“Trieste e il rapporto con l’acqua” di Marino Sterle
Grazie a questa nuova mostra di Marino Sterle possiamo mettere a fuoco un aspetto di Trieste, come definita di recente dallo scrittore Veit Heinichen, un porto il cui sviluppo non è fine a sé stesso ma riguarda tutta la città e il suo ampio retroterra, una vasta regione geografica.
La città, che negli ultimi anni si è fortemente messa in moto grazie al contributo attivo dei suoi cittadini, ha migliorato il sistema ricettivo alberghiero ed eno-gastronomico, rinvigorito il sistema economico e quello universitario e si è aperta verso il mondo con il potenziamento dei collegamenti terrestri, aerei e marittimi, e l’attuale gestione del Porto, dopo decenni di immobilismo, ha dato una prospettiva ed una speranza a tutta la città con la sua politica di integrazione e non di emarginazione.
L’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale ha ridato un ruolo internazionale allo scalo, mettendo in campo un’agenzia per il lavoro con la tutela e stabilizzazione dei lavoratori, impiegando oltre 350 nuovi assunti, utilizzando le infrastrutture esistenti per far partire dal Porto 10.000 treni all’anno, togliendo dalle strade 200.000 camion, solarizzando lo scalo e dimostrando che la gestione pubblica dello scalo portuale funziona.
Per tornare alle origini dello sviluppo di Trieste, bisogna citare la statua in Piazza Unità a Trieste di Carlo VI d’Asburgo, che nel 1719 fece il Decreto per il Porto Franco: Carlo da un lato indica il mare e dall’altro guarda il luogo dell’amministrazione, il municipio, e in questa statua c’è il suo messaggio per l’impero Austroungarico e per tutta la città: Trieste non ha un porto ma è un porto. Un porto per il centro Europa e per un vasto mercato, che all’epoca ha reso grande la città, rendendola famosa in tutto il mondo.
Per tornare all’acqua si ricorda la data del 22 marzo, Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992.
Per riflettere sul tema dell’acqua citiamo l’editoriale di Pietro Laurano sull’Avvenire di novembre 2019, dal titolo “Ma è d’acqua ogni città”, in cui descrive l’alleanza da capire e ricostruire, sia come fondamentale fonte di vita, sia come sempre più indispensabile strumento per produrre energia, irrigare i campi e anche come mezzo di trasporto. Le città realizzate in rapporto all’acqua sono molteplici. Vi sono centri urbani basati sul rapporto con la risorsa idrica di un fiume, come Firenze; casi come Milano, dove l’originaria importanza dei Navigli è meno apparente; fino a luoghi immersi nell’acqua come Venezia. Ed anche città dove l’acqua non c’è, come Matera, che costruita sui pendii digradanti di un pianoro, capta le piogge per convogliarle nei meandri di stradine, grotte, cisterne sotterranee e campi terrazzati.
Ricorda ancora Pietro Laurano che le estremizzazioni climatiche hanno effetti devastanti, innescando la desertificazione fisica e culturale e luoghi eccezionali sono oggi in estremo pericolo. Firenze non può dirsi certamente al sicuro da una nuova alluvione. Venezia rischia di soccombere non solo per l’innalzamento dei livelli del mare ma anche per l’acqua dell’entroterra che arriva sempre più irruenta a causa della cementificazione dei pendii e dei rii. Matera ha dimenticato la sua natura di città d’acqua e la rete abbandonata di canalizzazioni e cisterne diventa un serbatoio malsano nei momenti di siccità e un rischio idrico nei casi di piogge improvvise. A Milano l’impianto tradizionale della gestione dell’acqua, basato sui Navigli e i “fontanazzi” tradizionali che distribuivano gli esuberi all’ambiente, è stato distrutto in epoca industriale e ora i basamenti dei palazzi sono inondati di acque malsane.
Occorre oggi ripensare completamente il sistema di gestione delle acque sia per la migliore protezione dagli eventi estremi sia per un uso oculato di questa risorsa.
E’ necessario progettare metodi naturali di bonifica delle acque inquinate da restituire alle aree agricole e alle stesse aree urbane. Le città, dotate di raffrescamento naturale e geotermico, raccolta idrica e ripascimento delle falde, saranno rigenerate e protette tramite superfici drenanti, verde pensile, pareti vegetali verticali e trasformate in giardini urbani.
Su quest’ultimo tema l’Associazione Rosmann ha premiato nell’edizione 2019 del Concorso per tesi di laurea in materia ambientale – di cui quest’anno si svolgerà la quarta edizione – uno studio dal titolo “La città dal mare negato: Verso una riqualificazione climate proof del waterfront di Napoli”, redatta dalla dott.ssa Klarissa Pica dell’Università IUAV di Venezia. La tesi offriva degli spunti di riflessione sulle possibilità offerte dalla riqualificazione del fronte mare partenopeo, adottando un approccio che riserva particolare attenzione agli impatti derivanti dal cambiamento climatico.
L’architetto Klarissa Pica ha studiato l’evoluzione del rapporto tra la città e il mare e progettato operazioni e programmi di riqualificazione, identificati sotto il nome di waterfront redevelopment. Tali esperienze derivano dal processo di progressivo abbandono di quegli spazi che precedentemente erano utilizzati dall’industria o dalle attività portuali, successivamente trasferite e delocalizzate in altre zone costiere. In quest’ottica gli spazi di margine tra città e acqua, corrispondenti spesso a luoghi ormai in stato di degrado, diventano un’occasione di recupero e di riflessione sulla loro funzione nella contemporaneità.
Nelle possibilità di riqualificazione dei waterfront c’è l’occasione per riconquistare un rapporto perduto tra il tessuto urbano e il mare in un’ottica di valorizzazione naturalistico-ambientale, oltre che un’opportunità strategica per lo sviluppo dell’intera città e per una complessiva riorganizzazione economica e gestionale delle aree urbane metropolitane.
La ricerca sottolinea come in una città fortemente vulnerabile, soggetta a molteplici rischi climatici, la riqualificazione del water front rappresenta un’opportunità per la sperimentazione di azioni di tutela ambientale volte ad aumentare la resilienza in termini di adattamento agli impatti climatici.
La tesi premiata raccoglie la sfida della riqualificazione di nuova generazione, con la necessità di evolversi da un approccio legato meramente al progetto verso una visione maggiormente adattiva, capace di far propria la consapevolezza che le questioni relative ai cambiamenti climatici e alla valorizzazione ambientale sono diventate estremamente complesse e necessitano di una considerazione all’interno degli strumenti di pianificazione.
La sfida è di conciliare i tre aspetti: quello socioeconomico, delle accessibilità/funzionalità e della valutazione della vulnerabilità agli impatti climatici. Ci chiediamo se anche la città di Trieste sarà in grado di vincere la sfida per il futuro.
Grazie Marino Sterle per le tue bellissime foto che ci hanno dato occasione per questa riflessione.
Buona visione!