Concorso Neolaureati Eugenio Rosmann 2023 – Partecipanti
Tutti le tesi ricevute
Il premio dell’Associazione Ambientalista “Eugenio Rosmann” 2022 è rivolto agli studenti neolaureati e ai ricercatori universitari in materie naturalistiche e ambientali
Clicca qui per vedere la commissione giudicatrice
Inseriamo di seguito gli abstract delle tesi ricevute:
Dott. Nicola Venica
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura Curriculum biologico
Il valore ecologico del parco di Miramare: una proposta metodologica di valutazione e scenari futuri di gestione
Comprendere la struttura, la funzione e il valore di una foresta urbana può favorire decisioni gestionali mirate per migliorare la salute umana e la qualità dell’ambiente, oltre a fornirne importanti parametri caratteristici di ogni esemplare arboreo.
La valutazione della stabilità è spesso l’unico atto professionale in cui gli alberi vengono esaminati e quindi, associare a tale pratica una stima del valore ornamentale (oltre a valori di O2 prodotto e CO2 sottratta dalla pianta presa in considerazione) permette di raggiungere senza ulteriori spese una stima indicativa dell’intero valore del patrimonio arboreo di una città o di un parco. Questo contributo fornisce perciò una metodologia per determinare il valore ornamentale ed ecologico dell’albero, facendo ricorso alle informazioni e agli strumenti comunemente acquisiti durante la valutazione di stabilità, in modo da ottenere un’approssimazione ragionevole e plausibile del valore, senza doversi soffermare a lungo per acquisire le informazioni che sono richieste dai metodi di stima più dettagliati e di difficile comprensione.
Il metodo che andrà esposto nell’elaborato sfrutterà caratteristiche come dimensioni dell’albero, dimora e condizioni fitovegetative per restituire un giudizio sulla qualità di quella pianta, che verrà trasformato poi in una somma di denaro. Grazie a ciò si potranno identificare alberi con particolare valore sui quali vale la pena fare analisi più o meno approfondite, evitando di concentrarsi su esemplari di scarso valore.
Il tutto contestualizzato in un’importante realtà nei pressi di Trieste: il Parco del Castello di Miramare, che con i suoi 22 ettari è una delle attrazioni più visitate della zona, richiamando migliaia di turisti ogni anno.
Dott. Michele Daz
LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO
Corso di laurea Laurea magistrale in Scienze della Formazione Primaria
Lo studio della botanica alla scuola primaria: dalle Indicazioni Nazionali all’approccio Montessori
Viviamo da migliaia di anni in una società antropocentrica che si è completamente dimenticata degli esseri viventi dai quali dipende la vita terrena in ogni sua forma: i vegetali. Purtroppo, nell’immaginario collettivo, la botanica è considerata obsoleta e bloccata nel suo ruolo di mera disciplina di classificazione delle specie vegetali. Il 96 % delle persone non riesce a notare le piante quando le vede: le piante vengono considerate dal nostro cervello non interessanti e la nostra attenzione selettiva le filtra e le esclude dalle informazioni che meritano di essere ricordate dal nostro sistema nervoso (Mancuso, 2020). Nel 1999 Wandersee utilizzò il termine “plant blindness” per definire la scarsa considerazione di cui godono le piante come oggetto di studio rispetto agli animali e Hershey (1996) ha suggerito che alla base della scarsa consapevolezza che la società riserva al mondo delle piante c’è il mondo della scuola. L’obiettivo di questa tesi è capire quali sono le carenze alla base dell’insegnamento della botanica nella scuola primaria, quali sono i traguardi di sviluppo previsti dalle indicazioni nazionali e quali strumenti hanno gli insegnanti a disposizione per raggiungerli nonché rivolgere lo sguardo alla pedagogia montessoriana, la quale ha sempre rivestito la botanica di grande importanza. Da un’analisi dei libri di testo utilizzati oggi nella scuola primaria è emerso che i temi relativi al mondo animale sono più presenti rispetto a quelli relativi al mondo vegetale, il numero di immagini che ritrae animali è superiore al numero di immagini che ritraggono le piante e la denominazione delle piante è spesso superficiale e priva di scientificità; inoltre gli insegnanti di scienze non sono adeguatamente preparati e attrezzati per affrontare la disciplina in modo efficace. Nelle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola primaria del 2012 aggiornate nel 2018 il lemma “piante” appare solamente 6 volte, il termine “vegetali” 3 mentre la parola “botanica” è assente. Maria Montessori, pedagogista del secolo scorso, aveva compreso come l’educazione fosse l’unico mezzo per comprendere e apprezzare l’autenticità delle cose che ci circondano. Montessori attraverso l’educazione cosmica si poneva l’obiettivo primario di rendere consapevoli i bambini degli intrecci e le relazioni che mantengono vivo il pianeta da miliardi di anni in quanto la vita sul nostro pianeta è una continua, costante e inesauribile fonte di conoscenza. La botanica, nella sua pedagogia, era importante tanto quanto la zoologia, la geologia e la geografia e in ogni sua scuola era previsto l’orto scolastico, perché il contatto diretto con i vegetali era l’unico modo per far interagire i bambini in modo educativamente efficace con la natura. La valorizzazione delle peculiarità dei vegetali è in grado di far comprendere ai bambini che essere diversi non significa essere inferiori, che il non poter reagire alla nostra prepotenza (disboscamento incontrollato, incendi dolosi, agricoltura intensiva…) non significa essere più deboli e ci possa condurre in un percorso ricco di spunti interdisciplinari e di valori socialmente importanti. Per diffondere e coltivare questa visione del mondo vegetale la scuola ha il compito di rendere consapevoli i bambini dell’esistenza delle piante, delle loro caratteristiche e soprattutto delle caratteristiche che le rendono uniche.
Attraverso la proposta di un’Unita di Apprendimento interdisciplinare che parte dalla realizzazione di un orto scolastico e che coinvolge materie quali matematica, storia, scienze ed educazione alla cittadinanza si ha l’obiettivo primario di aumentare la consapevolezza dei bambini verso il mondo vegetale e costruire su di essa un percorso di apprendimento coinvolgente, motivante e istruttivo. I bambini tra i 3 ai 10 anni sono naturalmente attratti dai vegetali (Baram-Tsabari, 2010), il mondo della scuola non deve permettere che i loro interessi non vengano soddisfatti.
Dott. Giacomo Rossi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea magistrale in Global Change Ecology
Analisi dell'occupazione di mesohabitat da parte della lasca protochondrostoma genei (bonaparte, 1839) nel rio Chiarò, bacino dell'Isonzo, nordest Italia
La lasca Protochondrostoma genei è una specie ittica endemica dell’Italia centro-settentrionale. Si tratta di un Ciprinide che in genere non supera i 20 cm. Nell’ultimo secolo si è assistito ad una rarefazione sempre più accentuata delle popolazioni all’interno del loro areale originario, motivo per cui oggi è considerata tra le specie “In Pericolo” nella Lista rossa IUCN dei vertebrati italiani. Le principali cause della rarefazione di questa specie riguardano in Italia la presenza di specie aliene (in particolare Chondrostoma nasus) ma indubbiamente anche i diversi impatti legati all’attività antropica. In Friuli Venezia Giulia le popolazioni di lasca sono oramai presenti in numero consistente solamente in pochissimi ambienti, tra cui il Rio Chiarò (bacino dell’Isonzo), dove è stato condotto questo studio. L’oggetto dello stesso è quello di descrivere l’occupazione dei mesohabitat (buche, raschi, correntini…) preferibilmente occupati dalla specie allo stadio adulto e giovanile in diverse condizioni di portata, con un duplice obiettivo. In primo luogo, si è voluto individuare gli elementi ambientali indispensabili alla specie per compiere l’intero ciclo biologico in un determinato corso d’acqua, in modo da preservare il suo habitat e contribuire a prevenirne l’estinzione. In secondo luogo, grazie ad una collaborazione con il Politecnico di Torino, si è voluto contribuire alla raccolta dei dati necessari per l’estensione dell’applicabilità della metodologia di Mesohabsim (Mesohabitat Simulation Model) agli ambienti di pianura e risorgiva. Essa è uno strumento atto a descrivere la variabilità spazio-temporale degli habitat fluviali disponibili per la fauna, in funzione della portata defluente e della morfologia del corso d’acqua. Tale metodica definisce un indice idromorfologico che l’Italia ha deciso di adottare in rispetto alle indicazioni della Direttiva 2000/60/CE.
I dati ittici e ambientali sono stati raccolti in tre tratti distinti del Rio Chiarò, in quattro periodi, in relazione alle diverse portate: settembre 2021, dicembre 2021, marzo 2022 e maggio 2022. Nel corso dello studio sono stati catturati 2080 esemplari, appartenenti a 12 specie. La lasca è risultata la specie dominante nei mesi di settembre (35,0%) e dicembre (44,8%), mentre la sua frequenza percentuale è diminuita sensibilmente nei mesi di marzo (2,4%) e maggio (2,2%). Questo dato può essere dovuto ad una ridotta piovosità nel rio indagato tra i mesi di dicembre e marzo, in seguito alla quale è probabile che gli esemplari siano migrati verso corsi d’acqua a portate maggiori.
In totale, durante i campionamenti sono stati rinvenuti 454 esemplari di lasca, di cui 442 appartenenti allo stadio giovanile e solamente 12 a quello adulto. Questo ci fa supporre che i mesohabitat campionati rappresentino aree di accrescimento per la specie, i cui esemplari potrebbero poi migrare verso valle nei corsi d’acqua a portata maggiore.
Sembra che durante il periodo riproduttivo (maggio-giugno), gli esemplari adulti risalgano i corsi d’acqua maggiori verso gli affluenti di minori dimensioni per trovare le condizioni idonee alla deposizione. In accordo con questo dato, gli esemplari adulti nei nostri campionamenti sono stati
osservati maggiormente nei mesi di marzo e maggio.
Per quanto concerne le preferenze di mesohabitat, la popolazione di lasca è risultato prediligere i mesohabitat di pool e/o backwater, caratterizzati generalmente da una velocità della corrente moderata e una maggior profondità, nonché da una maggior presenza di detrito organico rispetto ad altri mesohabitat. Inoltre, ha dimostrato di prediligere aree ricche di rifugi quali sponde erose, grossi massi e radici.
Nell’area di studio è risultata costantemente presente anche la specie Chondrostoma nasus, sebbene il numero di esemplari catturati sia esiguo (7). Questo ciprinide altamente invasivo compete con la lasca per le risorse trofiche e gli spazi, rappresentando quindi un campanello d’allarme circa la conservazione di P. genei nell’area di studio.
Dott.ssa Nicole Sartori
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea in Scienze per l’Ambiente e la Natura
Effetti del fuoco sull’utilizzo degli habitat da parte della fauna selvatica sul carso goriziano
Il Carso goriziano, nel corso dell’estate 2022, è stato sottoposto ad una forte pressione esercitata dall’innesco di diversi incendi, i quali hanno colpito molteplici porzioni di bosco carsico, distruggendo buona parte della biomassa vegetale al loro interno. Nel corso dei giorni di incendio sono stati registrati più focolai presenti contemporaneamente all’interno dei tre comuni italiani colpiti ovvero Doberdò del Lago, Savogna d’Isonzo e Monfalcone. In seguito a tali eventi, è nata la volontà di studiare la risposta da parte delle principali specie di fauna selvatica che popolano il Carso nelle aree colpite dal fuoco. Sono state prese in considerazione due aree incendiate diverse fra loro per la tipologia di vegetazione che costituisce il bosco. La prima area analizzata si trova all’interno della frazione di Jamiano appartenente al comune di Doberdò del Lago, caratterizzata da bosco misto di latifoglie con fitto sottobosco. La seconda area studiata rientra all’interno del comune di Monfalcone, dove il bosco è costituito in prevalenza da pino nero. Fra le specie di fauna studiate rientrano capriolo, cervo, cinghiale, sciacallo dorato, lepre, volpe, faina e tasso. Per stabilire la loro presenza all’interno delle aree colpite dal fuoco sono state applicate in campo due tecniche di monitoraggio della fauna selvatica, ovvero il fototrappolaggio e lo jackal-howling. La prima si basa sull’utilizzo di particolari camere che permettono di ottenere foto e video del passaggio degli animali. La seconda, è stata utilizzata per determinare la presenza dello sciacallo dorato in un certo sito studio e si basa su stimolazione acustica. Entrambe le tecniche di monitoraggio sono state applicate sia all’interno delle aree colpite dal fuoco, sia all’interno di aree non incendiate in modo da confrontare la presenza delle specie studiate fra queste due zone.
L’analisi dei dati ha permesso di evidenziare alcuni aspetti importanti, fra cui l’elevata presenza di capriolo e lepre nelle aree incendiate, legata principalmente ad una buona ripresa del sottobosco, in particolare nella zona di Jamiano, dove la ripresa della vegetazione in seguito al passaggio del fuoco risulta rapida. Anche lo sciacallo dorato risulta presente all’interno delle aree colpite, probabilmente in seguito all’elevata disponibilità di prede. L’utilizzo del bosco di Jamiano da parte di cervo e cinghiale si è registrato in particolare verso la fine del periodo di studio grazie alla maggiore copertura vegetale, mentre nel bosco di Monfalcone non sono mai stati individuati a causa della scarsa ricrescita del sottobosco. Tasso, volpe e faina utilizzano le aree interessate ad incendio anche se in generale presentano un’abbondanza minore all’interno del Carso goriziano rispetto alle altre specie studiate. Il rapido utilizzo degli habitat da parte di numerose specie di fauna selvatica nei mesi successivi agli incendi, in correlazione con la tempestiva ripresa della vegetazione, evidenzia la resilienza degli ecosistemi di fronte a perturbazioni come gli incendi, favorendo in tal modo la ripresa della biodiversità locale.
Dott.ssa Visintin Arianna
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura
L’amianto oggi: analisi della situazione in Friuli-Venezia Giulia
Il Testo Unico Ambientale, la più importante norma nazionale sull’ambiente, definisce l’inquinamento come “l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell'aria, nell'acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell'ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell'ambiente o ad altri suoi legittimi usi”. La seguente Tesi del Corso degli Studi di “Scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura”, tratta un inquinamento che nuoce alla salute umana e dell’ambiente, meno conosciuto ma presente e diffuso globalmente a causa del suo utilizzo smisurato lo scorso secolo: l’amianto. Questo materiale, visto come inestinguibile in passato, è stato utilizzato in moltissimi ambiti, sia lavorativi che domestici, principalmente nell’edilizia e nei trasporti. Questo materiale interagisce con tutte le sfere ambientali, quali l’atmosfera, la litosfera, l’idrosfera, la biosfera e l’antroposfera. Di fatto, può disperdersi in atmosfera, diffondersi nel suolo e nelle acque, danneggiare l’uomo, la fauna e la flora.
La seguente Tesi è stata elaborata utilizzando vari decreti e leggi, il Piano nazionale amianto, il Piano regionale amianto del Friuli Venezia Giulia, le diversi indicazioni operative dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro (INAIL), il sito del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, le pagine web della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e dell’Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Friuli Venezia Giulia (ARPA), insieme all’agenzia americana USGS e ad alcuni articoli scientifici.
La sua struttura si articola in tre capitoli: il primo descrive in maniera generale l’amianto, definendone le sue caratteristiche, cioè essere un gruppo di minerali naturali appartenente alle classificazioni dei fillosilicati e degli inosilicati, caratterizzati da una struttura fibrosa. Viene trattata la sua formazione, i luoghi in cui veniva e viene estratto ed il suo utilizzo in oltre 3000 prodotti nel secolo scorso, grazie alle sue importanti peculiarità di fonoassorbenza, resistenza al calore, agli agenti chimici e fisici e al prezzo economico. Il primo capitolo, inoltre, affronta la questione riguardante la dispersione delle fibre di questi minerali, che possono causare delle malattie asbesto correlate.
Nel secondo capitolo, viene descritto come si esegue una fase di bonifica, illustrando le varie fasi operative e le tecniche utilizzabili, quali la rimozione, il confinamento e l’incapsulamento. Segue un approfondimento sui vari metodi utilizzati per la determinazione dell’amianto in un laboratorio chimico, visti, in parte, durante il mio tirocinio universitario. Il tema della bonifica dell’amianto presente nel secondo capito si collega a quello successivo, intitolato “Situazione amianto in Friuli Venezia Giulia” che, analizzando i dati riguardanti la mappatura nazionale dei materiali contenenti amianto, permettono di ottenere informazioni sull’asbesto presente nelle diverse ex Province della regione, quelle di Trieste, Pordenone, Udine e, più nello specifico, Gorizia.
Dott.ssa Silvia Hina Mehmood
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Scienze Politiche: indirizzo Studi Internazionali
La tutela costituzionale dell’ambiente marino in Italia e Spagna. Le aree marine protette e i cetacei
La tutela costituzionale dell'ambiente marino in Italia e Spagna. Le aree marine protette e i cetacei.
Il seguente studio esamina la tutela costituzionale e normativa dell'ambiente marino in Italia e Spagna, con un focus sul regime giuridico delle aree marine protette e la sua applicazione per la salvaguardia di una specie a rischio di estinzione: i cetacei. Gli obiettivi principali dell'indagine sono stati il comprendere le scelte e i fattori che hanno contribuito all'attuale emergenza ambientale, inclusa la perdita di biodiversità marina e il rischio di estinzione dei cetacei; infine, si è valutata l'efficacia degli strumenti giuridici esistenti per la tutela ambientale.
Attraverso l'analisi di compendi, osservazioni legislative e giurisprudenziali, lo studio delle norme, e di fonti storiche per contestualizzare lo sviluppo normativo in Italia e Spagna, si è giunti ai seguenti riscontri.
Lo studio dell'evoluzione storica, culturale e giurisprudenziale italiana, ha rilevato il cambiamento da una mera considerazione estetica del "paesaggio" all'introduzione del concetto di "ambiente salubre". Lo sviluppo delle norme e della giurisprudenza ambientale è avvenuto tra la fine del XX e il XXI secolo, a causa del dilagante inquinamento e della riduzione delle risorse naturali, che ha generato una nuova consapevolezza tra le persone e gli stakeholders, e nuove esigenze a cui i legislatori gradualmente hanno posto attenzione. In virtù di ciò si sono registrate nuove disposizioni legislative e giurisprudenziali in materia ambientale, le quali sono state linfa vitale per lo sviluppo di una più moderna cultura giuridica, che di recente si è tradotta nella modifica dell’art. 9 della Costituzione, dove si indica “la tutela ambientale” tra i Principi Fondamentali della Repubblica.
L'Italia grazie al recepimento dei regolamenti UE e degli accordi internazionali ha arricchito la rosa dei dettami per la governance marina, e preso slancio dalla cooperazione internazionale, divenendo partner della Convenzione di Barcellona per la tutela del Mar Mediterraneo.
La seconda parte esplora la Spagna, pioniera nella politica di conservazione del paesaggio fin dal 1916, e nella costituzionalizzazione della tutela ambientale dal 1931. La dittatura franchista portò alla deroga del regolamento delle industrie insalubri e pericolose, perciò fu la Costituzione post Franco del'78 a sancire il vigente diritto a un ambiente adeguato allo sviluppo delle persone, coinvolgendo la solidarietà collettiva nell’uso razionale delle risorse e nella riparazione dei danni. Sul piano europeo e internazionale la Spagna ha dimostrato un grande interesse per la tutela dell'ambiente marino, divenendo un modello di condotta per gli altri Paesi. Anche la comparazione degli strumenti normativi mette in positiva luce la Spagna, per i maggiori poteri dati agli organi regionali.
Infine, si approfondisce il ruolo delle aree marine protette, aree istituite per la salvaguardia della biodiversità, in cui vigono differenti divieti per le attività umane. Sono emerse rilevanti differenze normative nella comparazione delle attività di prospezione dei fondali permesse in queste aree, che rendono le AMP spagnole più sicure e idonee ai cetacei.
Lo studio delle norme internazionali per la tutela dei cetacei come le balene si rivelano inefficaci, per l'assenza di protezione in alto mare e di un sistema punitivo; si propone perciò l'introduzione di norme più stringenti, e l'aggravante per la cattura di esemplari a rischio d'estinzione in evidente stato gestativo, in virtù della frequenza con cui questo accade.
Dott.ssa Veronica Zampieri
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Master’s Degree in Biodiversity and Evolutionary Biology
Life at the interface: behavioural, ecological, and evolutionary insights on surface-dwelling “stygobionts”
Cave-dwelling animals might be considered at an evolutionary dead-end being confined to the cave habitat exploitation and their troglomorphic characteristics. However, researchers are collecting evidence of troglobiont species venturing out of these predicted impassable boundaries and exploiting surface habitats. This is, for instance, the case of the karstic area of Friuli-Venezia Giulia, where surface springs and estavelles can host a community rich in stygobionts, including Proteus anguinus. Stygobionts’ presence in these environments is therefore a matter of interest, as it is not clear whether they actively exploit them or if they get transported by floodings that raise the aquifer level.
This thesis is part of a research project aiming to cast light on stygobian exploitation of epigean habitats. It seeks to unravel if the stygobian community's active utilisation of surface habitats is non-random by comparing it to activity seen in caves, and to evaluate factors that can favour habitat exploitation in ecotones between cave and surface environments. Since 2020 the research group has been involved in day and night surveys of the stygobian community in both 64 springs and 12 caves. We monitored the abiotic and biotic characteristics of each spring and cave ecosystem under observation and modelled the distribution of olms and other stygobian species in function of these features.
The activity of Troglocaris planinensis from cave and spring populations was also investigated to see if they displayed any potential adaptive behavioural variation in how they reacted to light stimuli and chemical cues of potential predators, which are environmental factors strongly diverging between these two habitats.
Olms were found in all cave sites and in 13 springs; occupancy and detection probability in springs and caves were compared, showing a higher chance of finding Proteus anguinus and Troglocaris planinensis in hypogean habitats. As a whole, the stygobian community composition found in epigean habitats (springs, estavelles) seems correlated with some specific characteristics of these environments, indicating some degree of active use by these animals. Conversely, behavioural experiments performed on Troglocaris planinensis showed the activity of this crustacean seems not to be affected by light exposure or chemical cues of potential predators, or differ between individuals originating from cave and surface populations.
We argue that epigean habitats and their boundaries with the surface may be of underappreciated significance in studies for animals adapted to subterranean environments, including iconic species such as the olm. Despite reactions to light have been described in several cave-adapted species lacking developed visive structures (e.g., eyeless), Troglocaris planinensis seems not to respond when exposed to light, suggesting this cue is not a major driver modulating its activity or habitat use. Instead, assessing the presence of anti-predator responses could probably benefit from further studies considering a larger number of individuals and alternative predation risk conditions. Future studies should consider additional hypogean and epigean sites and testing several stygobian species to corroborate the results provided by this study and allow a broader understanding of mechanisms and dynamics involved in surface habitats exploitation by cave fauna. We also underline the importance of applying conservation measures on these commonly overlooked habitats, which are facing anthropogenic threats, such as pollution and climate change.
Dott. Michele Metus
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea in viticoltura, enologia e mercati vitivinicoli
Progetto Solaris - Prospettive della vitivinicoltura di montagna in Friuli-Venezia Giulia
Le motivazioni che mi hanno portato a scegliere questo argomento per la tesi di laurea discussa, sono da ricercare sia nel mio percorso formativo universitario che in quello lavorativo. Entrambi mi hanno condotto a sviluppare una particolare attenzione nei confronti dei temi della montagna friulana. La tesi di laurea ha come cardini fondamentali alcune tematiche di forte attualità, quali: la sostenibilità, la possibile creazione di una nuova realtà lavorativa economica nella montagna friulana e l’interesse per la coltivazione di varietà resistenti di ultima generazione, volte a sopportare le difficili condizioni climatiche dei luoghi oggetto della sperimentazione. Il Progetto Solaris è stato realizzato da un gruppo di appassionati viticoltori ed enologi del comune di Forni di Sopra e Forni di Sotto guidato dal sig. Roberto Baldovin, il quale ha intrapreso e sta continuando questa sperimentazione dal 2015, in una regione in cui non è mai stata presente una storia della viticoltura di montagna. È stata individuata la varietà Solaris, la quale può essere coltivata in climi estremamente particolari, ad altitudini molto elevate, caratterizzate da inverni rigidi e cicli fenologici più brevi. Ed è qui l’innovazione introdotta e perseguita dal progetto.
La tesi discussa, mi ha permesso di approfondire un mondo nuovo per la viticoltura del Friuli-Venezia Giulia, dove le idee innovative, hanno dato origine ad una diversa modalità di far vivere il territorio montano friulano, con una interrelazione rispettosa e sostenibile della dimensione antropica ed ambientale. Il percorso intrapreso, si concretizzerà nella possibilità di una gratificazione degli sforzi fatti a livello sia ambientale che economico. È pertanto auspicabile, che in un futuro non molto lontano questa sperimentazione possa trovare crescente fiducia e sostegno da parte delle autorità locali e degli agricoltori della zona, raggiungendo in tal modo la considerazione che merita all’interno del comparto vitivinicolo del Friuli-Venezia Giulia. In tal modo, tale coltivazione, non più a livello sperimentale, si renderà economicamente autonoma con la possibilità di competere con le realtà produttive già affermate in altre zone montane dell’Italia.
Dott. Michele Metus
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI NICCOLÒ CUSANO - UNIVERSITÀ TELEMATICA
Master di II livello in diritto ambientale e tutela del territorio
La corretta gestione delle terre e rocce da scavo
La scelta di questo argomento per la mia tesi è da ricercare nella mia attività lavorativa presso il Nucleo Operativo Attività di Vigilanza Ambientale - N.O.A.V.A. del Corpo Forestale Regionale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Il tema trattato è di forte attualità, tenendo in considerazione il contesto in cui si pone il Friuli-Venezia Giulia come regione di confine nel traffico illecito di rifiuti e di terre e rocce da scavo.
Nella cerimonia di Inaugurazione dell'anno Giudiziario della Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per il Friuli Venezia-Giulia tenutasi il 24 febbraio 2023 a Trieste sia stato rammentato come negli ultimi anni le ecomafie abbiano assunto un ruolo sempre più importante sul territorio regionale. In particolare, è stato sottolineato come proprio l’attività di gestione delle terre e rocce da scavo sia il settore preminente in cui queste attività criminali riescano maggiormente a penetrare e a ottenere guadagni.
Le principali domande a cui ha voluto rispondere il lavoro di tesi sono centrate sulle finalità e il perseguimento della corretta gestione delle terre e rocce da scavo; ho pertanto approfondito le norme, le prassi, le responsabilità e le sanzioni che riguardano questa materia sia dal punto di vista degli operatori del settore ma anche dal punto di vista degli organi di controllo. Oltre agli aspetti generali della norma ho analizzato le novità introdotte dal DPR n. 120/2017 in vigore dal 22 agosto 2017, ovvero il nuovo regolamento sulla gestione delle terre e rocce da scavo che ha modificato e innovato, riconducendo ad un unico atto normativo, tutte le precedenti norme in materia. Con questo DPR diverse novità sono
state introdotte, sono state modificate le procedure operative e meglio definiti gli usi delle terre, ma molte criticità restano ancora presenti nel testo, tant’è che molti addetti del settore ritengono che il legislatore nel momento della stesura non avesse una conoscenza così approfondita della materia come avrebbe dovuto avere. Si può ritenere, che la norma, sia in certi punti molto ambigua a tal punto che chi non ne ha una conoscenza completa, potrebbe inconsapevolmente essere sanzionato. Infatti, molto spesso capita, che il proponente o la ditta che esegue i lavori debbano scegliere quale strada percorrere per la gestione delle terre; ed è in questi casi che è preferibile prediligere la procedura che pone l’operatore
nelle condizioni di operare con maggiore certezza e garanzia anche se spesso è la via più articolata. Va sottolineato, come l’operare con professionalità di fronte a una norma che non sempre è chiara, sia fondamentale per salvaguardare gli addetti del settore da possibili implicazioni sia penali che amministrative.
In conclusione, ci si augura che nella attesa che il legislatore ridefinisca la norma migliorandola, ma soprattutto nella attesa del nuovo decreto (istituito con il D.L. n. 13 del 24 febbraio 2023 – art. 48), recate le nuove disposizioni per la disciplina delle terre e delle rocce da scavo, si possa finalmente assistere ad una riduzione delle criticità evidenziate e ad una semplificazione generale nella loro gestione. È chiaro che a fronte di una maggiore semplificazione nella gestione delle terre e rocce da scavo, ci potrà essere un aumento degli illeciti sia di natura penale che
amministrativa. Gli organi di vigilanza saranno pertanto chiamati ad agire tempestivamente e scrupolosamente nella loro attività di controllo e di repressione, al fine di garantire la legalità delle operazioni di gestione. Nel frattempo, si può solo raccomandare ai tecnici del settore di operare con la massima diligenza e chiarezza nel rispetto della legge.
Dott.ssa Anna Marcon
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
Laurea Magistrale in Architettura
Dalla terra all'acqua: un progetto di rigenerazione urbana e paesaggistica a Marano Lagunare
Marano Lagunare è un piccolo centro che per secoli ha predominato sull’omonima laguna, ricoprendo un ruolo di fondamentale importanza per la sua posizione strategica. Esso, infatti, funge da cerniera tra la terraferma e l’acqua, la laguna prima e il Mare Adriatico poi. Nonostante le dimensioni molto ridotte del centro abitato, la sua storia è ancora ben leggibile sia nell’assetto urbano che nelle sue architetture. Per secoli chiuso in se stesso, sia fisicamente, con una cinta muraria, che culturalmente, Marano oggi per valorizzare a pieno le sue potenzialità, va inserito
all’interno di un contesto più ampio, che comprende i diversi paesaggi della Bassa Pianura Friulana e della Laguna, un paesaggio molto ricco e diversificato ma allo stesso tempo regolato da equilibri molto precari che a volte l’uomo tende a non rispettare.
Obiettivo principale di questa tesi è integrare Marano Lagunare in un sistema territoriale più esteso per una piena fruizione del paesaggio tra terra e acqua, tra boschi, campi e laguna. Per rendere questo possibile si è pensato ad un anello ciclopedonale che vada a riordinare tutti i tracciati esistenti e che porti a riscoprire, attraversare e vivere questo territorio. Marano, centro di questo sistema, sarà pronto ad accogliere e richiamare a sé turisti e cittadini, agendo parallelamente su tre aspetti: la mobilità, il verde e i vuoti urbani.
Si verrà a creare un progetto unitario di rivalutazione dell’esistente e riqualificazione urbana e paesaggistica all’interno di Marano e nel territorio circostante. In particolare si restituiranno ai cittadini aree che al momento non sono fruibili: alcune piazze e strade del centro storico, dove si agirà cercando di allontanare sempre di più le automobili e provando a ricreare quel sistema di relazioni sociali che in passato caratterizzava il centro storico; l’ex stabilimento ittico Maruzzella, grande vuoto urbano, verrà rifunzionalizzato e messo a sistema nell’insieme di piazze e percorsi e infine la cassa colmata, diventerà parco pubblico e fungerà allo stesso tempo da corridoio ecologico, connettendo le riserve naturali esistenti e ridando a Marano un vero e proprio affaccio sulla laguna.
Le scelte progettuali proposte sono il frutto di un’accurata indagine su doppia scala che cerca di valorizzare il forte carattere paesaggistico di questi luoghi e allo stesso tempo prova a risolvere le criticità precedentemente individuate. I principali problemi, ovvero quello della frammentarietà del paesaggio che sta diventando sempre più artificiale, della stagionalità del turismo e dei rischi che comporta il cambiamento climatico sono stati affrontati in una strategia unitaria che tiene insieme i diversi paesaggi tra pianura e laguna. Pensare al futuro significa in questo luogo più che in altri guardare al passato, riproponendo dinamiche e relazioni perdute a causa degli interventi eccessivi dell’uomo, tra i quali la bonifica a scala territoriale e l’espansione del centro urbano che ha precluso l’affaccio alla laguna. Fine ultimo di questo lavoro è dunque risistemare l’esistente per valorizzare quello che c’è stato, sempre con una mentalità aperta al cambiamento, per creare luoghi dove vivere, e dove terra, acqua e uomo possano finalmente raggiungere un nuovo equilibrio.
Dott.ssa Francesca Ainger
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea in Giurisprudenza
Remediation of contaminated sites: a comparative study between Italy and the United States
Il presente lavoro affronta la questione dell’imputazione della responsabilità derivante dal danno ambientale e degli obblighi in materia di bonifica di siti inquinati. La questione ambientale è oramai oggetto di acceso dibattito pubblico, eppure gli strumenti di diritto costruiti per disciplinare i danni creati dall’uomo sono ancora oggetto di elaborazione e manca un’uniformità a livello globale. Analizzare come i diversi ordinamenti abbiano scelto di regolare l’imputazione della responsabilità permette di confrontare le diverse soluzioni adottate e di valutarne criticità e pregi.
Il primo capitolo affronterà la disciplina in materia ambientale adottata dall’Unione Europea, con uno sguardo all’approccio adottato a livello internazionale e ai principi che sottendono alla protezione ambientale, primo tra tutti il principio dello sviluppo sostenibile. Si investigherà sulle competenze europee e sui principi delle politiche europee ambientali, vale a dire il principio di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte e, quello che più rileva in ambito di bonifica, il principio chi inquina paga. In seguito, si affronterà la produzione legislativa compiuta dall’Unione Europea per garantire una maggiore protezione e prevenzione delle catastrofi ambientali, in particolare la Direttiva 2004/35/CE sul danno ambientale.
Il secondo capitolo descriverà l’evoluzione della disciplina ambientale in Italia. Inizialmente, si tratterà il fenomeno della costituzionalizzazione del diritto ad un ambiente salubre, elevato a diritto umano e individuale. Successivamente, si analizzeranno le leggi adottate per disciplinare la lesione al bene ambiente: la Legge 349/1986 che, all’articolo 18, prevedeva il diritto dello Stato al risarcimento dei danni arrecati all’ambiente, la prima disciplina sui siti contaminati introdotta con il Decreto Ronchi (Decreto legislativo 22/1997), abrogato dal Codice dell’Ambiente (Decreto Legislativo 152/2006), che ha attuato in Italia la Direttiva 2004/35/EC.
Il terzo capitolo esaminerà la legislazione federale in materia ambientale adottata negli Stati Uniti. Seppur la Costituzione americana non menzioni espressamente la tutela dell’ambiente, numerose costituzioni statali hanno introdotto delle disposizioni sull’ambiente come un diritto individuale e/o un dovere dello Stato. Il sistema normativo si articola su due livelli: il Congresso controlla il rispetto della legge e la lotta contro l’inquinamento, mentre la Environmental Protection Agency (EPA) definisce gli standard e i dettagli normativi. Negli anni Settanta, il Congresso decise di assecondare l’opinione pubblica, che richiedeva maggiore protezione dai disastri ambientali, ed emanò numerosi environmental statutes: il National Environmental Policy Act (1969), il Clean Air Act (1970), il Clean Water Act (1972), il Toxic Substances Control Act e il Resource Conservation and Recovery Act (1976) e il Comprehensive Environmental Response, Compensation, and Liability Act (1980). Quest’ultima legge, conosciuta come Superfund, consente al governo federale di bonificare i siti contaminati che mettono in pericolo la salute pubblica e l’ambiente. Gli interventi di bonifica vengono finanziati da un federal trust fund generato dalle tasse imposte sui prodotti chimici e petroliferi.
Nelle conclusioni, si evidenzieranno le sfide che gli ordinamenti devono affrontare nella regolazione dei siti inquinati. L’Unione Europea, seppur si prefissi l’obbiettivo di tutelare l’ambiente, si ritrova necessariamente limitata dalla sovranità statale e dagli accesi dibattiti che precludono l’approvazione delle sue iniziative. L’Italia, nel suo attaccamento agli schemi tradizionali della responsabilità per colpa, ha faticato ad attuare nel proprio ordinamento i progressi compiuti a livello europeo e internazionale. All’opposto, gli Stati Uniti hanno imposto degli standard molto stringenti sui potenziali responsabili dell’inquinamento e ha così potuto garantire l’effettiva esecuzione degli interventi di bonifica. Ciononostante, tale disciplina solleva non pochi dubbi di giustizia, considerato che la proprietà, più che avere una funzione sociale, finisce per essere una condanna alle spese.
Dott. Alessandro Pedretti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea Magistrale in Analisi e Gestione dell'Ambiente
Comunità fitoplanctonica del lago di Ragogna: monitoraggio ecologico e dinamica di risposta agli erbicidi
Il lago di Ragogna è un lago sudalpino poco profondo di origine intermorenica, situato in Friuli Venezia-Giulia. È inserito all’interno della Rete Natura 2000, nell’omonimo Sito di Interesse Comunitario (SIC): SIC - IT3320020 Lago di Ragogna. Viene campionato da ARPA-FVG, con una frequenza di sei campionamenti all’anno, al fine di valutare lo stato dell’ambiente in ottemperanza della normativa sulle acque, secondo i principi dettati dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE). In particolare, nei laghi e negli invasi artificiali, il fitoplancton costituisce un elemento fondamentale nella determinazione dello stato ecologico e della qualità delle acque.
È oggetto di questo studio la valutazione degli effetti delle condizioni ambientali sulla struttura e sulla dinamica successionale del fitoplancton, attraverso l’analisi dei dati di monitoraggio, disponibili per il periodo 2011-2023, che comprendono dati relativi al fitoplancton e ai parametri chimico-fisici (temperatura, conducibilità elettrica, saturazione dell’ossigeno, ossigeno disciolto e pH), raccolti in contemporanea. Tramite l’ordinamento multivariato, basato sull’Analisi delle Componenti Principali delle matrici di campioni x variabili
ambientali, con o senza l’inclusione dei potenziali impatti (per eccesso di nutrienti e di erbicidi) ha fornito un quadro soddisfacente della risposta del fitoplancton ai gradienti ambientali, identificando come principali fattori di controllo le variazioni stagionali, osservando un aumento della ricchezza in specie e dell’equitabilità in maniera direttamente proporzionale all’aumentare della temperatura e del carico di nutrienti mentre, a pari condizioni ambientali e di diversità, sono state osservate abbondanze totali (in biovolume) differenti.
Aggiungendo allo spazio ecologico le variabili di impatto è stata evidenziata l’opposta dinamica tra il fosforo totale vs. nitriti e nitrati, dei quali si osservano rispettivamente i valori massimi e minimi nel periodo estivo, in corrispondenza dello sviluppo della condizione di anossia a livello del fondo, che può essere relazionata al rilascio di P dai sedimenti. Il consumo di N da parte della comunità fitoplanctonica risulta proporzionale alla crescita in condizioni ottimali e ai massimi valori delle metriche di diversità. Considerando il gradiente di erbicidi non sono stati osservati chiari pattern di risposta biologica, indicando che classi diverse di organismi mostrano risposte differenti.
Quindi, le relazioni tra fitoplancton, macronutrienti (nitriti, nitrati, ammonio e fosforo totale) e le concentrazioni di erbicidi (2-idrossiatrazina, 2-idrossiterbutilazina, desetilterbutilazina, terbutilazina, metolachlor, metolachlor ESA), per il periodo di tempo 2016-2022, sono state studiate tramite modelli di regressione univariati (esponenziali e a potenza), ponendo in relazione i singoli erbicidi con le metriche relative alla comunità fitoplanctonica. In aggiunta, sono state testate le differenze di abbondanza dei gruppi funzionali in due set di 4 campioni differenti per carico totale di erbicidi (a basso e ad elevato carico totale) per valutare la presenza di gruppi di organismi sensibili (ad abbondanza più elevata nei campioni a basso carico rispetto alle condizioni di carico maggiore) oppure organismi tolleranti/competitivi (che non presentano variazioni all’aumentare del carico o la cui abbondanza aumenta a valori di carico totale maggiore).
L’analisi dati ha confermato l’effetto principale della stagionalità e del carico di nutrienti sulla struttura della comunità e nel definirne le successioni all’interno del ciclo annuale del lago; rispetto alle successioni attese in un lago temperato di livello meso/eutrofico, caratterizzate da dominanza invernale e primaverile delle diatomee, nel lago di Ragogna si rileva invece una dominanza di Cryptophyceae, probabilmente dovuta al carico di nutrienti e alla miglior competitività delle stesse. Tuttavia, risulta essere presente anche l’effetto dovuto agli erbicidi, in particolare per le sostanze 2-idrossiatrazina e 2-idrossiterbutilazina, con effetti sulla diversità e sulla produzione di biomassa.
Sono state quindi identificate le classi che presentano sensibilità agli erbicidi, riscontrando un effetto rilevante sulle Cryptophyceae.
Sebbene lo studio sia incentrato sui dati campionati nella colonna d’acqua, è stato rilevato il rilascio di fosforo e ammonio da parte dei sedimenti in condizioni di anossia. In aggiunta, la dinamica delle concentrazioni di erbicidi rilevati nel lago suggerisce che un accumulo degli stessi nei sedimenti. Data la rilevanza nell’apporto di ammonio, fosforo totale ed erbicidi dai sedimenti, riflettendosi sulla comunità fitoplanctonica, nuovi studi potrebbero chiarire la dinamica dei fenomeni all’interfaccia sedimento-acqua, e la loro influenza sul sistema
lacustre.
Parole chiave: (Fitoplancton, Laghi morenici, Biomonitoraggio, Fitosanitari, Gruppi funzionali)
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Dott.ssa Giulia Filipozzi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di laurea in Scienze e tecnologie agrarie
La riscoperta della pecora Brogna per salvaguardare il territorio rurale
L’ ovina è stata una delle prime specie domesticate dall’ uomo. Oltre a garantire prodotti genuini, il pascolamento operato dalle greggi permette tuttora di controllare lo sviluppo di erbe infestanti contribuendo alla conservazione del paesaggio.
L’ allevamento ovino estensivo era molto diffuso in passato. In seguito alla riduzione delle aree disponibili, della manodopera e delle risposte riproduttive modeste ad oggi si preferiscono sistemi stanziali con maggior controllo delle condizioni sanitarie, dell’ alimentazione e parziale programmazione degli estri per la produzione di carne, consumata prevalentemente in concomitanza di alcune festività religiose e/o soggetta a usi e costumi locali.
In Italia la pastorizia ha avuto un ruolo importante soprattutto nelle aree meno sviluppate, rurali e montane. In questi luoghi i sistemi di produzione sono correlati alle tradizioni locali e alle razze autoctone. Negli ultimi decenni l’ attenzione alle produzioni ha cambiato la gestione degli ovini enfatizzando l’ allevamento ristretto a razze cosmopolite molto produttive e selezionate. Queste decisioni hanno condizionato il mercato verso prodotti omogenei con conseguente appiattimento delle produzioni e chiusura delle piccole realtà zootecniche locali. Grazie all’ aumento della conoscenza e consapevolezza del consumatore vengono richiesti prodotti genuini derivati dalla fusione della cultura alimentare e della sensibilità delle nuove generazioni sulle tematiche ambientali e di sostenibilità. Sono stati riscoperti e valorizzati prodotti di nicchia derivanti da razze autoctone meglio adattate agli ambienti svantaggiati di origine. Questi animali si sono evoluti in piccole realtà capaci di offrire produzioni uniche soprattutto dal punto di vista qualitativo. Ricoprono un valore particolare per i territori rurali concedendo alla pastorizia di essere ancora un efficace strumento di conservazione della stabilità dei sistemi ambientali, ecologici e sociali del delicato equilibrio agro - ambientale.
L’ allevamento ovino estensivo è stato riconosciuto dall’ Unione Europea come una pratica a elevato valore di naturalità grazie alle numerose esternalità tra cui il mantenimento della fertilità del terreno, contribuisce alla regolazione idrica e alla conservazione della biodiversità. Dalle Nazioni Unite arriva l’ invito ai Paesi di investire per rafforzare questa forma di allevamento in accordo con gli obiettivi della green economy.
In aree naturali svantaggiate ci si interroga su come valorizzare e preservare il valore estrinseco paesaggistico - culturale e ambientale delle attività agricole e zootecniche. Una delle possibili vie da percorrere riguarda la valorizzazione di razze autoctone ovine meglio adattate all’ ambiente d’ origine. Attualmente in Veneto si allevano 4 razze autoctone:
Alpagota, Brogna, Foza e Lamon. Sono allevate principalmente in zone montuose e collinari per la loro capacità di sfruttare pascoli marginali. Inoltre rappresentano un importante serbatoio di risorse genetiche. Di fondamentale importanza è il ruolo delle istituzioni che possono contribuire attivamente al recupero di queste razze mediante lo stanziamento di finanziamenti destinati non solo all’ allevamento ma anche a progetti di ricerca e divulgazione.
Tra le razze autoctone venete si trova la pecora Brogna, allevata sui pascoli della Lessinia. L’allevamento nei secoli scorsi fu importante per l’ economia della provincia di Verona soprattutto per il commercio della lana, esportata fino al Nord Europa. Questa pecora dalle particolari caratteristiche ha rischiato l’ estinzione qualche anno fa. Grazie al lavoro di mappatura, selezione e successiva codifica nel Registro Anagrafico da parte dell’ Università di Padova e della Regione Veneto si è evitato questa grave problematica. Attualmente sono allevate circa 2500 fattrici. Le greggi di piccole dimensioni vengono allevati al pascolo, alimentati con essenze spontanee. Queste pecore sono protette dall’ Associazione per la tutela della Pecora Brogna, il cui motto è: “ Una pecora per l’ ambiente”. Inoltre da qualche anno la carne derivante da questi animali dai caratteri unici fa parte dei presidi Slow Food, portando un vantaggio competitivo. Il sistema dei “Presidi Slow food” viene inserito nel contesto della responsabilità sociale. Tende a rilanciare il territorio coinvolgendo tutte le figure, promuovendo dibattiti riguardo decisioni strategiche di immagine e vendita.
Dott. Giacomo Boscarol
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Analisi multitemporale dei prati stabili naturali dell'isontino tramite la piattaforma Google Earth Engine (cloud computing)
La Legge Regionale n. 9 del 29 aprile 2005, “Norme regionali per la tutela dei prati stabili naturali” è stata pubblicata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in attuazione della direttiva europea 92/43/CEE del 21 maggio 1992 (Direttiva Habitat) e della direttiva europea 2009/147/CE del 30 novembre 2009 (in abrogazione della Direttiva Uccelli). Questa legge prevede la realizzazione di un “Inventario dei prati stabili naturali” al fine di impostare una politica permanente di studio, conoscenza e salvaguardia dei prati stabili naturali e delle relative specie floristiche. L’Inventario viene aggiornato su base triennale, ma studiare in campo i più di 10.000 poligoni contenuti in Inventario è un lavoro piuttosto improbo. Questo elaborato si pone quindi l’obiettivo di testare alcune innovative tecniche di telerilevamento satellitare al fine di agevolare e migliorare lo studio dei prati stabili naturali del Friuli-Venezia Giulia. Ruolo chiave in questo elaborato è quello della piattaforma Google Earth Engine (GEE) che permette di analizzare contemporaneamente e in cloud centinaia di immagini satellitari, dalle quali si possono rapidamente calcolare anche degli indici vegetazionali quali l’NDVI, l’NDWI e l’IRECI. Si ottengono quindi delle curve che mostrano l’andamento di questi indici vegetazionali nel tempo, in particolare dal 2017 al 2021. I valori IRECI di 33 prati, rappresentativi delle 11 tipologie di prati stabili all’interno dell’Inventario, sono stati analizzati statisticamente per calcolare un indice di dissimilarità. Per poter confrontare tra loro intere serie temporali è stato utilizzato l’algoritmo Dynamic Time Warping (dtw) che calcola la distanza euclidea tra coppie di elementi di due serie temporali dopo averle appaiate. Questo algoritmo è in grado di appaiare due curve anche se queste hanno un diverso numero di elementi e valori ripetuti. Dall’analisi statistica si scopre che la combinazione tra le curve IRECI calcolate con la piattaforma GEE e l’algoritmo dtw è in grado di distinguere molto bene le diverse tipologie di prato stabile. È stato anche studiato l’incespugliamento di 3 prati stabili particolarmente interessanti, operazione fondamentale per le future analisi di prati molto incespugliati.