Aree umide costiere del monfalconese
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- Il bosco della Cernizza
- La Foce del Timavo
- Cassa di colmata del Lisert e Portorosega
- Canneto del Lisert
- Dente delle Isole Clare al Lisert
- Chiesa Sant’Antonio
- Terme Romane
- La spiaggia del Cavana
- La palude della Cavana
- Il canale Brancolo
- Schiavetti
- Sorgenti del Lisert
1. Il bosco della Cernizza
Il bosco della Cernizza si trova nel punto di congiunzione tra la costa bassa e fangosa adriatica italiana e quella rocciosa calcarea dell’adriatico orientale e ospita la flora e la fauna tipica delle aree mediterranee ed illiriche. Antica riserva di caccia del Principe di Duino, vi sono presenti le tracce delle trincee e dei bunker della prima guerra mondiale. Il nome deriva dallo sloveno črn, nero, dovuto all’ombrosità del Leccio (Quercus ilex , la quercia sempreverde che caratterizza il bosco). Oltre al leccio è presente la Carpinella (Carpinus orientalis) e l’Orniello e nel sottobosco il Terebinto, lo Scotano, il Pungitopo, l’Asparago selvatico.
Sotto il bosco della Cernizza – verso il golfo – si estende una interessante penisola caratterizzata da una vegetazione molto differenziata dovuta alla grande varietà di suoli. Nell’insenatura interna il canneto, intorno alla punta la piana di marea con fanerogame, sulla penisola pietrosa la vegetazione dei suoli salati, delle sabbie e quella mediterranea con Leccio e Fillirea. Presenti infine molte specie esotiche, favorite dalle molte manomissioni collegate alla vicina cava. La fauna, disturbo antropico permettendo, è molto ricca con specie della macchia mediterranea, quali l’Occhiocotto, a stretto contatto con specie palustri come il Chiurlo maggiore o costiere come il Marangone dal ciuffo.
Il bosco è stato tutelato come Sito di importanza comunitario all’interno del sito “Carso Triestino e Goriziano” e dal settembre 2013 è una ZSC (Zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “habitat”) nonché ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi della direttiva “uccelli”. E’ stato inserito anche nella IBA (Important Birds Area) del Carso.
2. La Foce del Timavo
La foce del Timavo presenta delle bocche di risorgiva, dalle quali riemergono le acque che si inabissano, 40 km più a monte, nelle grotte di San Canzian – Škocjan, dopo un percorso sotterraneo solo in parte conosciuto. Luogo di culto nell’antichità e citato da Strabone, Virgiio e Tito Livio, oggi è un sito turistico, ombreggiato da grandi pioppi, platani e cipressi.
Dopo un corso di appena 2 km il Timavo sfocia a mare, attraverso il canale Locavaz, in un’area che comprende alcune velme, le più settentrionali del bacino mediterraneo.
A ponente della foce del Timavo, oltre all’area di velma, si estende una zona che era marina, ma attualmente risulta circondata da un argine pietroso che costituisce il contenimento della cassa di colmata, destinata ad accogliere i materiali derivati dall’escavo del canale di accesso al porto di Monfalcone. La parte orientale è stata dichiarata Sito di importanza comunitaria per la ricchezza di avifauna. All’interno una parte è occupata da una barena con abbondante presenza di Atriplex portulacoides, mentre verso l’argine esterno si estende uno specchio d’acqua poco profondo che comunica con il mare attraverso un varco nell’argine perimetrale. Nonostante molte forme di disturbo la zona è ricchissima di avifauna. A Nord e a Ovest della cassa di colmata si estendono ampi canneti , specchi d’acqua dolce e boschetti litoranei a salici e pioppi cresciuti su vecchie colmate.
La Foce del Timavo è stata tutelata come Sito di importanza comunitario : Carso Triestino e Goriziano e dal settembre 2013 è una ZSC (Zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “habitat”) nonché ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi della direttiva “uccelli”. Inserito anche come IBA (Important Birds Area) del Carso.
3. Cassa di colmata del Lisert e Portorosega
Negli anni ‘70 del secolo scorso un tratto di mare e l’isolotto del Balo vennero compresi in un argine pietroso in previsione di un riempimento con i materiali derivati dall’escavo del canale di accesso del porto di Monfalcone. A più riprese il bacino di nuova formazione fu interessato dallo scarico di fanghi ma la parte più orientale venne in seguito tutelata dalla Comunità Europea attraverso l’inserimento nella rete natura 2000, per l’elevato valore naturalistico. La cassa di colmata, nella parte tutelata, rappresenta un caso unico a livello regionale di “laguna a marea limitata” molto attrattiva per gli uccelli acquatici. Per consentire sia una fruizione rispettosa che la presenza di specie esigenti in fatto di tranquillità è auspicabile l’avvio di una gestione naturalistica del sito.
La cassa di colmata del Lisert è stata tutelata come Sito di importanza comunitario “Carso Triestino e Goriziano” ed attualmente è una ZSC (zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “habitat”), nonché una ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi della direttiva “uccelli”. Inserito anche come IBA (Important Birds Area) delle Foci dell’Isonzo, Isola di Panzano della Cona e Golfo di Panzano.
Il porto di Monfalcone è stato ricavato dallo scavo di materiali alluvionali a partire dal corso di un modesto corso d’acqua di risorgiva. Attualmente un profondo canale collega le banchine con il mare aperto mentre verso occidente si estende l’ ampio bacino di Panzano che riceve l’apporto di acque dolci dal canale navigabile detto Brancolo e da altre rogge di risorgiva. Prima della costruzione delle varie società nautiche che occupano buona parte dello specchio acqueo, in questo sito si svolgeva la tratta dei cefali.
4. Canneto del Lisert
Alle spalle della cassa di colmata del Lisert, che è prevalentemente salata, si estende un ampio canneto, un bosco di recente formazione e uno specchio d’acqua dolce. Sono il naturale completamento delle zone esposte a marea e della cassa di colmata e ospitano un avifauna molto particolare e rara, come il Falco di palude e la Moretta tabaccata che qui anche nidificano. Anche il Tarabuso è presente regolarmente e probabilmente ha nidificato in almeno una stagione riproduttiva. Il canneto ospita passeriformi molto specializzati come il Basettino, il Pendolino e il Forapaglie castagnolo, che si trovano unicamente in questo particolare ambiente. Più a Nord – nei pressi delle risorgive del Lisert – è presente il Grillastro marmorato (Zeuneriana marmorata) specie endemica, cioè a distribuzione molto limitata, e vi ha nidificato la rara Rondine rossiccia. Purtroppo questi ambienti sono a rischio per l’espansione delle attività industriali e portuali.
L’area del Canneto è stata tutelata come Sito di importanza nazionale legato al progetto Bioitaly; tali siti sono stati superati e abrogati contestualmente al tardivo recepimento della Direttiva 92/43/CEE. Attualmente è stato inserito come IBA (Important Birds Area) delle Foci dell’Isonzo, Isola di Panzano della Cona e Golfo di Panzano.
5. Dente delle Isole Clare al Lisert
Il dente di calcare è ciò che resta delle Isole Clare. Le due Isole di Sant’Antonio e della Punta costeggiavano il lago salmastro del Lacus Timavii, decantato da Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) e Plinio (24-79 d.C.) nei loro scritti e indicato nella Tabula Peutingeriana, redazione medievale di un originale che potrebbe risalire al I sec. d.C. Il Lacus Timavii era uno specchio d’acqua interno, un lago incastonato nella terra ferma, nel quale sfociavano da un lato il Timavo dall’altro un braccio dell’antico Isonzo. Dopo il VI secolo d.C. e la caduta dell’Impero Romano progressivamente si impaludò, con l’avanzata della linea di costa. Un terzo isolotto, in prossimità della foce dell’attuale canale Locavaz, ospitava il Belforte, un castello della Repubblica di Venezia edificato nel 1284, in posizione strategica all’imbocco della laguna. Le Isole Clare scomparvero nel corso del 1900, inglobate nelle bonifiche e infine spianate per l’estrazione del calcare da parte della fabbrica Solvay. La fabbrica di soda Solvay continuò a usare a periodi alterni la pietra calcarea della collina di Sant’Antonio fino al quasi completo sbancamento della stessa. Furono utilizzate anche le cave di via Romana, di Doberdò e di Selz. Tra i moltissimi rinvenimenti archeologici nell’area compresa tra Aquileia e Duino, uno scavo a ridosso della collinetta della Punta ha messo in luce un vasto insediamento con pavimenti in cotto e mosaico. Nel 1972 – nel margine settentrionale di questo complesso archeologico – è stata rinvenuta un’imbarcazione romana (ora esposta al Museo archeologico di Aquileia) – forse destinata a trasportare gli utenti delle Terme, a conferma che la palude nell’antichità era un vasto specchio d’acqua navigabile.
6. Chiesa Sant’Antonio
La chiesetta quattrocentesca – non più esistente – sorgeva sulla parte occidentale dell’isola omonima – a quota 19 metri sul livello del mare – e nelle vecchie mappe veniva indicata come Sant’Antonio dei Bagni. Nei pressi della chiesa erano presenti le grotte di S.Antonio e delle Fate (quest’ultima denominata anche del Diavolo zoppo): ad esse sono collegate antiche leggende di auree misteriose. Alla chiesa è legata una della più antiche tradizioni del nostro territorio: un tempo – il 17 gennaio – la chiesetta votiva era meta di una processione propiziatoria, venivano accesi i fuochi di Sant’Antonio e si benedicevano gli animali. La costruzione era molto semplice, con un unico portale d’ingresso, sovrastato da un piccolo campanile a vela sopra la facciata, contenente la campana. Era affrescata e circondata da un piccolo cimitero fino al 1850. Durante la Prima Guerra mondiale fu distrutta e quindi inglobata nella cava di pietra usata per scopi industriali (Solvay), mentre la statua lignea del Santo fu trasferita a Monfalcone e, attorno alla metà degli anni trenta, restaurata da Attilio Dessabo. Oggi si trova nella nuova chiesa del SS Redentore di via Romana.
Il 17 gennaio 2016 è stata inaugurata, presso le Terme di Monfalcone, un’edicola dedicata al Santo: un’iniziativa di grande importanza per il recupero della storia e la tradizione locale.
7. Terme Romane
Dal gennaio 2014 – dopo 70 anni di chiusura – sono rientrate in funzione a Monfalcone le Terme romane, completamente rinnovate dopo che la struttura era stata abbandonata dopo la seconda guerra mondiale. Tuttora sono visibili le tracce delle antiche Terme, attive già in epoca romana e citate da Plinio e da Marziale (40-104 d.C.), situate sull’isola di Sant’Antonio e rivolte verso le colline carsiche (con acque a 40-41 C°), mentre altre terme ipo-termali (con temperatura tra i 20-30 C°) erano poste nella parte orientale della collina della Punta. Si suppone la presenza di un impianto termale anche nel sito dell’ex Pretura, in piazza Repubblica a Monfalcone, ai piedi del colle della Rocca. Le Terme romane vennero abbandonate progressivamente in seguito al sopraggiungere di Attila e degli Unni nel IV secolo. Nel 1433, in occasione dei restauri del porto di Monfalcone, il Magnificus Pretor di Venezia Francesco Nani riattivò l’uso della fonte termale con la raccolta delle acque in una cisterna, contornata da un edificio a pianta quadrata, il cui uso si prolungò ininterrottamente fino al 1799. Nel 1840 venne edificato uno stabilimento in muratura e – nel testo “Aqua dei et vitae” scritto da sir Richard Francis Burton nel 1881 – si descrive il sito delle terme come “un’oasi asciutta in una palude piena di canne che si estende sotto la strada postale”. Nel 1900 lo stabilimento fu acquistato dal principe Alexander von Thurn und Taxis del castello di Duino e fu distrutto nel I conflitto mondiale. Ricostruite nel 1940 si andarono degradando dopo il II conflitto mondiale. Le nuove Terme sono convenzionate con l’Azienda sanitaria per le cure di idroterapia, broncoterapia, aerosolterapia e per la fisioterapia.
8. La spiaggia del Cavana
Oltre l’argine a mare si estende una piccola spiaggia che conserva alcuni elementi di naturalità. Fino agli anni ‘80 e ‘90 esisteva una barena verso il largo e una limitata laguna tra questa e l’argine; oggi tale specchio d’acqua è scomparso per l’erosione del mare, sensibile in particolare verso Marina Nova. Rimane – verso la foce del Cavana – una piccola zona di spiaggia con dune embrionali stabilizzate dalla vegetazione tipica delle sabbie. Andrebbe mantenuto il materiale vegetale spiaggiato, sede di importanti comunità animali e utili a rallentare l’erosione e rimuovere unicamente i rifiuti spiaggiati di origine antropica.
La spiaggia del Cavana è stata tutelata come Sito di importanza comunitario: Cavana di Monfalcone ed attualmente è una ZSC (zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “Habitat”). Inserita anche come IBA (Important Birds Area) delle Foci dell’Isonzo, Isola di Panzano della Cona e Golfo di Panzano.
9. La palude della Cavana
La palude della Cavana si estende tra il Brancolo, il canale Tajada, il mare e la recente urbanizzazione di Marina julia. Rappresenta la parte più vicina al mare delle ampie paludi che si estendevano lungo il fiume Cavana e che sono state “tagliate” dallo scavo del canale Brancolo. La parte a monte viene attualmente denominata Schiavetti. Sia la zona Schiavetti che la Cavana pur ospitando molte specie faunistiche sono di primaria importanza in particolare per la vegetazione collegata alle risorgive. La Cavana presenta un gradiente di salinità con formazioni di Cladium mariscus e prati umidi nelle zone più interne che sfumano in canneti a Phragmites e ampie barene con vegetazione alofila verso l’argine a mare. Le acque di risorgiva sfociano in mare attraverso due porte vinciane, che tenute parzialmente aperte consentono una limitata risalita di acque marine. Questa zona umida prende il nome dai ricoveri delle barche: le cavane nel dialetto veneto. In questo sito in breve si passa dall’acqua dolce a quella salata e quindi dai canneti a falasco alle barene.
La Palude del Cavana è stata tutelata come Sito di importanza comunitario “Cavana di Monfalcone” ed attualmente è una ZSC (zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “Habitat”). É stata istituita come Biotopo regionale ai sensi della L.R.42/96 ed è stata inserita anche come IBA (Important Birds Area) delle Foci dell’Isonzo, Isola di Panzano della Cona e Golfo di Panzano.
10. Il canale Brancolo
Il canale Brancolo è stato scavato a scopo di navigazione interna e per drenare le abbondanti acque di risorgiva che impaludavano buona parte della pianura tra Monfalcone e l’Isonzo. Mentre la navigazione è stata accantonata, se si eccettua l’attività remiera per la bonifica il canale svolge appieno la sua funzione con le idrovore Sacchetti e delle Borlecce nonché numerose porte vinciane che scaricano nel corso d’acqua. Il brancolo attrae numerosi pescatori sportivi. Limitate zone umide e boscate sono sopravvissute alla bonifica nella zone di Bosc Grand, Fiumisin e Schiavetti- Cavana.
Il canale “navigabile” venne scavato negli anni ‘20 del 900 per drenare le abbondanti acque di risorgiva della pianura tra Monfalcone e l’Isonzo e per consentire la navigazione interna. Quest’ultima attività venne presto accantonata se si eccettua gli sport remieri mentre per la bonifica questo corso d’acqua svolge tuttora il suo ruolo di collettore delle acque che defluiscono attraverso due idrovore (Sacchetti e Borlecce) e numerose porte vinciane che servono i bacini a scolo intermittente, in cui il deflusso avviene quando nel Brancolo l’acqua cala per la bassa marea. Il paesaggio è molto verdeggiante con l’alternanza di boschi umidi, zone palustri ed agricole. Nonostante la bonifica l’acqua caratterizza questo estremo lembo della pianura.
Il Canale del Brancolo è stato tutelato come Sito di importanza comunitario “Cavana di Monfalcone” ed attualmente è una ZSC (zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “Habitat”). É stato compreso nel Biotopo regionale ai sensi della L.R.42/96 ed è stato inserito anche come IBA (Important Birds Area) delle Foci dell’Isonzo, Isola di Panzano della Cona e Golfo di Panzano.
11. Schiavetti
A monte del Brancolo verso la zona industriale omonima si estende un ampia zona di risorgiva, fortunatamente scampata alla trasformazione ed ora in gran parte tutelata. Numerose sono le olle in cui si verifica il fenomeno della risorgenza dell’acqua proveniente dalle alpi e dall’alta pianura. L’acqua trapela in superficie a temperatura costante e infrigidisce il terreno consentendo il permanere in pianura di specie vegetali oggi presenti in montagna, qui arrivate durante le glaciazioni. Intorno alle olle si estendono prati umidi e lembi di bosco. I prati venivano tradizionalmente falciati per il foraggio e la lettiera dei bovini e il proseguimento di questa attività è fondamentale per evitare l’incespugliamento e la perdita delle rare specie dei prati umidi.
Anche Schiavetti è stato tutelato come Sito di importanza comunitario: Cavana di Monfalcone ed attualmente è una ZSC (zona speciale di conservazione ai sensi della direttiva europea “Habitat”). É stato compreso nel Biotopo regionale ai sensi della L.R.42/96 ed è stato inserito anche come IBA (Important Birds Area) delle Foci dell’Isonzo, Isola di Panzano della Cona e Golfo di Panzano.
12. Sorgenti del Lisert
Zona umida residuale di 25 ettari compresa tra la soglia meridionale del rilevato carsico di Moschenizze (e la strada costiera) a nord, il canale Locavaz-Moschenizze a est e il canale dei Tavoloni a sud e a ovest. Nonostante le plurime e pesanti manomissioni cui è stata sottoposta negli anni (tentativo di bonifica idraulica con arginatura perimetrale di ampia parte dell’area, creazione di un terrapieno in seguito imboschitosi spontaneamente e, in tempi recenti, realizzazione – senza opere di mitigazione ambientale – di un terrapieno ferroviario di servizio alla vicina cartiera), la zona conserva notevolissimi valori naturalistici e di biodiversità. Vi troviamo infatti evidenti risorgive d’acqua dolce nel tratto nord occidentale della zona al contatto con il rilevato carsico, canneti di falasco, canneti di cannuccia di palude e praterie umide, con prevalenza di quelle dominate da Schoenus nigricans, a volte infiltrate da Juncus maritimus a segnalare la presenza di acque salmastre (il mare è poco distante, circa 2,5 km). Tra le specie vegetali di particolare valore naturalistico se ne ricordano alcune, come Allium suaveolens, Orchis palustris, Cirsium canum, Gladiolus palustris, legate alle praterie umide. Ma è sotto il profilo faunistico che l’area è straordinariamente importante in quanto, nelle praterie e nei canneti, ospita una rarissima specie di grillo, la Zeuneriana marmorata, fino a pochi anni fa ritenuta definitivamente estinta e qui poi ritrovata. Altre specie animali importati segnalate sono il Topolino delle risaie e fra gli uccelli la Rondine rossiccia, riprodottasi con successo nel 2012 e 2013, unico caso noto di nidificazione per la provincia di Gorizia. Per questa zona è in atto l’iter istitutivo di un Biotopo Naturale ai sensi della legge regionale 42/96 sulle aree protette.