Non è più tempo di combustione di fonti fossili: le controdeduzioni sulla nuova Centrale termoelettrica di Monfalcone non sciolgono le criticità
L’Associazione Ambientalista “Eugenio Rosmann” ha visionato la documentazione integrativa sulla nuova mega-centrale termoelettrica, che si vorrebbe realizzare dopo la dismissione dell’impianto a carbone.
Le criticità che hanno portato l’Associazione a bocciare il progetto rimangono tutte senza risposta.
Nella giornata in cui si celebra “La giornata della Terra” e in tutto il pianeta si discute su come contrastare i cambiamenti climatici, a Monfalcone si propone un impianto con emissioni di CO2 analoghe al precedente, senza alcun passo in avanti se non nella maggiore efficienza della nuova centrale.
Mentre l’Europa si impegna a sviluppare le energie rinnovabili, la ricerca dell’energia pulita e nuovi modelli di distribuzione basati su reti intelligenti (smart grid), a Monfalcone si insiste su un grande impianto (potenza di quasi 2 volte e mezza rispetto alla centrale a carbone attuale) che brucia fonti fossili e distribuisce l’energia nel Nord Italia attraverso grandi elettrodotti.
Non è solo la CO2 a preoccupare, ma anche il gas metano incombusto che si disperde in atmosfera durante il tragitto nel metanodotto e l’ammoniaca – NH3 – le cui emissioni saranno più che raddoppiate (da 45 tonn/anno attuali a 108 t/a nel ciclo combinato e 95 nel mix ciclo aperto/combinato), anche considerato che oltre ai danni diretti sulla salute delle persone l’ammoniaca in atmosfera forma particolato, quindi polveri sottili.
Gli ossidi di azoto saranno ridotti ma comunque presenti. Un dato poco confortante tenendo conto dell’inquinamento pregresso già subito dal territorio (bioaccumulo), le altre fonti di inquinamento presenti nell’area e la caratteristica di NOx come intermediario nella formazione di ozono e smog fotochimico e nell’acidificazione di suoli e acque. Gli NOx passerebbero da 946 t/a nella Autorizzazione Integrata Ambientale in vigore a 440 t/a nella nuova centrale, ma salirebbero a 1.075 nel ciclo aperto.
Non è ancora chiaro, infatti, quale sarebbe l’utilizzo della nuova centrale: “L’esercizio futuro della Centrale sarà determinato dal fabbisogno della rete e dalle opportunità di mercato; A2A nello sviluppare il progetto ha previsto un esercizio di 6000 ore/anno con una progressiva riduzione che tiene conto dell’inserimento di sistemi concorrenti parimenti efficienti e dell’aumento della produzione elettrica da Fonti Rinnovabili” scrive il proponente. Dipenderà quindi dalle richieste del mercato, ma già si mette in conto una progressiva marginalizzazione dell’impianto, con potenziali conseguenze anche sull’occupazione.
Scrive il proponente che “Per l’esercizio del CCGT e dell’impianto fotovoltaico A2A prevede l’impiego di 50 addetti. Ulteriori 15 addetti sono previsti per l’esercizio dei compensatori sincroni e dell’impianto di storage elettrochimico, iniziative attualmente in fase di studio”. Allo stato del progetto possiamo quindi stimare tra i 50 ed i 65 addetti (considerando che le professionalità di una centrale a carbone possono essere diverse da quelle di una moderna turbogas), tenendo conto che 15 occupati sono previsti in progettualità in parte ancora in fase embrionale e non inserite nel presente studio.
Va considerato però che la presenza di una grande centrale termoelettrica deprime altri settori economici, in primis quello termale, ma anche la nautica, la diportistica e il turismo.
Inoltre il sedime dell’attuale centrale potrebbe trovare altre destinazioni, per attività portuali e retroportuali, con un impatto occupazionale potenzialmente superiore.
L’area attualmente occupata dalla centrale risulta avere una superficie complessiva di circa 19.6 Ha mentre il nuovo impianto ne occuperà circa 2.5: rimangono avvolte nella vaghezza la dismissione dei vecchi impianti e del grande camino, legati al buon esito del nuovo progetto, e la destinazione delle vaste aree non più utilizzate. A parte la nuova centrale termoelettrica, l’impianto a pannelli solari e i compensatori sincroni rimangono indefiniti gli altri progetti della società nell’area.
L’Associazione Rosmann chiede almeno la dismissione definitiva dell’elettrodotto a 220 kV, non più utilizzato, ma che si vorrebbe tenere “a disposizione” mentre esprime contrarietà al deposito di batterie semiesauste (cosiddetto “storage elettrochimico”).
Anche sul problema del metanodotto che attraverserebbe aree protette carsiche e di canneto nell’area della Moschenizza (biotopo del grilletto palustre), le integrazioni non hanno fornito particolari novità e non hanno risolto le criticità già rilevate.
Riguardo all’ipotesi di combustione dell’idrogeno, è una prospettiva inefficiente dal punto di vista energetico e comunque realizzabile solo con minime percentuali di H2, quindi al momento di rilevanza trascurabile.
L’Associazione Rosmann boccia quindi la grande centrale termoelettrica a combustibili fossili, che nasce già fuori tempo e lo sarà ancora di più nell’arco di attività dell’impianto, 30/40 anni nei quali si prevede un forte aumento delle energie rinnovabili e quindi una progressiva marginalizzazione dell’impianto proposto. Perciò è ben poco conveniente per il territorio destinare un’area potenzialmente strategica per il suo sviluppo a un impianto poco utile in prospettiva al tessuto economico e con scarse ricadute occupazionali, prevedibilmente con posti di lavoro in diminuzione nel corso degli anni.
Ricordando ancora – nel “Giorno della Terra” – i due nuovi camini previsti a ridosso del centro abitato, le emissioni dei quali perpetuerebbero i problemi di fragilità sanitaria che il territorio ha già subito nei decenni passati per la presenza dell’impianto a carbone e non solo.
Associazione Ambientalista “Eugenio Rosmann”