppato a partire dalle variabili selezionate. Tutte le variabili prese in esame per lo studio dell’idoneità ambientale sono state misurate all’interno di due griglie appositamente create con celle di dimensioni pari all’home range delle due specie (1,4 km2 per la faina; 7,3 km2 per la martora).
I risultati ottenuti indicano una parziale segregazione spaziale delle due specie. Infatti, anche in un’area con condizioni ambientali omogenee dove predominano gli ambienti (semi-)naturali, i principali fattori di questa differenziazione sono la selezione delle aree forestali da parte della martora e l’associazione della faina con gli ambienti antropizzati, come riportato per altre zone d’Europa. Oltre che dall’uso del suolo, la distribuzione delle due specie è influenzata dal clima, con la termofila faina associata agli ambienti più caldi e asciutti, mentre la martora a quelli più freddi ad altitudini intermedie.
Le collaborazioni avviate costituiscono un primo passo per attivare una rete internazionale di monitoraggio dell’arco alpino e, eventualmente, per pianificare azioni efficaci per la conservazione di questi due mustelidi.
- Progettazione di un soprassuolo arboreo di collegamento tra due boschi planiziali a Muzzana del Turgnano (UD)
Dott. Mattia Zanotel
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dipartimento di Scienze Agroalimentiari, Ambientali e Animali
Corso di laurea triennale in Scienze Agrarie - Curriculum: sistemi montani e forestaliProgettazione di un soprassuolo arboreo di collegamento tra due boschi planiziali a Muzzana del Turgnano (UD)
Progetto di massima di un soprassuolo arboreo che colleghi i boschi Baredi e Selva d’Arvonchi siti in Muzzana del Turgnano (UD) costituenti il sito di importanza comunitaria (SIC) Boschi di Muzzana.
Il progetto tiene conto dell’alto valore naturalistico e ambientale che il SIC ricopre nel territorio regionale; ma al contempo si propone come alternativa economicamente allettante per i proprietari agricoli dei terreni interessati.
Il soprassuolo arboreo che si va a costituire ha un estensione di 92,75 Ha, e forma con i Boschi inerenti al SIC in questione una superficie continua di circa 445 Ha.
Il progetto si divide in 3 diverse zone, con obiettivi di diversificazione delle produzioni, e massimizzare gli effetti benefici portate dalle diverse specie autoctone negli appositi micro ambienti riscontrati nella zone; la prima è rappresentata da delle fasce ripariali lungo i corsi d’acqua; nella parte più esposta, il progetto prevede invece la realizzazione di un noccioleto che possa rappresentare la parte più produttiva dell’intera zona, ma allo stesso tempo possa dare rifugio alla fauna presente; mentre il corpo centrale del progetto, è rappresentato da una piantagione policiclica di tipo naturalistico che coniughi le esigenze di produzione legnosa e non, e amplifichi le esigenze naturalistiche dell’area.
Per tutta la progettazione si è tenuto conto dell’alto valore naturalistico dell’area e si è proposto di utilizzare soltanto specie vegetali autoctone della zona, per favorire la naturalizzazione di terreni agricoli altrimenti totalmente antropizzati.
- Laguna Nord: archeologia e paesaggio. Quattro interventi per la valorizzazione della storia e dell'ecosistema lagunare
Dott. Lorenzo Boccucci
Dott. Massimo Silvestri
Dott. Riccardo NadottiUNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Culture del ProgettoLaguna Nord: archeologia e paesaggio. Quattro interventi per la valorizzazione della storia e dell'ecosistema lagunare.
La Laguna Nord è un territorio generato da un complesso sistema di relazioni, in cui l’ecosistema naturale si intreccia con il patrimonio archeologico e con le attività umane. Lo scopo di questa tesi è mostrare l’invisibile, riportando alla luce i complessi legami che governano l’equilibrio della Laguna, tramite architetture effimere, per introdurre un diverso tipo di turismo, sostenibile e consapevole, in grado di interagire attivamente con il territorio al fine di preservarlo.
L’origine di questa tesi è la storia del rapporto che l’uomo ha avuto, ed ha tutt’ora, con la Laguna. Essa viene considerata sia dal punto di vista degli interventi, ambientali e costruttivi, che l’essere umano ha operato per consentire le proprie attività ma che hanno modificato i delicati equilibri necessari per la sopravvivenza dell’ecosistema; sia dal punto di vista archeologico, riportando all’attenzione le numerosissime tracce e reperti che testimoniano non solo la storia di una civiltà antica, ma soprattutto la complessità di un ambiente, la Laguna Nord, che ospita vita, commercio, scambi e persone da ben prima di quella che viene riconosciuta come data di fondazione di Venezia, il 25 Marzo del 421 d.C., la cui storia magniloquente pone in ombra ciò che in questi luoghi avvenne prima.
Le sfide che si è deciso di affrontare sono molteplici: partendo dalle riflessioni circa la morfologia lagunare e dalle conseguenze causate dalle modifiche idrauliche artificiali, si concretizza una strategia generale riguardante le diverse tipologie di mobilità, mirata alla connessione di differenti siti di interesse archeologico e paesaggistico in laguna Nord, intesi come chiave di riattivazione del territorio, tramite una fruibilità turistica sostenibile. Essa viene promossa a scala territoriale tramite un circuito di percorsi navigabili che ripercorrono le tracce dei canali esistenti adatti ad accogliere tipologie di imbarcazioni sostenibili. A scala locale, è stato identificato un percorso ciclabile lungo le arginature esistenti, volto alla ricucitura del territorio attraverso la ricostruzione del collegamento, un tempo esistente, tra le penisole di Lio Piccolo e Lio Maggiore, per consentire l’inserimento di queste zone all’interno di più ampi circuiti ciclabili regionali e nazionali.
L’area compresa tra Lio Piccolo e Lio Maggiore è una zona ricca non solo di ritrovamenti archeologici, ma anche di aree di interesse naturalistico, in cui la ricchissima fauna, la flora ed il paesaggio sono protagonisti. Il percorso lungo gli argini a nord di Lio Piccolo viene scandito da quattro interventi, con la duplice valenza di spazi evocativi e di dispositivi per la protezione del territorio. Tali architetture effimere coniugano l’evocazione dei siti archeologici, altrimenti non visibili perché custoditi nei fondali degli specchi d’acqua, e la creazione di nuovi punti di vista sul paesaggio, per ottenere una totale immersione nell’ecosistema, mantenendo uno sguardo attento e concreto al consolidamento e alla protezione del territorio, delle barene e delle rovine storiche. Attraverso un progetto di comunicazione integrata viene prevista la costituzione di una rete eterogenea di fruitori, coinvolgendo abitanti e turisti che, attraverso la comprensione del luogo, possano essere parte attiva nel processo di manutenzione dei sistemi di protezione sopra citati, contribuendo ad assicurare la continuità storica della morfologia locale, oltre a garantire la sopravvivenza dell’ecosistema, fondamentale per il corretto funzionamento idrogeologico della laguna e quindi della sua sopravvivenza.
- The contribution of rock substrate to water availability for forests growing on limestone formations
Dott. Daniel Marusig
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Ecologia dei Cambiamenti GlobaliThe contribution of rock substrate to water availability for forests growing on limestone formations
A causa del cambiamento climatico sono in aumento la frequenza e la durata dei periodi di siccità anomala, reputati essere alla base del progressivo declino degli ecosistemi forestali a livello globale. La salvaguardia di questi ecosistemi richiede una maggiore conoscenza riguardo le risorse idriche a disposizione della vegetazione specialmente in ambienti dove sono di per sé limitate, come quello carsico.
Considerato che le rocce carbonatiche, alla base della litologia carsica, possono immagazzinare acqua nelle porosità caratteristiche di tali substrati, abbiamo testato l’ipotesi che l’acqua immagazzinata all’interno dei pori possa essere assimilabile dalla vegetazione durante periodi di aridità. In particolare, abbiamo valutato:
- Se calcari con differente porosità possano trattenere diverse quantità di acqua disponibile per le piante;
- Se alberi cresciuti su formazioni calcaree più porose beneficiano di una maggiore risorsa idrica, tollerando maggiormente periodi di stress idrico;
- La possibilità di monitorare lo stato idrico della vegetazione da remoto, correlando misure di telerilevamento da satellite con quelle di parametri fisiologici misurati in campo.
Lo studio è stato condotto nel 2019, in parte in un bosco dominato da situato sul Carso triestino e in parte in una serra nell’Università degli Studi di Trieste. Sono stati analizzati due tipi di roccia carbonatica: Breccia (B, porosa) e Dolomia (D, compatta). Entrambe le litologie sono state caratterizzate per il proprio contenuto idrico assimilabile dalle piante (AWC), tramite stima delle rispettive isoterme di potenziale dell’acqua. In seguito, è stata condotta una sperimentazione in serra, allevando piante di Fraxinus ornus (Fo) in vasi riempiti con suolo e roccia (rispettivamente 65% e 35% in volume) B o D, oppure unicamente suolo (S). Alle piante stato imposto un periodo di stress idrico seguito da re-irrigazione (recupero) durante cui sono stati misurati periodicamente: conduttanza fogliare al vapore acqueo (gL), contenuto idrico fogliare assoluto (AbWC) e relativo (RWC), potenziale idrico fogliare (Ψ) e numero cumulato di individui con Ψ minore di -5 MPa (N-5), reputato essere una soglia di danno critico per questa specie. Infine, è stata misurata la biomassa secca di fusti, foglie e radici. In campo, è stato monitorato lo stato idrico in individui di Fo in due siti ecologicamente omogenei ma differenti per litologia (B o D). In particolare, è stata valutata la variazione di AbWC, RWC e Ψ su scala stagionale. I valori misurati sono stati correlati con quelli degli indici Normalized Difference Vegetation Index (NDVI) e Normalized Difference Water Index
(NDWI), calcolati utilizzando immagini multispettrali di satellite Sentinel-2, acquisite nelle stesse aree e nelle stesse date dei rilevamenti di campo. Infine, è stato calcolato l’andamento stagionale degli stessi indici durante le estati 2017 e 2019, per più siti occupati nuovamente da foreste su aree ecologicamente omogenee ma con diversa litologia.
I valori di AWC sono risultati significativamente maggiori in B rispetto a D di circa il doppio. Risultati concordanti sono stati ottenuti dalla sperimentazione in serra, durante la quale i valori di N-5 sono risultati sempre superiori nelle piante D rispetto a quelle B. Inoltre, sia dalle misure in campo che di telerilevamento, è emerso che alberi cresciuti su B godevano di un migliore stato idrico, evidente soprattutto dai valori di AbWC, Ψ, e NDWI.
Dai risultati di questo studio è emerso che a parità di condizioni ecologiche, piante cresciute in aree dominate da calcari più porosi godono di un migliore stato idrico, rispetto a quelle cresciute su calcari più compatti. Questa condizione sembrerebbe essere dovuta alla maggiore quantità di acqua trattenuta nei pori della matrice rocciosa, che potrebbe supportare la vegetazione in termini di mantenimento della funzionalità delle radici, e di produzione di biomassa fogliare, garantendo una maggior resilienza durante e dopo eventi di stress idrico. Infine, la variazione stagionale dei parametri fisiologici è stata correlata significativamente con quella di NDWI, suggerendo la possibilità di integrare questo indice nel monitoraggio dello stato ecosistemico su larga scala spaziale.
- Analisi della connettività ecologica nelle aree di contatto tra montagna e pianura: un caso di studio nella regione Friuli Venezia Giulia
Dott.sa Debora Persoglia
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie per l'ambiente e il territorioAnalisi della connettività ecologica nelle aree di contatto tra montagna e pianura: un caso di studio nella regione Friuli Venezia Giulia
Requisito indispensabile per la conservazione della biodiversità è la presenza di popolazioni o metapopolazioni con un numero di individui almeno pari alla minima popolazione vitale.
Nel contesto delle metapopolazioni è fondamentale la connettività ecologica che può essere mantenuta o incrementata realizzando reti ecologiche. Il Piano Paesaggistico Regionale della Regione FVG (PPR) prevede una Rete Ecologica Regionale (RER), già definita, e Reti Ecologiche Locali (REL), da sviluppare.
Il primo obiettivo della tesi è creare un modello spazialmente esplicito di Rete Ecologica a scala sovracomunale che dall’area montana, la cui matrice di fondo è data da ambienti forestali che rappresentano il risultato dell’avanzare progressivo del bosco, arrivi all’Alta Pianura considerando quindi zone caratterizzate da problematiche e pressioni notevolmente diverse.
Il secondo obiettivo consiste nell’effettuare un’analisi diacronica in una porzione montana dell’area di studio, corrispondente a sei comuni della Val Torre, per valutare in termini quantitativi la dinamica delle coperture del suolo, considerando in particolare le dinamiche di incespugliamento delle aree aperte tra il 1988 e il 2015.
Le domande di ricerca a cui si vuole rispondere sono le seguenti:
1) Nodi e corridoi ecologici continui che costituiscono la Rete ecologica alla scala locale hanno caratteristiche strutturali e/o distribuzione differenti in corrispondenza degli elementi individuati alla scala di RER?
2) Le variazioni delle coperture del suolo possono essere indici di paesaggio utili a caratterizzare gli elementi della rete al fine di identificare aree di più recente trasformazione sulle quali indirizzare l’attenzione per eventuali azioni di gestione e ripristino?
Nel capitolo 3 vengono descritti gli approcci metodologici che hanno portato alla costruzione del modello di rete, alla caratterizzazione dei suoi elementi e alla definizione delle aree in evoluzione.
Nel capitolo 4 sono descritti i principali risultati: la cartografia della potenziale REL per la biodiversità, la caratterizzazione dei nodi e dei corridoi continui, la carta della dinamica e la caratterizzazione degli elementi della rete sulla base della dinamica.
Nel capitolo 5 viene discusso il modello risultante ripercorrendo le fasi salienti della sua creazione, la collocazione degli elementi della Rete Ecologica Locale all’interno della Rete Ecologica Regionale e le loro caratteristiche e l’utilità del confronto diacronico.
In conclusione, è stato ottenuto un modello spazialmente esplicito di REL individuando una procedura per consentire di disporre di dati in ingresso rappresentativi dei valori ambientali presenti nell’area basandosi sul metodo proposto dal PPR.
Il modello ha permesso di identificare le caratteristiche strutturali e qualitative di nodi e corridoi; la lettura degli elementi in relazione alla rete regionale ha evidenziato che non è possibile stabilire una relazione tra le caratteristiche strutturali dei nodi della REL e la loro appartenenza ad elementi diversi della RER.
Infine, l'analisi delle dinamiche forestali ha consentito di migliorare le informazioni del modello teorico e della Carta habitat: ciò permette di indirizzare eventuali rilievi in campo per la verifica delle coperture e di associare agli elementi della rete indici di dinamica che identificano le aree di più recente trasformazione, sulle quali indirizzare l’attenzione per eventuali azioni di gestione e ripristino contribuendo a creare scenari utili per indirizzare le scelte di pianificazione.
- Gestione degli impatti stradali causati da caprioli, cervi e cinghiali nella provincia di Treviso. Verifica delle prime misure di monitoraggio nell’area con più criticità
Dott.sa Angela Morao
UNIVERSITÀ CÀ FOSCARI DI VENEZIA
Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica
Corso di Laurea Triennale in Scienze AmbientaliGestione degli impatti stradali causati da caprioli, cervi e cinghiali nella provincia di Treviso. Verifica delle prime misure di monitoraggio nell’area con più criticità
Con questo elaborato si è voluto evidenziare un problema che ha avuto una notevole crescita negli ultimi 10 anni, e che interessa gran parte del territorio trevigiano: l’interazione tra fauna e infrastrutture lineari. Il capriolo (Capreolus capreolus), il cervo (Cervus elaphus) e il cinghiale (Sus scrofa); sono le tre specie di ungulati più a rischio negli impatti stradali di una certa rilevanza. La maggior parte di questi animali viene uccisa nell’impatto che causa nella maggior parte dei casi gravi danni anche al conducente del veicolo. La necessità di monitorare e tenere sotto controllo questa problematica ci chiede un intervento urgente per migliorare la convivenza tra fauna selvatica e le strade. L’individuazione di ogni impatto, causato dalle tre specie di mammiferi, viene registrato dalla Polizia Provinciale Venatoria e conservato nell’archivio database della provincia. La distribuzione di questi dati in shapefile su cartografia GIS, ha dato la possibilità di studiare queste tre specie ed individuare quali sono le aree dove si verificano più incidenti e di conseguenza le cause dei loro spostamenti. Attraverso l’uso di grafici è stata fatta un’accurata analisi dei sinistri nell’arco di dieci anni, dal 2004 al 2014. Queste tre specie di ungulati, in particolare il capriolo, si sono adattati all’ambiente antropico della pianura, espandendosi in quasi tutto il territorio trevigiano. La provincia trevigiana si divide in bassa e alta pianura; è un territorio ricco di corsi d’acqua, boschi misti, prati alternati da aree coltivate e spazia dalla pianura alle Prealpi Trevigiane. Tutto ciò crea un habitat ideale per gli animali perché possono trovare rifugio e soddisfare i loro bisogni primari. Per ridurre il rischio d’impatto è stata presa in esame la strada con più alto tasso di incidenza e nel 2017 sono state predisposte le prime misure mitigative: la posatura di dissuasori. Quest’ultimi consistono in strumenti ottici luminosi, posizionati lungo la careggiata, la loro funzione ha lo scopo di arrestare l’animale durante il passaggio delle autovetture. È stato possibile verificare la funzionalità dei dissuasori confrontando i dati degli impatti stradali con quelli verificatisi negli anni successivi 2018 e 2019.
- Syrphidae (Diptera) della città di Ferrara: tra ricerca e divulgazione all’interno del progetto HICAPS
Dott.sa Linda Tossut
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di biologia
Corso di Laurea magistrale in Scienze della NaturaSyrphidae (Diptera) della città di Ferrara: tra ricerca e divulgazione all’interno del progetto HICAPS
Il presente lavoro ha tre obiettivi principali: valutare la qualità ambientale del Parco Urbano situato all’interno della città di Ferrara utilizzando la famiglia dei Syrphidae (Diptera) come bioindicatore; confrontare il popolamento di Sirfidi della città di Ferrara con altri siti studiati nella Pianura Padana al fine di stabilire se la presenza di aree verdi ben gestite all’interno della città permetta la colonizzazione di specie anche a elevate esigenze ecologiche; infine, coinvolgere, utilizzando alcuni canali di comunicazione, la cittadinanza facendo leva su una partecipazione diretta nella rilevazione delle specie presenti nel territorio urbano, al fine di promuovere il coinvolgimento dei cittadini all’interno dei progetti di CitizenScience del Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara.
La crescita degli spazi urbani è un processo che sta contribuendo a cambiare gli assetti geografici e ambientali su scala planetaria. Il processo ha effetti significativi sulle comunità viventi, dal momento che la perdita di spazi naturali produce come risultato una perdita di biodiversità sia animale che vegetale. L’interesse verso gli effetti dell’urbanizzazione sull’ambiente naturale ha spinto la ricerca ad affrontare problematiche quali la perdita di biodiversità, l’inquinamento e la perdita di aree naturali. A questo proposito, vi sono diversi progetti promossi dalla comunità europea, e non solo, con l’obiettivo di valorizzazione e tutelare gli ambienti naturali presenti nelle differenti città. Interegg Central Europe HICAPS- HIstorical Castle ParkS (HICAPS) è un progetto europeo, avviato nel 2017, con l’intento di valorizzare e migliorare la fruibilità dei parchi storici. Il comune di Ferrara ha deciso di aderire a questo progetto per valorizzare non solo l’aspetto storico-culturale ma anche quello ecologico-naturalistico della città. Per valutare la biodiversità presente in prossimità della Mura, che racchiudono il cuore di Ferrara, il Museo Civico di Storia Naturale della città ha proposto l’utilizzo di alcuni organismi bioindicatori, come Carabidi, Apoidei e Sirfidi. In questo lavoro ho utilizzato i Syrphidae (Diptera) per comprendere l’importanza degli ambienti verdi presenti in città nell’ambito della conservazione della biodiversità. Si è usufruito del database Syrph the Net, utilizzato per la valutazione dello stato di conservazione della biodiversità basato sui Ditteri Sirfidi.
Accanto alle analisi portate avanti dal gruppo di ricerca “Stazione ecologica del Territorio” del Museo esiste una linea di divulgazione e coinvolgimento della cittadinanza di Ferrara nei progetti di ricerca condotti dal Museo, volti a sensibilizzare i cittadini a una maggiore conservazione del patrimonio culturale e naturalistico che circonda gli ambienti di vita comune. All’interno di questo elaborato sono stati utilizzati due eventi organizzati dal Museo: l’edizione 2019 della “Notte dei Ricercatori” e un appuntamento di “BlitzNatura”. Durante questi incontri tra pubblico e cittadinanza sono stati proposti laboratori e uscite in campo per aiutare il pubblico ad acquisire una maggiore consapevolezza verso l’ambiente naturale e migliorare la propria conoscenza scientifica.
Il fine ultimo del lavoro è quindi quello di dimostrate come l’interesse verso l’ambiente che ci circonda, e le problematiche a essa correlate, siano un punto d’incontro tra due realtà: ricerca e cittadinanza.
- Comparazione di tecniche di monitoraggio non invasive per valutare la presenza dello sciacallo dorato (Canis aureus)
Dott.sa Eleonora Montani
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA
Dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia
Corso di Laurea Magistrale in Scienze AmbientaliComparazione di tecniche di monitoraggio non invasive per valutare la presenza dello sciacallo dorato (Canis aureus)
Lo sciacallo dorato (Canis aureus) è una specie in forte espansione sia a livello europeo che su scala italiana, dove lo si osserva a partire dalla fine degli anni ’70, in particolar modo nel territorio del Friuli– Venezia Giulia.
Il presente studio si avvale di 3 tecniche di monitoraggio non invasive, impiegate per la determinazione di questa specie su precise porzioni del territorio friulano (quadranti di 5 km per lato). Le tecniche applicate sono: le fototrappole, le emissioni acustiche (jackal howling) ed i transetti/ snow tracking. Questo studio è mirato a confrontare i diversi metodi di monitoraggio e valutare quale sia il più efficiente, anche in relazione alle diverse tipologie di habitat presenti sul territorio.
La tecnica del fototrappolaggio è stata applicata in 25 quadranti, di cui 3 hanno immortalato foto e video di sciacalli. Questi animali essendo molto elusivi sono difficili da fotografare. Inoltre, molto spesso le fototrappole sono state posizionate durante la percorrenza di transetti in zone montane, aree poco utilizzate dalla specie studiata.
Le emissioni acustiche sono state svolte in 27 quadranti e in solo 6 di questi si è ottenuta una risposta positiva. I monitoraggi basati su questa tecnica hanno subito delle limitazioni, come le condizioni climatiche avverse ed i periodi di stop corrispondenti alle nascite dei cuccioli, nei quali si preferisce non arrecare stress agli individui.
Il monitoraggio mediante i transetti e lo snow tracking si è rivelato essere quello che ha permesso la raccolta di maggiori dati. Dei 33 quadranti studiati, 15 hanno evidenziato esiti positivi, mostrando segni di presenza riconducibili a Canis aureus. Una problematica legata a questa tecnica di monitoraggio non invasiva è la difficoltà nello stabilire se i segni di presenza ritrovati lungo la percorrenza dei transetti appartengano con certezza allo sciacallo. Spesso le impronte su neve o su fango possono deteriorarsi rendendo difficoltoso il riconoscimento; inoltre solo l’analisi genetica delle fatte può stabilire con certezza la specie di appartenenza.
Lo studio della selezione dell’habitat relativo a tutti i quadranti in cui è stata applicata almeno una tecnica di monitoraggio, ha permesso di evidenziare 2 principali famiglie di habitat: la famiglia 3, ovvero territori boscati e ambienti semi- naturali, presente nelle maggior parte dei quadranti, e la famiglia 2, associata a: Superfici agricoli utilizzate, presente in percentuali minori.
Le analisi statistiche svolte utilizzando diversi modelli hanno permesso di osservare che la tecnica dei transetti e dello snow tracking risulta essere il modello qualitativamente migliore. È importante ricordare che questa tecnica genera molti falsi dati positivi.
Inoltre, il modello ottenuto dai dati complessivi mostra la stessa tipologia di habitat significativi ritrovati nel modello con i transetti e lo snow tracking.
Il modello statistico relativo al fototrappolaggio conferma la bontà di questa tecnica, ma i pochi dati raccolti, durante il periodo di indagine, non permettono a questo modello di essere accurato.
Questo studio ha perciò evidenziato le potenzialità delle diverse tecniche, ma anche le problematiche riscontrate in ciascuna di esse. Inoltre, ha permesso una valutazione accurata degli habitat presenti nella regione e di quelli maggiormente selezionati da Canis aureus.
Parole chiave:
- Canis aureus
- Monitoraggio
- Fototrappolaggio
- Jackal howling
- Transetti e snow tracking
- Selezione dell’habitat
- Speciazione del mercurio nei sedimenti della laguna di Grado tramite ricerca pirolitica
Dott.sa Stefania Trevisan
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Matematica e Geoscienze (DMG)
Corso di Laurea Magistrale in GeologiaSpeciazione del mercurio nei sedimenti della laguna di Grado tramite ricerca pirolitica
Il comune di Grado ha attuato il piano denominato “progetto di recupero delle attività di ittica in Valle Mezzano”, incaricando il dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste a svolgere le indagini chimico-fisiche per appurare lo stato di qualità dei sedimenti vallivi.
Si è analizzata la qualità del sedimento dal momento che in esso si accumula la maggior parte delle sostanze presenti nella colonna d’acqua, tra cui i possibili contaminanti. Inoltre, durante i lavori di ripristino della Valle i sedimenti verranno ricollocati con il rischio di rimobilitare le sostante potenzialmente tossiche.
Il presente lavoro di tesi si è concentrato sulle analisi geochimiche riguardanti la presenza del mercurio (Hg) nei sedimenti superficiali della Val Mezzano (primi 50 cm), con particolare riferimento alla speciazione chimica. Sfruttando la tecnica della pirolisi è stato possibile individuare le forme chimiche con le quali il Hg si presenta nel sedimento, dato importante in quanto il grado di tossicità e pericolosità è dipendente dalla forma in cui si trova nell’ambiente.
Lo studio si è focalizzato sul mercurio poiché la Valle da pesca è ubicata all’interno della Laguna di Marano e Grado, sito notoriamente contaminato da tale metallo. Gli apporti di Hg
nell’ambiente studiato provengono da una duplice fonte: dalle acque del fiume Isonzo, a seguito del dilavamento dei terreni mercuriferi del distretto minerario di Idrija, e dall’attività
dell’impianto soda-cloro del complesso industriale di Torviscosa. Nonostante l’attività mineraria si sia arrestata più di 20 anni fa e l’impianto chimico abbia adottato metodi di
depurazione, gli apporti fluviali sono ancora caratterizzati da alti tenori di Hg.Sfruttando la tecnica di desorbimento termico si sono potute differenziare le forme chimiche presenti nei sedimenti, facendo particolare attenzione alla forma cinabrifera (HgS) la quale essendo poco solubile non rappresenta una minaccia per la salute dell’uomo.
Le analisi di speciazione del mercurio hanno rilevato che nella quasi totalità dei campioni prevale la componente cinabrifera rispetto alle altre forme chimiche in cui si può presentare
l’Hg, e ciò induce a pensare che i sedimenti presentino un minor pericolo di contaminazione e di accumulo biologico. Saper distinguere le diverse forme chimiche è un aspetto
fondamentale che permette di valutare il giusto approccio durante gli interventi di bonifica
ambientale.I risultati ottenuti dalla speciazione dei campioni provenienti dalla Val Mezzano sono stati poi comparati con altrettanti campioni prelevati nell’alto Adriatico, appartenenti alla campagna CoNISMa (2001). I risultati evidenziano una “parentela” comune tra i sedimenti vallivi e marini nei quali le percentuali di cinabro sono paragonabili. Tali esiti confermano gli studi precedenti che suggeriscono il fiume Isonzo come prima fonte di immissione di mercurio cinabrifero nel Golfo e nella Laguna adiacente.
- Il diritto penale dell’ambiente - Le fattispecie di inquinamento e disastro ambientale e la responsabilità dell’ente
Dott.sa Sara Raimondo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Scuola di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in GiurisprudenzaIl diritto penale dell’ambiente
Le fattispecie di inquinamento e disastro ambientale e la responsabilità dell’enteLa tesi affronta le nuove problematiche emerse nel corso degli ultimi anni in materia di reati ambientali, muovendo da una preliminare analisi dell’evoluzione del diritto penale dell’ambiente in ambito nazionale ed internazionale. La ricerca si soffermerà con particolare riguardo sulla legge 68 del 2015 e, nello specifico, sulle fattispecie delittuose di inquinamento e disastro ambientale, evidenziandone gli aspetti controversi in dottrina e giurisprudenza. La disamina non potrà poi prescindere da una riflessione in tema di responsabilità dell’ente nel settore ambientale. A tal proposito, l’elaborato si occuperà del superamento del brocardo latino societas delinquere non potest e dell’introduzione dell’art. 25 undecies nel D. Lgs. 231 del 2001. A concludere, l’ultima parte dello scritto approfondirà la compatibilità della disciplina posta a tutela dell’ambiente con i principi cardine del diritto penale classico.
Il progetto ora brevemente esposto prende le mosse dall’annosa questione della tutela ambientale, la quale rappresenta un nodo di importanza fondamentale nella società post-moderna, ed ha, quale fine ultimo, la definizione di un sistema penalistico capace di garantire – in ossequio al principio europeo chi inquina paga e in un’ottica di sviluppo sostenibile – da un lato, la protezione dell’ecosistema, e, dall’altro, il contrasto alle sempre più preminente impudenza dell’essere umano, tutto teso a sfruttare le risorse naturali e ad alterare gli equilibri ambientali, incurante delle conseguenze che simili condotte provocano sul mondo in cui egli stesso vive.
Si tratta, invero, di una materia che implica una serie indefinita ed indefinibile di questioni spinose, ma – è bene precisarlo – la vastità del compito prescelto non ha rappresentato motivo di scoraggiamento, bensì stimolo a voler individuare le esatte lenti di ingrandimento da utilizzare per la cognizione ed il miglioramento del sistema criminoso ambientale e delle sue differenti derivazioni, nell’auspicio – non già nella convinzione – che si siano potuti indicare, se non le possibili soluzioni alle problematiche anzidette, quantomeno le strade che possano condurre al futuro compimento della più significativa delle metamorfosi: trasformare l’uomo, da sovrano illimitato ed indiscusso della natura, a custode responsabile de creato, della sua armonia e del suo equilibrio.
- Rivitalizzare le Aree Interne Italiane ripristinando il rapporto uomo-natura, inteso come rapporto tra comunità montane e il territorio in cui sono immerse
Dott.ssa Alice Coita
UNIVERSITÀ LUMSA
Master in Management of Suistanable Development GoalsRivitalizzare le Aree Interne Italiane ripristinando il rapporto uomo-natura, inteso come rapporto tra comunità montane e il territorio in cui sono immerse
Il punto di partenza della presente ricerca è l’attuale processo di spopolamento che sta coinvolgendo la maggior parte delle aree interne italiane. L’interrogativo di ricerca riguarda il modo tramite cui invertire tale processo e rivitalizzare le aree interne, specialmente montane, tramite il ripristino della interrelazione tra essere umano e natura, intesa come connessione e sinergia tra comunità montane e rurali e i territori in cui sono immerse.
La ricerca argomenterà che questo è l’unico modo per assicurare la sostenibilità nelle dinamiche di rivitalizzazione, attraverso processi integrati, virtuosi e sostenibili di valorizzazione delle aree interne, che diano nuova vita e supportino lo sviluppo di sistemi socioeconomici locali, resilienti, circolari e inclusivi.Rappresentando circa il 60% del territorio nazionale e ospitando quasi un quarto dell’intera popolazione italiana, le aree interne hanno un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità nazionale.
Il filo conduttore è stato di analizzare le possibilità per la rivitalizzazione sostenibile delle aree montane esaminando l’allineamento delle potenziali strade da percorrere con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, successivamente è stato indagato se le stesse dinamiche stiano avvenendo in Italia e, in caso affermativo, la loro rilevanza in relazione a iniziative negative (che ostacolano il raggiungimento degli SDGs).La prima parte si concentra su considerazioni teoriche nel tentativo di identificare i modi più idonei per ripristinare la vitalità delle comunità montane e al contempo preservare il territorio tutelando la biodiversità e mantenendo l’equilibrio tra ecosistemi e impatto antropico, al fine di incoraggiare una visione produttiva e rigenerativa delle aree interne.
La seconda parte tratta più in dettaglio dello spopolamento in Italia, approfondendo le dinamiche demografiche nel tempo e nello spazio e l’evoluzione temporale del rapporto tra territorio e persone.
La terza parte è dedicata all’analisi di casi reali. Dopo un breve inquadramento a livello regionale, I casi studio selezionati vengono presentati e supportati da approfondimenti sul modo in cui le loro pratiche e i loro impatti contribuiscano (o ostacolino) al raggiungimento dei Target pertinenti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Pratiche positive come la Comunità di Valcodera (Lombardia) sono esemplari e hanno la potenzialità essere adottate in altre realtà, fornendo le basi per intraprendere cambiamenti virtuosi anche al di fuori del territorio di origine. Pratiche negative sono riportate al fine di dimostrare la portata (tuttora) rilevante nella tendenza evolutiva delle aree interne montane.
La conclusione della tesi include considerazioni relative all’attuale emergenza Covid 19 in relazione a possibili conseguenti trasformazioni del panorama sociale, economico ed ambientale montano. Riflessioni sul cambiamento climatico e sul fenomeno dei rifugiati climatici sono proposte, insieme al fenomeno dei nuovi montanari e dei “montanari di ritorno”.
Risulta complicato delineare se il paradigma estrattivista stia declinando, tuttavia appare chiaro che il paradigma sostenibile, locale e partecipativo stia guadagnando rilevanza anche a livello nazionale.
Le montagne “di mezzo” costituiscono la vera linfa delle terre alte italiane, essendo composte da abitanti reali che si impegnano costantemente per preservare l’antica connessione tra persone ed il territorio circostante. Il paradigma dello sfruttamento illimitato delle risorse non può essere applicato in queste aree: abbracciare la sostenibilità significa soddisfare le necessità attuali senza compromettere la capacità dei territori di rigenerarsi e mantenersi in equilibrio.
Significa ripensare al modo di vivere all’interno e con il territorio. - Osservazione di una popolazione pura di Pelophylax lessonae (Percedol, Opicina)
Dott.ssa Alessia Bontempi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea in Scienze BiologicheOsservazione di una popolazione pura di Pelophylax lessonae (Percedol, Opicina)
Lo stagno di Percedol (località Opicina, Trieste) è l'unico luogo sul Carso triestino dove è presente una popolazione abbondante e stabile di Pelophylax lessonae o rana di Lessona. Questo anuro è presente in Europa in popolazioni miste, in differenti percentuali, con il suo ibrido: Pelophylax kl. esculenta.
La diminuzione e la degradazione del suo habitat e l'ibridazione sono i principali problemi di questa specie, della quale non è chiara la reale distribuzione. Vivendo in popolazioni miste è infatti spesso considerata e monitorata solo come sistema ibridogenetico lessona-esculenta.
Questo è dovuto alla difficoltà di distinzione tra la specie pura e il suo klepton, che presentano caratteristiche morfologiche variabili e molto simili. Il carattere che le distingue maggiormente, senza ricorrere alla cattura dell'animale e ad analisi genetiche è il canto.
Alcuni studi hanno inoltre evidenziato la correlazione tra le caratteristiche e lo stato di conservazione del sito, e il grado di purezza della popolazione.
Tramite osservazioni e monitoraggio bioacustico presso lo stagno di Percedol, e la comparazione tra le caratteristiche del sito in questione con altri precedentemente studiati, si può verosimilmente affermare la presenza presso quest'ultimo di una popolazione di rana di Lessona con elevato grado di purezza.
I metodi tradizionali di monitoraggio affiancati ad un utilizzo della bioacustica tramite analisi delle tracce audio, ed il confronto con altri indici che valutano la qualità dell'ambiente potrebbero fornire dati essenziali per predire la composizione delle popolazioni ed individuare siti particolarmente idonei alla conservazione di questa specie.
- Valutazione dello stato di percezione da parte degli stakeholder dello sciacallo dorato (Canis aureus L. 1758) e dell’utilizzo dei cani da guardiania come strumento di mitigazione. Un caso di studio sul Carso goriziano e triestino
Dott.ssa Marta Pieri
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali
Corso di laurea in Scienze agrarie - Curriculum sistemi montani e forestaliValutazione dello stato di percezione da parte degli stakeholder dello sciacallo dorato (Canis aureus L. 1758) e dell’utilizzo dei cani da guardiania come strumento di mitigazione. Un caso di studio sul Carso goriziano e triestino
Lo sciacallo dorato (Canis aureus) è un canide di medie dimensioni, presente in Italia dalla metà degli anni 80 del secolo scorso. Attualmente l’area del Carso goriziano e triestino è quella che ospita una popolazione con la maggiore densità in Italia (1,1 individui/ 100 ha). Lo sciacallo è una specie sinantropica e un opportunista alimentare, la sua presenza ha aperto un nuovo scenario sullo stato di percezione o human dimension e ha posto il problema della mitigazione del conflitto con i portatori di interesse o stakeholder in quest’area. I principali stakholder coinvolti sono gli allevatori, i cacciatori e gli escursionisti (attività turistico-ricreativa), i cui interessi e attività entrano potenzialmente in conflitto con la presenza della specie. Nel 2013 sono state accertate le prime predazioni da parte dello sciacallo su ovini, progressivamente aumentate negli anni. Nel 2018 sono stati documentati i primi casi di bracconaggio di sciacallo dorato nell’area, a testimoniare una crescente percezione negativa della specie.
Il presente lavoro ha come obbiettivo comprendere lo stato di percezione dello sciacallo dorato nell’area di studio e valutare le successive azioni di sensibilizzazione, divulgazione e tecnico economiche per la conservazione della specie e del patrimonio rurale locale, tra cui la fattibilità dell’uso dei cani da guardiania per la protezione degli ovini come metodo di mitigazione.
Nell’area di studio sono stati somministrati dei questionari semi strutturati nel periodo 2017-2018 agli stakeholder per la valutazione dello stato di percezione connesso alle problematiche specifiche di ogni categoria (profilazione, conoscenza generale della specie, pericolo per l’incolumità personale, danno al patrimonio zootecnico, competizione nell’attività venatoria). I dati raccolti sono stati elaborati, analizzando le frequenze e i descrittori (media, minimo e massimo, deviazione standard).
Sono state raccolte le risposte di 292 escursionisti, 35 cacciatori e 6 allevatori nell’area di studio. Nei risultati è emerso che la maggior parte degli stakeholder intervistati (67% escursionisti, 79% cacciatori, 50% allevatori) non considera lo sciacallo un pericolo per l’incolumità personale. Per la categoria degli escursionisti si è evidenziato nel 67% dei casi una scarsa conoscenza dei cani da guardiania e del loro utilizzo, che può alimentare significativamente le situazioni di conflitto. Per i cacciatori si è evidenziata una scarsa conoscenza della biologia, ecologia dello sciacallo dorato, solo il 6% degli intervistati ha fornito tutte le risposte corrette alle domande, e una bassa tolleranza alla sua presenza. Gli allevatori intervistati utilizzano metodi di difesa diurni e notturni (67% electric fence, 50% ricovero notturno, 33% sorveglianza del pastore, 17 no electric fence). Due allevatori hanno utilizzato i cani da guardiania in passato, ma nessuno vuole adottarne in futuro per problematiche di tipo gestionale.
Dai risultati si evidenzia la necessità di una maggiore conoscenza della specie da parte di tutti gli stakeholder per migliorarne la percezione e il livello di tolleranza. Emerge l’urgenza di disporre programmi di sensibilizzazione e divulgazione ai diversi stakeholder, di sostegno tecnico e economico agli allevatori locali (le micro aziende sono le più danneggiate dalle predazioni rispetto ad aziende di grandi dimensioni). L’uso dei cani da guardiania si è rivelato essere di difficile applicabilità nel contesto dell’area di studio sia per la mancanza di conoscenze gestionali possedute sia da allevatori, sia dagli escursionisti che potrebbero interagirvi. La futura conservazione deve mitigare l’impatto e trasformare la presenza della specie da problema a risorsa economica (es. turismo, valorizzazione prodotti locali) ed ecologica (specie spazzino, necrofago).
- Caratterizzazione idrologica e sedimentologica del T. Vedronza mediante indicatori GIS
Dott. Michel Schena
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali
Corso di laurea in Scienze agrarieCaratterizzazione idrologica e sedimentologica del T. Vedronza mediante indicatori GIS
L’erosione del suolo è un fenomeno di rilevante importanza nei bacini idrografici montani, dove spesso si incontrano condizioni favorevoli a far sì che tali processi si manifestino con forti impatti di natura ambientale, economica e sociale. Al fine di individuare le aree di maggior criticità nei bacini idrografici montani, un ruolo chiave è rivestito dai Sistemi Informativi Territoriali (SIT), ovvero l’insieme delle apparecchiature hardware, software, applicazioni e operatori che hanno il compito di acquisire, organizzare ed elaborare i dati riguardanti il territorio. Essi consentono di ricostruire modelli digitali delle aree studiate, su cui possono successivamente essere condotte analisi di natura territoriale.
L’area scelta per queste analisi è il bacino del torrente Vedronza, affluente del torrente Torre, situato nella zona delle Prealpi Giulie. L’area è caratterizzata da precipitazioni abbondanti e costanti durante tutto l’anno, da pendenze molto elevate e da numerose zone soggette a forti processi erosivi, abbinati a una copertura vegetale 2
molto estesa (amplificata dall’abbandono del soprassuolo forestale, particolarmente accentuato in questa porzione della Regione).
Il presente elaborato si compone di 3 parti:
La prima parte è finalizzata alla caratterizzazione idrologica del bacino, evidenziando quali sono i livelli cartografici di base e derivati e i parametri utilizzati per giungere a una simulazione della portata liquida in caso di piena, visualizzabile mediante un idrogramma di piena. Gli eventi di piena possono talora risultare un serio rischio per centri abitati, infrastrutture e l’ambiente in cui si verificano, in particolare se abbinate a fenomeni di erosione e trasporto solido; per questi motivi risulta particolarmente importante conoscere l’idrogramma di piena di un bacino, che costituisce uno strumento importante per l’eventuale progettazione di opere idrauliche e di sistemazione del territorio.
La seconda parte ha come obiettivo la descrizione della sedimentologia del bacino, mediante l’applicazione di vari parametri morfometrici (Connectivity Index, Stream Power Index, Deficit on Channel Network, Sediment Transport Index e Fattore Stabilizzante della Vegetazione). Tali indicatori non consentono di ottenere dati quantitativi sulla produzione del sedimento ma, partendo da semplici dati di natura topografica, offrono una stima sulle dinamiche del sedimento, individuando le zone maggiormente soggette all’erosione e al trasporto del sedimento. Nonostante i limiti derivanti dalla semplice natura topografica di tali indicatori, i risultati appaiono generalmente coerenti con le caratteristiche ambientali dell’area, in particolare con i tipi morfologici dei vari tratti del reticolo idrografico, ai quali sono associati diversi comportamenti nei fenomeni di erosione e di trasporto del sedimento.
La terza parte consiste in una panoramica sulle sistemazioni idraulico-forestali presenti nel bacino e sulla loro funzionalità, soffermandosi sui rilievi svolti in campo e sui metodi e materiali utilizzati. Le sistemazioni idraulico-forestali sono opere che regolano la portata e il trasporto solido in alveo (“opere intensive”) o la probabilità di franamento lungo i versanti (“opere estensive”), tramite le quali è possibile contenere gli effetti deleteri dell’erosione e creare una condizione di equilibrio, in cui i fenomeni di perdita del suolo avvengono, ma secondo un livello di rischio ritenuto accettabile, soprattutto a protezione di viabilità, manufatti e centri abitati. Nel corso dell’indagine ci si è concentrati sulle opere intensive, che nel bacino del Vedronza sono rappresentate da briglie di correzione, opere spondali, soglie, repellenti e ponti. Durante l’attività di monitoraggio si sono rilevati danneggiamenti a diverse opere; per esse si auspica una maggior manutenzione per il futuro, onde evitare una seria compromissione delle stesse e della loro funzione di protezione del territorio.
- Brda – Collio – Cuei. Scheda per la candidatura alla lista UNESCO e analisi integrata del PPR
Dott.ssa Veronika Srebrnič
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINOCorso di Laurea Magistrale Interateneo in Progettazione delle Aree Verdi e del Paesaggio
Brda – Collio – Cuei. Scheda per la candidatura alla lista UNESCO e analisi integrata del PPR
La mia tesi finale verte sulla candidatura per la lista UNESCO del ‘Paesaggio culturale transfrontaliero terrazzato del Brda - Collio - Cuei’.
Si è andato ad analizzare le varie componenti che formano il paesaggio collinare del Collio-Brda, partendo dal punto di vista idro - geomorfologico fino a quello storico - culturale. Un passaggio essenziale per la composizione della candidatura per la World Heritage List è la tutela del sito proposto; quindi in particolar modo si è andato a svolgere un analisi integrata del Piano Paesaggistico Regionale del Friuli - Venezia Giulia, all’interno del quale è individuato un ambito paesaggistico comprendente il Collio, estrapolando le informazioni già presenti nel PPR riguardo il Collio e integrandole con i risultati delle mie analisi, evidenziando gli obiettivi di qualità e le discipline d’uso che i Comuni dovrebbero recepire nella fase di adeguamento dei loro piani urbanistici alle direttive del Piano Paesaggistico Regionale.
- Contaminazione da metalli pesanti nelle acque superficiali e nel materiale in sospensioneprovenienti dal canale Usciana, Toscana
Dott.ssa Chiara Maccelli
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie GeologicheContaminazione da metalli pesanti nelle acque superficiali e nel materiale in sospensioneprovenienti dal canale Usciana, Toscana
Il Canale Usciana (Toscana, Italia Centrale) è un canale artificiale costruito nel 1934 per raccogliere e controllare le acque del Padule di Fucecchio, che si trova nella parte inferiore della Valdinievole, prima della sua immissione in Arno. Durante gli ultimi decenni, un importante distretto conciario si è sviluppato lungo il Canale Usciana sul quale applica un significato stress antropico equivalente a circa 2,250,000 abitanti (Autorità di Bacino, 1998; Nisi et al., 2008). A partire dal 2001, le acque del Canale Usciana sono state soggette a numerose morie di pesci (Pucci, 2001) l’ultima delle quali è avvenuta nel 2015 (Sabia, 2015). Nel 2003, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPAT) ha intrapreso un monitoraggio sullo stato delle acque del canale (Bresciani et al., 2008), i cui risultati hanno indicato una scarsa qualità delle acque superficiali, soprattutto in relazione alla presenza di numerosi nutrienti causati da scarichi urbani ed industriali (Vannini et al., 2017). Al fine di valutare il contributo antropico e naturale nelle acque superficiali e nei solidi sospesi, sono stati racconti dati chimici ed isotopici originali da 13 siti di campionamento distribuiti lungo il Canale Usciana e prima e dopo la sua ingressione in Arno. Le concentrazioni degli elementi in tracce ed ultra-tracce sono state determinate tramite l’analisi in ICP-OES ed ICP-MS presso l’Università di Utrecht (Paesi Bassi) mentre i rapporti isopici del Pb sono stati misurati tramite il TIMS presso l’Università degli Studi di Firenze (Italia).
- Improvement and calibration of a GIS- based method for estimating the potential of Large Wood in torrential catchments. A case study for South Tyrol - Italy
Dott. Patrick Dalpiaz
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l'Ambiente e il TerritorioImprovement and calibration of a GIS- based method for estimating the potential of Large Wood in torrential catchments.
A case study for South Tyrol - Italy.Questa tesi di Laurea Magistrale ha come obiettivo la valutazione e il miglioramento, attraverso l’utilizzo di dati reali raccolti in Alto Adige, dei risultati di un modello GIS attualmente in uso all'Agenzia per l'Ambiente della Baviera per stimare il carico di legname galleggiante (LW) coinvolto nelle piene torrentizie, come quelle verificatesi nell’Italia settentrionale durante i primi giorni di dicembre 2020 e nella tempesta Vaia del 2018.
Il legname flottante rappresenta un pericolo naturale nei bacini montani in quanto può danneggiare infrastrutture come ponti o dighe. Inoltre, il legname potrebbe anche dare origine a intasamenti che, portando ad un innalzamento del livello dell'acqua e a conseguenti allagamenti, costituiscono un rischio per insediamenti urbani e persone.
Nella prima parte del lavoro, sono state fornite le conoscenze disponibili sull'argomento allo stato dell’arte e sono stati descritti diversi metodi utilizzati per la valutazione del LW nei corsi d'acqua.
Il modello GIS utilizzato come base era stato validato in precedenza dall'Agenzia per l'Ambiente della Baviera esclusivamente tramite formule empiriche, con il rischio che non restituisse stime sufficientemente affidabili del LW. Pertanto, durante questo lavoro di tesi, i risultati del modello attuale e quelli derivanti dalle formule empiriche di letteratura sono stati confrontati con i dati di legname raccolti dalla Protezione Civile della Provincia Autonoma di Bolzano - Italia, a seguito di eventi reali verificatisi in provincia. L’analisi effettuata ha mostrato che il volume di legname flottante nei torrenti non può essere stimato con una precisione accettabile dagli attuali approcci quantificativi. Le imprecisioni nella stima del LW hanno evidenziato chiaramente la necessità di valutare più in dettaglio i parametri in input del Tool GIS e di confrontare i risultati con i dati relativi agli eventi registrati. Tali parametri, di carattere topografico e forestale, (es. capacità di trasporto del LW, larghezza del torrente, percentuale di vegetazione nell’alveo, ecc.) sono stati definiti attraverso i criteri illustrati nel presente lavoro, nonostante la scarsa letteratura reperibile sui parametri significativi per il trasporto di legname nei torrenti.
È stato quindi dimostrato che una semplice ed accurata regolazione dei parametri porta ad un notevole miglioramento nell'affidabilità della stima del LW.
Successivamente, i parametri scelti sono stati sottoposti ad un'analisi di sensibilità al fine di comprenderne in dettaglio l'influenza e in modo tale da poter fornire linee guida ai futuri utenti del Tool GIS, in particolare l'Agenzia Bavarese per l'Ambiente e gli enti di Protezione Civile dei territori alpini.
Nell’ultima parte del lavoro, è stata presentata una panoramica dei punti di forza e dei limiti del metodo di stima del legname flottante mediante il Tool GIS, insieme a possibili miglioramenti e sviluppi futuri.
Da un punto di vista pratico, questo studio ha fornito l'opportunità di affinare un modello per la stima del legname galleggiante durante eventi di piena nei torrenti, fondamentale per valutare le reali zone di pericolo e rischio in ambiente montano e per effettuare una pianificazione mirata ed efficace degli interventi.
Il presente studio potrebbe essere di notevole rilevanza per le autorità locali, così come per le agenzie di protezione civile e di tutela del territorio montano. - Il Contratto di Fiume, riqualificazione fluviale del bacino Meolo Vallio Musestre
Dott.ssa Alice Marcassa
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento Territorio e Sistemi Agro - Forestali
Corso di laurea in Tecnologie Forestali e AmbientaliIl Contratto di Fiume, riqualificazione fluviale del bacino Meolo Vallio Musestre
Il Contratto di Fiume Meolo Vallio Musestre di seguito presentato nasce dalla collaborazione tra le amministrazioni comunali di Breda di Piave (TV), Carbonera (TV), Meolo (VE), Monastier di Treviso (TVL, Roncade (TV) e San Biagio di Callalta (TV).
La finalità del lavoro è stata quella di partire dalle basi giuridiche e dalle linee guida inerenti i contratti di fiume per adeguare i risultati ad una piccola realtà territoriale qual è quella del bacino dei fiumi Meolo, Vallio e Musestre. Lo scopo è stato quello di presentare l’iter procedurale, attuato attraverso un processo di coinvolgimento degli enti istituzionali presenti, delle associazioni di categoria e della società coinvolta attivamente, che possa rappresentare un riferimento per la riqualificazione fluviale.
Tramite un’attenta analisi dell’area di studio, che mettesse in luce le caratteristiche paesaggistiche, si è voluto creare una base per predisporre una gestione attiva dell'ambito fluviale, inserita in un progetto di territorio.
Per questo, il Contratto viene introdotto come struttura di gestione per la pianificazione e progettazione ambientale, organizzata come tavolo di governance cooperativa interistituzionale. Il tavolo si avvale di un’Assemblea di bacino e di una cabina di regia e monitoraggio che si pongo come strumenti di governo dei progetti che man mano prendono corpo nella realtà territoriale, e strumenti di informazione sulle metodologie utilizzate e sulle potenzialità per i proprietari e le istituzioni ricadenti nel contratto di fiume.
Il raggiungimento di tale traguardo si realizza tramite la disposizione di un insieme di azioni concrete e coordinate tra loro tali da garantire il raggiungimento degli obiettivi di riqualificazione paesaggistico-ambientale e di rigenerazione socio-economica del sistema fluviale.
- Forest Bathing in Italia: stato dell’arte, criteri di realizzazione e gestione
Dott.ssa Maria Vittoria Luchesa
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali
Laurea Magistrale in Scienze Forestali e AmbientaliForest Bathing in Italia: stato dell’arte, criteri di realizzazione e gestione
Questa ricerca ha voluto creare una panoramica delle iniziative in Italia di Forest Bathing e attività di rilassamento e rigenerazione in foresta, al fine di dare una visione più concreta al settore emergente del benessere in foresta. Ormai è stato ampiamente riconosciuto che passare del tempo in ambienti naturali apporti benefici piscologici e fisici al nostro organismo. Soprattutto nell’ultimo periodo, poi, il bisogno delle persone di allontanarsi dagli ambienti urbani e rifugiarsi nella Natura sta aumentando sensibilmente. Infatti, nell’ultimo periodo si è assistito ad una maggiore diffusione di attività legate al benessere in foresta, motivo per cui si è voluto indagare nello specifico lo sviluppo del settore in Italia.
Gli obiettivi specifici di questa ricerca sono dunque (i) revisione aggiornata della letteratura e creazione di un quadro di contesto dell’argomento (ii) individuazione delle iniziative attive sul territorio nazionale, (iii) analisi dello sviluppo e dell’organizzazione delle iniziative tramite un questionario proposto ai promotori.
I risultati più rilevanti hanno evidenziato come la maggior parte delle iniziative di Forest Bathing e benessere in foresta siano concentrate nell’Italia settentrionale, in particolare nella regione del Trentino-Alto-Adige. Poche sono quelle sviluppate nel resto d’Italia. Inoltre, è emerso come la maggior parte degli organizzatori consideri “il bisogno di riavvicinare le persone alla Natura” come principale forza motrice che li ha spinti a proporre attività in foresta. Questa affermazione evidenzia il sentito ritorno della popolazione agli ambienti naturali, sia come promotori delle attività che come semplici visitatori. A conferma di ciò, gli organizzatori hanno dichiarato che lo staff interno delle loro attività negli ultimi anni è aumentato. Questo fa pensare che l’aumento dello staff sia dovuto ad un aumento della richiesta da parte dei visitatori stessi. In più, è importante ricordare che la maggior parte degli organizzatori non ha dovuto acquisire titoli di studio in scienze forestali/ambientali o in scienze psicologiche-educative. Infatti, si è dimostrato come è sufficiente seguire corsi specializzanti per guide di Forest Bathing o corsi per operatori olistici per acquisire le competenze necessarie allo
sviluppo di attività in foresta. Perciò, chiunque voglia avvicinarsi a queste attività, anche in assenza di contatti pregressi con questo settore, può ottenere un titolo valido e riconosciuto per poter sviluppare un’attività propria. In riferimento all’ambiente boschivo, invece, va specificato che non esiste una stagione migliore di un’altra per ottenere benefici dalla foresta, come non esiste un bosco migliore di un altro. Evidentemente, va tenuto in considerazione che a seconda della posizione geografica saranno presenti specie forestali e tipologie di boschi diversi. In più, sono presenti caratteristiche morfologiche (come pendenza), caratteristiche estetiche (presenza di piante sane o bosco misto) e caratteristiche come silenzio, presenza di acqua... che possono influire sul migliore o peggiore rilassamento fisico e mentale della persona. A sostegno della teoria che le attività in foresta migliorano il benessere psico-fisico delle persone, si hanno i risultati ottenuti dagli organizzatori a seguito dei monitoraggi. I risultati hanno, infatti, sempre confermato il rilassamento delle persone dopo le attività e un conseguente miglioramento del benessere.
In conclusione, le attività di Forest Bathing e benessere in foresta sono ancora poco diffuse in Italia ma si hanno tutti i presupposti per ritenere che queste attività sono destinate ad aumentare nel prossimo futuro. Anche dai risultati è emerso come la maggior parte delle iniziative in Italia sono nate nell’ultimo decennio. Questo porta a pensare ad una crescita delle attività nel prossimo futuro, soprattutto come conseguenza della maggiore richiesta della popolazione di ritornare alla Natura per trovare ristoro fisico e mentale. Ci si augura che le iniziative aumenteranno equamente in tutte le regioni d’Italia e che vengano diffuse tra tutte le fasce della popolazione italiana, dai bambini agli anziani, dagli individui sani a quelli malati. Inoltre, la nascita di nuove iniziative favorirebbe la ricolonizzazione di aree marginali ormai abbandonate, garantendo nuove possibilità lavorative ai giovani, garantendo la nascita di nuove attività, business, green jobs a favore sia delle economie locali in difficoltà sia della nostra salute fisica e mentale.
- Il platano comune (Platanus hispanica Mill.) nelle piantagioni policicliche e nei filari campestri del Veneto: struttura arborea, produttività e gestione
Dott. Marco Boscaro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali
Laurea Magistrale in Scienze Forestali e AmbientaliIl platano comune (Platanus hispanica Mill.) nelle piantagioni policicliche e nei filari campestri del Veneto: struttura arborea, produttività e gestione
Il platano comune (Platanus hispanica Mill.) nel Nord Italia viene tradizionalmente allevato in filare per la produzione di legna da ardere. Da alcuni anni esso viene impiegato anche in pieno campo nelle piantagioni policicliche di tipo naturalistico.
Obiettivo di tale tesi è quello studiare il comportamento del platano nei filari campestri gestiti a ceduo e nelle piantagioni policicliche dove esso è, per ora, gestito a fustaia. Si vuole, infatti, indagare in termini strutturali, dimensionali, e produttivi come il platano si comporta in differenti formazioni produttive aventi altrettante differenti forme di gestione. Nello specifico delle piantagioni policicliche si è voluto indagare inoltre se le superfici assegnate da progetto in ciascuno schema di impianto fossero state rispettate o meno a fine turno.
Per indagare i parametri strutturali e dimensioni sono stati effettuati due anni di rilievi dendrometrici (inverno 2017-2018 e inverno 2018-2019). L’area di studio per quanto riguarda i filari campestri è stata quella della Saccisica (Provincia di Padova) mentre per quanto riguarda le piantagioni policicliche quelle delle Valli Grandi Veronesi (Provincia di Verona). I filari misurati, aventi turni di ceduazione di 3-4 anni, sono stati 31 il primo anno e 8 nel secondo anno di rilievi. Le piantagioni policicliche misurate sono localizzate interamente nel comune di Villa Bartolomea e costituite da quattro differenti schemi di impianto di 6 e 7 anni. Per quantificare la produttività dei filari campestri è stata utilizzata una tavola di pesata fresca presente in bibliografia invece per le piantagioni policicliche sono state realizzate due tavole a una entrata, una di pesata fresca e una di cubatura grazie alle misurazioni condotte su 80 alberi modello.
I filari campestri sono risultati essere notevolmente più produttivi delle piantagioni policicliche. Da un filare medio di 4 anni con le seguenti caratteristiche: altezza media dei polloni dominanti di 9,15 m, superficie di chioma media di 14,03 m2, numero medio di polloni compresi tra 6 e 10, diametro medio dei polloni di 5,63 cm, sono state ottenute delle produzioni finali in peso fresco utile di 6,25 t/100 m. D’altro canto, per le piantagioni policicliche di 6-7 anni con le seguenti caratteristiche: altezza media dei fusti tra 10,06 e 12,12 m, superficie di chioma media tra 6,51 e 9,10 m2, diametro medio del fusto tra 10,17 e 12,87 cm, sono state ottenute delle produzioni finali in peso fresco utile comprese tra 2,30 e 3,77 t/100 m. Dei 4 schemi di impianto studiati, la superficie assegnata da progetto al platano al compimento dei 6 anni è stata uguagliata da uno schema, superata da due schemi e non superata da solo uno schema. Quest’ultimo ha tuttavia raggiuto le superfici di progetto l’anno successivo (7 anni).
- Applicazione di metodologie di osservazione dei Cetacei nel Golfo di Trieste
Dott.ssa Karin Schlappa
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dipartimento di Scienze della Vita
Corso di Laurea in Scienze BiologicheApplicazione di metodologie di osservazione dei Cetacei nel Golfo di Trieste
Come si evince dalla letteratura, il monitoraggio rappresenta il fondamento grazie al quale è possibile conoscere le specie presenti in un’area (regolarmente, frequentemente o transienti) ed attraverso il quale è possibile contribuire alla conoscenza e salvaguardia dei cetacei nei nostri mari, al fine di garantire il raggiungimento ed il mantenimento di uno stato di conservazione “soddisfacente”, fatto esplicitamente richiesto dalla normativa vigente. Si è deciso di concentrare gli sforzi di ricerca nel Golfo di Trieste, da luglio 2010 a settembre del 2019, applicando diverse metodologie di monitoraggio sia “random” che su transetti fissi e sfruttando le diverse piattaforme di opportunità (gommone della Capitaneria di Porto Guardia Costiera, cabinato dell’ARPA FVG e Motonave “Delfino Verde”) indagando sulle specie di cetacei presenti nell’area di interesse. Secondo la letteratura infatti, i primi sforzi per lo studio sulla presenza di cetacei nel Nord Adriatico risalgono al 1980, mentre l’unico studio a lungo termine (condotto in parte nella regione) si è svolto dal 2002 al 2008 riportando Tursiops truncatus come unica specie regolarmente presente. A fronte delle diverse metodologie applicate (nonostante le piccole imbarcazioni si siano rivelate particolarmente utili per implementare la tecnica della foto-ID) si evince che il monitoraggio a bordo del ferry su transetto fisso, oltre ad essere anch’esso “low-cost”, risulta l’applicazione più efficace sia tecnicamente (per altezza e stabilità) che quantitativamente (per il numero di dati raccolti in un periodo ristretto), permettendo parallelamente l’implementazione della “citizen science” consentendo così di sensibilizzare il grande pubblico.