CENTRALE DI MONFALCONE, CARBONE, GAS, IDROGENO: TANTE DOMANDE IN ATTESA DI RISPOSTE.
Rispetto al progetto di (quasi) triplicare la centrale termoelettrica di Monfalcone, portandola a 860 MWe lordi dai 336 attuali, abbiamo letto negli ultimi giorni sulla stampa diverse prese di posizione a favore del nuovo impianto.
Rispetto alla previsione di una grande centrale alimentata a combustibili fossili la nostra risposta non può che essere negativa. Appare una scelta fuori tempo, vista la rapida evoluzione delle energie rinnovabili, le politiche dell’UE che non sostengono più le fonti fossili, gli impegni internazionali di riduzione della CO2 e le previsioni di risparmio contenute nel Piano Energia e Clima del gennaio 2020 (obiettivo indicativo di riduzione dei consumi al 2030 pari al 43% dell’energia primaria rispetto allo scenario di riferimento PRIMES 2007 (1). Così come oggi siamo gli ultimi in Italia a bruciare carbone (anche se la centrale – non strategica per TERNA – è ferma da molti mesi e sottoutilizzata da anni) tra 25/30 anni, a fine ciclo della nuova centrale, saremo gli ultimi a bruciare ancora gas.
Sarebbe anche un’opzione sul nostro futuro, che legherebbe il territorio Monfalconese a un modello di industria pesante tipica del secolo scorso, con scarse prospettive di evoluzione verso forme economiche più moderne e sostenibili. Anche simbolicamente, la sostituzione del grande camino di 150 metri con due nuove ciminiere da 60 metri ciascuna, sarebbe di ben poca consolazione per la popolazione che in tutti questi anni ha subito i fumi della centrale.
Il mantenimento di un grande polo energetico a Monfalcone – per contro – sarebbe di ostacolo ad attività economiche come il turismo, la diportistica, la termalità, la portualità, che potrebbero equilibrare il tessuto economico monfalconese troppo sbilanciato verso il settore industriale.
Se il progetto ottimisticamente si propone di “ridurre a quasi un terzo le emissioni specifiche di anidride carbonica (t di CO2/MWhe), grazie alla maggiore efficienza”, considerato l’aumento di potenza del 256% rispetto all’assetto attuale, si può concludere che la quantità di CO2 sarà pressoché invariata e questo risultato appare in netto contrasto con gli impegni assunti dal nostro Stato in materia di riduzione delle emissioni climalteranti (2), considerando oltre alla fase di combustione anche la CO2 prodotta nell’estrazione del gas e nel trasporto(3). La sostituzione del carbone (in Italia 8GW dopo il 2025) deve avvenire – a giudizio dell’Energy Watch Group – con energie rinnovabili, sia per rispettare gli impegni internazionali sul cambiamento climatico sia per motivi di costi, dato che eolico e solare accompagnati a sistemi di accumulo hanno già oggi costi di produzione medi inferiori al gas (4) .
Nella centrale termoelettrica di Monfalcone l’incremento di ben oltre 2 volte della potenza termica, considerando anche che l’attuale centrale a carbone negli ultimi due anni è stata largamente sottoutilizzata, determinerà delle emissioni di ossidi di azoto che potrebbero risultare nel nuovo impianto addirittura superiori: l’NOx provoca irritazione di mucose e occhi e comporta un aumento del rischio di malattie all’apparato respiratorio e polmonari e probabilmente cardio-vascolari. Gli NOx sono precursori della formazione dell’ozono e provocano – come anche la CO2 – l’acidificazione dei suoli e delle acque dolci e marine. In ambienti già provati dai depositi acidi derivati dalla combustione per oltre 50 anni di carbone, persisterà la ricaduta di NOx, che provoca diminuzione di vitalità negli alberi, compromissione dei suoli, impatti sulla fauna acquatica, danni ai monumenti (marmi, mosaici) e favorisce l’eutrofizzazione di ecosistemi marini e terrestri (nitrati). I fumi subiscono trasformazioni chimico-fisiche a contatto con l’atmosfera e NOx, in assenza di piogge che lo dilavi, è “precursore” del particolato “secondario”, che può produrre ricadute al suolo del particolato di inquinanti originati da centrali termoelettriche a distanza anche di molti km dalla sorgente(5).
Nella “Stima delle ricadute al suolo degli inquinanti emessi al camino”, si prevedono emissioni massive di NOx di 34,1 g/s nel ciclo aperto e 11,4 g/s nel ciclo combinato e nel ciclo combinato si prevedono 3,4 g/s di NH3 (assenti nel ciclo aperto), che andranno a sommarsi alle altre emissioni presenti nell’area. L’impatto sulla salute della popolazione, già fragile per la diffusa esposizione all’amianto e per l’impatto prolungato per molti decenni della combustione del carbone, va considerato sulla somma delle emissioni inquinanti presenti sul territorio.
L’obiettivo di migliorare sostanzialmente l’efficienza energetica della Centrale dipenderà molto dalle sue modalità di utilizzazione: se la stessa sarà inserita nel (molto discutibile) meccanismo del capacity market sarebbe destinata a rimanere inattiva per molta parte del suo ciclo di vita, per essere attivata solo in caso di carenza di capacità del sistema elettrico. In questo caso la centrale sarebbe attivata a
ciclo aperto, quindi con un’efficienza minore e una maggior produzione di ossidi di azoto. E’ quindi assolutamente necessario sapere sin d’ora quale regime andrebbe ad avere la nuova futura centrale.
Anche l’aspetto occupazionale potrebbe essere diverso in caso di inserimento o meno nel capacity market, considerato che una centrale a gas può impegnare indicativamente circa 15-20 lavoratori.
Vanno quindi valutate ipotesi alternative di utilizzo dell’area, ad esempio per servizi portuali e retroportuali in un’ottica di sviluppo del Porto di Monfalcone, recentemente inserito nell’Autorità di Sistema portuale del mare Adriatico orientale, insieme ai porti di Trieste e S.Giorgio di Nogaro. La nuova centrale occuperà meno spazio, ben 170.600 m2 saranno lasciati liberi, e tuttavia il progetto presentato non delinea alcuna previsione per queste aree, e ciò preoccupa sia per gli aspetti paesaggistici (rimarrà un’area abbandonata?) sia occupazionali.
Il sito internet della Società riporta che “In accordo con le linee strategiche del Piano Energetico Regionale recentemente approvato dalla Regione FVG (giugno 2015), il gestore si è impegnato a presentare, nel corso del periodo di validità dell’AIA (fino a marzo 2025), un piano di riconversione del sito che preveda una graduale diminuzione dell’utilizzo del carbone come combustibile primario per la produzione di energia elettrica e la sua sostituzione con fonti energetiche alternative da individuare nell’ambito del settore delle energie rinnovabili”(6).
L’Associazione è inoltre molto preoccupata dalla realizzazione di un metanodotto interrato all’interno del Parco comunale del Carso Monfalconese in una delle sue aree a maggior tutela e candidata a divenire un biotopo regionale.
In aggiunta a tutto ciò si è prospettata a settembre scorso l’ipotesi della co-combustione dell’idrogeno insieme al gas nella nuova grande centrale: è chiaro che se il proponente intende modificare il progetto con un’ipotesi di parziale alimentazione a idrogeno, la procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale dovrà ripartire.
E alle molte domande sulla centrale a gas se ne aggiungo ancora delle altre.
Quale configurazione avrà la nuova centrale in numero di ore/anno di funzionamento, a ciclo aperto o chiuso, per coprire il fabbisogno di base o le richieste di picco, per il fabbisogno nazionale o europeo, ci sono accordi con il gestore della rete?
Ci sarà sovrapposizione di funzionamento tra la produzione a carbone e quella a gas?
Saranno smantellate le opere dismesse e quale sarò il futuro di quelle aree?
Si può spostare il tracciato del metanodotto evitando le aree naturalistiche di pregio?
Sarebbe previsto il teleriscaldamento?
Come sarà prodotto l’idrogeno, con fonti rinnovabili o ricavandolo dal gas naturale, in questo secondo caso senza alcuna decarbonizzazione?
Considerato che oggi il 97% dell’idrogeno è prodotto da reforming di impianti chimici e raffinerie, con produzione di CO2 e costi bassi (1,5-1,7 al Kg), mentre pochissimo è l’idrogeno verde (che costa 2,5-5 euro al Kg), quale produzione di idrogeno si pensa di poter raggiungere a Monfalcone e a quali costi?
Quali precauzioni per lo stoccaggio vista la vicinanza di abitazioni civili?
Quale sarebbe il beneficio di una alimentazione mista gas/idrogeno (in quali percentuali?) in termini di emissioni climalteranti e di altri inquinanti?
La produzione di idrogeno sarà finanziata con contributi europei, che invece non saranno più disponibili per le fonti fossili come il gas?
Se l’idrogeno ha una sua funzione come immagazzinatore di energia dove si verificano dei surplus, ad esempio per la discontinuità di alcune fonti rinnovabili come l’eolico (che produce molto in inverno e poco in estate), il solare (tra giorno e notte) o per assecondare la richiesta del mercato (energia nucleare che in orario notturno ha poca richiesta e viene svenduta a basso prezzo), a Monfalcone ci sono le condizioni per la produzione di idrogeno?
Confidiamo che arrivino, per il bene di tutti, le risposte attese.
Si ringrazia per l’attenzione e si porgono cordiali saluti,
ASSOCIAZIONE AMBIENTALISTA
“EUGENIO ROSMANN”
MONFALCONE
1 https://www.rinnovabili.it/featured/pniec-italiano-testo-piano-clima-energia-2030/
2 “Rallenta la crescita di emissioni di CO2 da carbone ma aumentano quelle da gas naturale” https://www.repubblica.it/ambiente/2019/12/04/news/emissioni_co2_2019-242541129/
3 Qualenergia 9/2019 “Clima, sostituire il carbone con il gas non è la soluzione” https://www.qualenergia.it/articoli/clima-sostituire-il-carbone-con-il-gas-non-e-la-soluzione/
4 Qualenergia 6/2019 “Gas e transizione energetica: è un ponte o un muro?” https://www.qualenergia.it/articoli/gas-e-transizione-energetica-e-un-ponte-o-un-muro/
5 A European Aerosol Phenomenology 2003, Joint Research Center-Ispra, European Commission; Primary and secondary components of PM 2.5 in Milan (Italy), G. Lonati et al. Environmental International 34, 2008, Elsevier
6 http://www.a2aenergiefuture.eu/gruppo/cms/ene/impianti/monfalcone/