Concorso Neolaureati Eugenio Rosmann 2024 – Partecipanti
Tutti le tesi ricevute
Il premio dell’Associazione Ambientalista “Eugenio Rosmann” 2024 è rivolto agli studenti neolaureati e ai ricercatori universitari in materie naturalistiche e ambientali
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Inseriamo di seguito gli abstract delle tesi ricevute:
Dott.ssa Valentina Olmo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dottorato di ricerca in Ambiente e Vita
Modellazione e mappatura dei servizi ecosistemici per la pianificazione e la gestione sostenibile del territorio
Il concetto dei servizi ecosistemici (SE), definiti come i molteplici benefici che gli ecosistemi forniscono agli esseri umani, è emerso negli ultimi anni come strumento per supportare politiche e strategie di pianificazione volte allo sviluppo sostenibile e alla conservazione della biodiversità. La quantificazione dei SE è tuttavia problematica a causa della mancanza di dati e metodi coerenti e dell’elevata complessità del concetto, che integra aspetti sia ecologici che socio-economici.
Questa tesi ha fornito la prima quantificazione di più SE nella regione Friuli Venezia Giulia (FVG) e ha sviluppato strumenti di modellazione utili alla pianificazione territoriale. Questi ultimi consentono di quantificare e mappare i SE in modo standardizzato e trasferibile, ma allo stesso tempo adattabile al contesto e aggiornabile, grazie anche alla regolare disponibilità di immagini satellitari gratuite, facilitando e accelerando la valutazione dei SE. I metodi hanno consentito non solo di creare contenuti sui SE, ma anche di valutare questioni specifiche di gestione del territorio in un contesto di cambiamento climatico. Nel primo capitolo, ho quantificato diversi SE in FVG per valutare l'efficacia della misura Natura 2000 nel fornire benefici multipli. I risultati indicano che le aree protette preservano solo alcuni SE e che molti hotspots di SE si trovano al di fuori di esse. Nel secondo capitolo, ho analizzato diversi SE a livello locale, combinando approcci di quantificazione biofisica ed economica, per valutare le implicazioni di scenari di gestione alternativi. In particolare, ho analizzato il futuro degli impianti forestali regionali finanziati dall'UE, i cui sussidi stanno per scadere, evidenziando l'importanza di preservare parte dell'imboschimento per mantenere il C sequestrato e migliorare il valore del legname e proponendo un pagamento per il sequestro di C come compensazione ai sussidi agricoli.
Un limite riconosciuto alla mappatura dei SE è la mancanza di informazioni sulla biodiversità. Nel terzo capitolo, ho esplorato nuovi metodi per valutare rapidamente la diversità tassonomica delle piante utilizzando immagini telerilevate secondo ”L’Ipotesi della Variabilità Spettrale". Ho testato l'ipotesi in 171 aree forestali del FVG utilizzando immagini Sentinel-2 con diversi approcci di calcolo di diversità spettrale. Lo studio ha osservato relazioni negative tra diversità spettrale e tassonomica a livello α, evidenziando che la presenza di discontinuità nelle chiome ha un ruolo dominante nel guidare la diversità spettrale. Tuttavia, le correlazioni positive tra diversità tassonomica e spettrale a livello β suggeriscono che la loro relazione possa essere più robusta a livello di paesaggio piuttosto che localmente.
Nel periodo di ricerca si è infine valutato un metodo di mappatura e monitoraggio da remoto degli schianti prodotti dalla tempesta Vaia nel 2018 in FVG, offrendo un'alternativa efficace e sicura al lavoro sul campo.
In conclusione, questa ricerca ha sviluppato modelli, metodi e valutazioni innovativi sui SE, fornendo strumenti nuovi che consentono una rapida quantificazione delle condizioni, del funzionamento e della biodiversità degli ecosistemi. Questi strumenti sono facilmente applicabili dalle amministrazioni regionali e locali, e sono fondamentali per informare la pianificazione e affrontare le strategie future nel contesto del cambiamento globale. I risultati sono stati riportati in 3 pubblicazioni su riviste specializzate.
Dott.ssa Monica Skapin
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea triennale in scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura
Studio preliminare del comportamento dello sciacallo dorato (Canis aureus) nel Carso Triestino
Nel contesto della crescente espansione dello sciacallo dorato (Canis aureus) in Italia, diventa rilevante acquisire una comprensione del comportamento di questa specie per elaborare strategie efficaci di gestione e conservazione. Questo studio, condotto nell'area del Carso Triestino, utilizza fototrappole per monitorare la specie in modo non invasivo. L'obiettivo principale dell'indagine è valutare l'efficacia di queste tecniche nel rilevare i comportamenti dello sciacallo dorato, con particolare attenzione alla risposta a un attrattivo olfattivo rappresentato da una scatola di sardine. Viene fornita una descrizione preliminare delle dinamiche etologiche della specie. Il metodo impiegato ha consentito di osservare tratti comportamentali chiave, rivelando le modalità con cui lo sciacallo dorato interagisce con nuovi stimoli in ambienti naturali. I risultati ottenuti offrono un quadro preliminare ma significativo del comportamento dello sciacallo dorato, evidenziando il valore del fototrappolaggio nello studio della fauna selvatica. Queste osservazioni arricchiscono la comprensione ecologica del Canis aureus e aprono la via a ulteriori ricerche future.
Dott.ssa Gaia Castellucci - Dott.ssa Maria Giulia Arbizzi
POLITECNICO DI MILANO
Laurea Magistrale in “Sustainable Architecture and Landscape Design”
Water paradox: counter-project for a detention basin along the Santerno river in a post-extractive landscape
La tesi analizza la progettazione di casse di espansione in un’ottica interdisciplinare che unisce aspetti ingegneristici, ecologici, agronomici, botanici e sociali, nel contesto dell'architettura del paesaggio. L’obiettivo è proporre un controprogetto in risposta a un progetto ingegneristico esistente, con particolare riferimento alle recenti alluvioni in Emilia-Romagna (maggio e novembre 2023, settembre e ottobre 2024), che hanno messo in evidenza l’urgenza di una gestione idraulica più efficace. Il titolo riflette due approcci. Il primo riguarda il cambiamento climatico, che rende le alluvioni e le siccità più frequenti e intense. Il secondo si concentra sulle cave di ghiaia, presenti lungo molti corsi d'acqua, che possono essere riconvertite in casse di espansione grazie alla loro morfologia. La ricerca si basa sull’analisi dei fiumi del bacino del Reno e fa riferimento al Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del 2003, che prevedeva la costruzione di 27 casse di espansione, di cui solo sei sono state completate. Il fiume Santerno, principale affluente del Reno, è stato scelto come caso di studio per la sua rilevanza idraulica e la presenza di numerosi ex siti di estrazione di ghiaia, uno dei quali destinato alla costruzione di tre casse di espansione.
La tesi propone una strategia per trasformare questa zona in un parco fluviale che integri le casse di espansione in un contesto paesaggistico e funzionale, con l’obiettivo di fornire servizi ecosistemici e attrarre la popolazione di Imola e dintorni. Un elemento chiave della proposta è un percorso pedonale sopra gli argini delle casse, collegato a percorsi ciclabili, che, insieme a ponti, torri di osservazione e piattaforme, incentiva la mobilità lenta e la fruizione del paesaggio. La proposta tiene conto della nuova morfologia del sito, formatasi con le estrazioni degli anni 2000, adattando il progetto ingegneristico originale (degli anni ‘90) alle attuali condizioni senza ulteriori scavi. Nella proposta, le casse mantengono la loro funzione idraulica, ma vengono ripensate in termini paesaggistici. Il bacino sulla sponda sinistra sarà trasformato in un prato stabile permanente, resiliente ai depositi di fango lasciati dalle piene. Il bacino di destra, a monte, diventerà una foresta igrofila che rallenterà il flusso d’acqua, prevenendo l’accumulo di sedimenti e migliorando la stabilità del terreno. Il bacino finale, sulla sponda destra a valle, è il più complesso perché caratterizzato da una morfologia irregolare derivata dalle fasi di estrazione (pre-scavo, escavazione attiva, “ritombamento” e abbandono del sito). L'area più depressa (abbandono del sito) verrà scavata per creare nuovi canali e bacini di sedimentazione, rivelando la falda freatica. La seconda area (escavazione attiva) subirà un intervento minimale che sposterà i cumuli di materiale creando una nuova microtopografia. Nella terza (“ritombamento”) verranno creati nuclei vegetativi per promuovere la rigenerazione naturale della vegetazione e verrà creata una frattura che permetterà all’acqua di scorrere da sud a nord. Infine, l'area pre- scavo verrà trasformata in un bacino idraulico che mostrerà gli strati di ghiaia originali.
Questo modello, oltre a essere applicabile ad altre casse previste dal Piano Stralcio, propone un approccio flessibile per la gestione dei siti estrattivi lungo i corsi d’acqua. La strategia affronta la crisi idrica, promuovendo la circolarità, riducendo l’impatto ambientale, sensibilizzando la comunità locale sui processi idraulici ed ecologici e rafforzando il legame con l’ambiente naturale. Questo lavoro evidenzia quindi l’urgenza di una gestione idraulica efficace e il ruolo centrale che gli architetti del paesaggio possono rivestire nell'affrontare tali sfide.
Dott. Daniel Marusig
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dottorato di ricerca in Ambiente e Vita
Validation of Practices to Optimize the Production of Protein Crops in Organic Systems
L’incremento della popolazione mondiale e la riduzione del rendimento delle colture a causa del cambiamento climatico suscitano crescenti preoccupazioni in tema di sicurezza alimentare. Per affrontare la crescente pressione sul sistema alimentare, sono necessari approcci innovativi e sostenibili. Tra questi, è necessario un cambiamento nelle abitudini alimentari attuali, integrando più fonti vegetali nell’apporto proteico della nostra dieta. Questo cambiamento è definito “transizione proteica”.
La transizione proteica richiede un incremento nella quantità di superfici coltivate e nella produzione di colture proteiche. Data la maggiore resa economica delle colture attualmente più diffuse (cerealicole e oleaginose) rispetto alle colture proteiche minori, gli agricoltori non sono propensi ad adottare sistemi produttivi alternativi. Nonostante ciò, l’adozione di colture minori ha un ruolo cruciale per la diversificazione dei sistemi agroecologici e la promozione dei servizi agroecosistemici, contribuendo alla sostenibilità e alla resilienza degli ecosistemi agricoli.
L’adattabilità di queste colture minori deve essere ancora investigata per molte zone pedoclimatiche, specialmente nella regione Friuli-Venezia Giulia. In questa tesi sono illustrate un insieme di prove sperimentali volte a validare le pratiche di ottimizzazione della produzione di colture proteiche in agricoltura biologica, nella regione Friuli-Venezia Giulia. È stata valutata la prestazione di una serie di colture coltivate in regime di agricoltura biologica, una delle strategie di maggior rilievo nel quadro della Politica Agricola Comune dell'Unione Europea (UE), finalizzata non solo a garantire un mercato alimentare sicuro e accessibile per agricoltori e consumatori, ma anche a promuovere l'agricoltura sostenibile.
Le specie studiate sono cece, favino e lenticchia, colture ancora poco diffuse nella regione FVG. Data la poca conoscenza delle prestazioni di queste colture nella regione d’interesse, sono state predisposte una serie di prove sperimentali finalizzate a valutarne l’adattabilità in termini di stress idrico e termico, bassa fertilità dei suoli e resa in granella e proteina, valutando inoltre l’irrigazione e la consociazione tra colture come strategie di ottimizzazione per incrementare la resa e la produzione proteica. La ricerca agronomica di campo è stata inoltre affiancata dell’utilizzo di tecnologie di telerilevamento per agricoltura di precisione al fine di monitorare le prestazioni delle colture e implementare modelli di classificazione machine learning Random Forest.
Dott. Michele Ravaioli
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
Corso di Laurea in Geografia e Processi Territoriali
Altri ordini sociali, giuridici e politici.
I domini collettivi nel XXI secolo tra aggregazione comunitaria e coscienza ecologica.
Un viaggio tra le comunanze agrarie umbre di Massa Martana, Viepri, Colpetrazzo, Mezzanelli e Bagnara
Il presente testo approfondisce il fenomeno dei domini collettivi italiani, quali forme tradizionali di gestione comunitaria del territorio, le cui origini derivano da fondazioni giuridico-antropologiche basate sul primato della terra e della comunità (Grossi, 1990).
Il contributo propone un’analisi critica della proprietà collettiva e delle sue istituzioni comunitarie, nel tentativo di analizzarne la governance territoriale. In particolare, la presenza di comunità montane che nel corso dei secoli hanno prodotto un proprio ordinamento giuridico, coesistente con quello statuale e composto da fondazioni socio-antropologiche, pratiche e consuetudini antiche ispirate ad un modello di società comunitaristico e reicentrico, evidenzia il carattere giuridicamente pluralistico dello spazio sociopolitico italiano. Pertanto, l’analisi mette in dialogo le peculiarità empiriche di tali istituzioni collettive con il concetto di pluralismo giuridico, nel tentativo di valutarne le positività sociali, ambientali ed etiche.
Alla luce della contemporanea crisi socioecologica (Khotari et al., 2019), risulta cruciale valorizzare tali esperienze di autogoverno, foriere di alternative allo sviluppo capitalista estrattivo, in relazione alla duplice funzione di difesa ecologica e di aggregazione del tessuto comunitario che svolgono.
Attingendo dai casi studio delle Comunanze Agrarie di Massa Martana, Viepri, Colpetrazzo, Mezzanelli e Bagnara, il testo mira ad approfondire le implicazioni derivanti dall’implementazione di rapporti di proprietà collettiva, in connessione alle funzioni e ai ruoli che oggi caratterizzano tali istituzioni. Infatti, pur avendo tendenzialmente trasformato le proprie attività in relazione ai tempi mutati, essi mantengono tuttora un ruolo centrale in seno alle comunità locali, dimostrando resilienza ai cambiamenti e capacità di agire tanto come volani di uno sviluppo eco-compatibile quanto come baluardi ecologici e forze coesive aggreganti la comunità. Pertanto, inquadrare i domini collettivi come spazi del possibile, come punti di partenza da cui immaginare potenziali futuri desiderabili, potrebbe rivelarsi una modalità creativa di affrontare le sfide della contemporaneità.
Dott. Matteo Spinelli
UNIVERSITÀ CA' FOSCARI VENEZIA
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Ambientali
Sostenibilità nel campo dell’edilizia: analisi critica dell’implementazione dell’obiettivo “Economia Circolare” richiesto dalla Tassonomia Europea e per il rispetto del Principio DNSH attraverso il caso studio di una ricostruzione di un edificio scolastico
Il lavoro di tesi è focalizzato sulla valutazione della sostenibilità nel campo dell’edilizia, in particolare per quanto riguarda l’applicazione del principio “Do No Significant Harm” (DNSH) nei progetti nazionali finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Questo principio, visto in un’ottica di integrazione con i Criteri Ambientali Minimi (CAM), è di fondamentale importanza, in quanto prerogativa per accedere ai fondi del Dispositivo di Ripresa e Resilenza, e prevede che tutti gli investimenti proposti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non arrechino nessun danno significativo all’ambiente.
La metodologia di lavoro ha previsto un’analisi dello stato dell’arte a partire dalle principali tappe normative e dai regolamenti, dal livello internazionale a quello nazionale, che hanno portato alla nascita del Principio “Do No Significant Harm” (DNSH). Inoltre, sono state analizzate le linee guida nazionali e internazionali disponibili per l’applicazione del principio DNSH nel campo dell’edilizia.
Dal momento che la Guida Operativa messa a disposizione dal Ministero dell’Economia e delle Finanze riporta esclusivamente principi generali per l’applicazione del principio DNSH, è stata identificata la mancanza di una procedura operativa che i consulenti possano seguire per dimostrare il rispetto al principio. Per tale ragione, la parte sperimentale ha riguardato la messa a punto di una proposta di procedura per la stesura della relazione DNSH e della relazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) attraverso un caso di studio relativo alla demolizione e ricostruzione di una scuola nel vicentino (in collaborazione con la società Nexteco Srl presso cui è stato svolto un tirocinio extra-curriculare), ponendo in evidenza gli strumenti normativi e metodologici esistenti e le principali criticità. Inoltre, facendo riferimento al caso studio, un obiettivo specifico di questo lavoro è stato quello di realizzare un approfondimento sul criterio “Economia Circolare” e sulla Prassi di Riferimento (UNI/PdR 75:2020) che definisce una metodologia per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti, andando a valutare le modalità di applicazione e identificando eventuali complessità legate al quadro normativo attuale. La Prassi UNI risulta essere uno strumento fondamentale in quanto definisce le condizioni affinché il prodotto secondario abbia un mercato rispettando in questo modo i vincoli imposti dalla Tassonomia. Al fine di soddisfare il requisito richiesto dall’obiettivo Economia circolare, in fase ex-ante è stata calcolata la percentuale ipotetica di rifiuti diretti a riciclo che successivamente è stata confermata in fase ex-post mediante l’utilizzo di un esempio di documento trasporto rifiuti compilato con dati arbitrari, in quanto i dati reali potranno essere raccolti solo ad avvio effettivo del cantiere.
Dott. Pietro Spadaro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea in Scienze per l’Ambiente e la Natura
Un approccio dendroecologico per studiare gli effetti dell’aridità estiva in popolamenti subalpini di Vaccinium myrtillus L.
I cambiamenti climatici, al giorno d’oggi, sono un fenomeno riconosciuto globalmente; come in tanti ambienti, anche nell’ambiente alpino d’alta quota, hanno pesanti impatti.
Una delle conseguenze più importanti dei cambiamenti climatici è l’Artic Greening, ovvero l’espansione della vegetazione ad alte quote e latitudini, soprattutto imputabile a forme di crescita arbustive. La seguente tesi andrà a prendere in considerazione individui di Vaccinium myrtillus L. che crescono in brughiera alpina. Questi individui verranno sottoposti ad una condizione artificiale d’aridità, tramite un sistema di esclusione parziale delle precipitazioni. Gli effetti che questo disturbo ecologico produrranno verranno osservati e successivamente analizzati, tramite lo studio delle sezioni dei fusti degli individui.
Le sezioni verranno analizzate tramite il software ImageJ, in modo da poter osservare con precisione gli anelli d’accrescimento ed i singoli vasi xilematici. Dai risultati vediamo che i fattori dell’aridità indotta artificialmente e la densità degli arbusti nelle zone di analisi, sono entrambi fattori molto significativi e da essi dipendono le varie dinamiche ecologiche dell’ambiente di brughiera alpina.
Infatti, il nostro esperimento dimostrerà come, sì, l’esclusione artificiale delle precipitazioni ha effetti sulla vita degli individui di V.myrtillus, ma la tipologia d’effetto, in tutti i casi, dipende strettamente dalla densità arbustiva, che può incrementare o rallentare a seconda dei casi i tassi d’accrescimento degli individui.
Dott.ssa Zoe Dalla Nora
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura
Impatto di megaeventi musicali sulla vegetazione dunale naturale
Ponendosi la nuova domanda su quali possano essere gli impatti di eventi musicali che si svolgono fuori dall’area urbana, si è presa come caso di studio la spiaggia del Muraglione di Viareggio (LU) in cui, nelle date 2 e 3 settembre 2022 si è svolto il mega evento musicale ‘Jova Beach Party’. Nella spiaggia in questione, nel periodo tra il 2019 e il 2022, per via delle restrizioni legate all’emergenza COVID-19 e il conseguente divieto di frequentazione della spiaggia, si è iniziata a sviluppare la vegetazione del sistema dunale, riconducibile a 3 habitat di interesse comunitario (2110, 2120, 1210) e una prateria densa a dominanza esclusiva di Elymus farctus.
Attraverso un approccio BACI (Before-After-Control-Impact) si sono analizzati e confrontati i dati di campionamenti prima e dopo lo svolgimento dell’evento sulla vegetazione e sulla presenza di microplastiche nell’area di studio, con lo scopo di determinare come l’evento ha interferito con la stabilità dell’habitat. Nell’elaborato vengono analizzate le variazioni della vegetazione presente attraverso il calcolo dell’indice di dominanza di Simpson e ricchezza di specie e sulla quantità di microplastiche rinvenute nella stessa area nei due momenti.
I dati utilizzati in questo elaborato sono stati presi dallo studio del professor Bacaro G. e della professoressa Renzi M., entrambi docenti dell’Università di Trieste.
Dai risultati del confronto tra pre e post evento, per quanto riguarda la vegetazione, non risulta una significativa diminuzione delle specie presenti, questo anche grazie alle misure di mitigazione e conservazione integrale che hanno previsto la rimozione di Elymus farctus dalla zona che sarebbe stata più soggetta a stress antropico; diverso è il confronto con le microplastiche, i cui dati indicano un discreto aumento di queste nel campionamento successivo all’ evento.
Poiché il tema degli eventi musicali negli ambienti naturali è ancora un campo poco studiato, è stato utile poterne analizzare gli effetti per capire quali sono stati gli errori nella fase di organizzazione dell’evento, in modo che questi non vengano ripetuti nelle occasioni successive.
Dott.ssa Giulia Zanuttigh
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di laurea triennale in Scienze agrarie
Proposta di recupero delle superfici alpicolturali nell’area delle valli del Natisone attraverso la legge regionale 16 giugno 2010 n.10 (interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani)
L’estensione delle superfici prative e pascolive a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha subito una notevole diminuzione a causa di numerosi fattori, tra cui la diminuzione degli allevamenti zootecnici e la conseguente riduzione delle pratiche agricolturali. Questi fattori si riflettono anche su un cambiamento del paesaggio nelle zone montane e un cambiamento dei servizi ecosistemici erogati.
In seguito alla forte contrazione delle estensioni prative, la tutela di queste superfici ha assunto negli anni sempre più importanza a livello regionale, nazionale e europeo. La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ha pubblicato la legge regionale del 16 giugno 2010, n.10 (interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani) che prevede l’erogazione di contributi per gli interventi di ripristino e di mantenimento delle superfici.
Come esempio di best practice è stato analizzato il lavoro portato avanti dal Comune di Stregna e dall’associazione fondiaria della Valle dell’Erbezzo che mediante una cooperazione hanno completato il ripristino di oltre 40 ha utilizzando i contributi erogati dalla Regione.
Con delle elaborazioni sui dati del territorio delle Valli del Natisone si è voluta quantificare la riduzione delle superfici prative tra il 1950 e il 2023. È stato dimostrato che le cenosi prative sono diminuite dal 10,7% del territorio al 2,4% in poco più di settant’anni.
Analizzando l’applicazione della legge regionale si è voluto calcolare gli ettari delle aree prioritarie ripristinabili a cui è seguita un’analisi economica dei contributi che verrebbero erogati sul territorio procedendo con il ripristino delle superfici individuate.
Concludendo, si è voluto dimostrare come i cambiamenti delle pratiche agricolturali che sono avvenuti settant’anni fa hanno portato a numerose modificazioni, tra cui proprio la riduzione delle superfici prative e pascolive. Inoltre, si è voluto evidenziare come questi cambiamenti hanno avuto un impatto notevole anche sul paesaggio e sulla biodiversità.
Il ripristino delle superfici abbandonate e incolte è una delle prime azioni che possono essere fatte per ripristinare, anche se in maniera parziale, il paesaggio che caratterizzava i territori lo scorso secolo. In quanto il mantenimento delle superfici alpicolturali racchiude anche la coltura e le tradizioni legate ai territori.
Dott.ssa Emma Donadon - Dott.ssa Elisabetta Nascig
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea magistrale in Architettura
Paesaggio lagunare: Arte e villaggi per riabitare le campagne della bonifica friulana
L’elaborato si compone di un lavoro trasversale tra la scala territoriale, locale e architettonica, per proporre un modello di riqualificazione del paesaggio che tenga in considerazione tutte le peculiarità del territorio della Bassa Pianura Friulana. Partendo da un attento studio del contesto si vuole restituire una personale interpretazione, che metta in risalto gli elementi che lo contraddistinguono. In particolare, si vuole mettere
a confronto il disegno della maglia dei campi della campagna di bonifica, fortemente manipolato dall’uomo, con quello della morfologia lagunare, dettato dai tempi della natura. Si riconosce, nel disegno di suolo di questi elementi, un valore artistico.
Attraverso un processo di selezione, si individuano delle aree in cui agire. Nasce così un intervento di valorizzazione del paesaggio, che mira a dare unitarietà al territorio e al tempo stesso metta in risalto le sue peculiarità.
Con un’azione più mirata si vuole far rivivere gli argini e le zone della bonifica, proponendo un nuovo modo per abitare in prossimità della laguna. Questi territori stanno subendo il fenomeno della desertificazione e risulta necessario pensare ad un nuovo modo per far rivivere il territorio, recuperando anche il patrimonio edilizio rurale in stato di abbandono, per valorizzarlo e conservarlo.
Per ripopolare la laguna si pensa ad un insediamento a supporto di una casa colonica, che ospiti una comunità di persone che scelgono di vivere in collettività e che si prendano cura del sito, pensando ad un nuovo modellodi villaggio, che risponda alle esigenze del XXI secolo.
L’elaborato si struttura in 4 capitoli:
1. Mosaico di suggestioni
Viene effettuata un’attenta analisi del territorio attraverso raccolte dati e sopralluoghi, partendo da un approfondimento sulla laguna di Grado e Marano e sulla Bassa pianura friulana, evidenziando morfologia, conformazione e mettendo in risalto gli elementi che caratterizzano il paesaggio.
2. Ridare arte con l’arte
A partire dallo studio e la riscoperta delle opere di Giuseppe Zigaina, ci si propone di restituire nuovi punti di vista del territorio, mettendo in luce tematiche su cui riflettere. L’obiettivo è restituire visioni soggettive del paesaggio lagunare e rurale, che permetteranno di individuare le peculiarità del territorio, che saranno il punto di partenza per la progettazione.
3. Riappropriarsi della campagna
Il graduale spopolamento ha comportato anche all’abbandono dei manufatti rurali come casali e case coloniche. A partire da alcune fasi di selezione, si identifica una casa colonica, che ci si propone di riqualificare, in funzione di un nuovo modello insediativo che ci si propone di insediare per rispondere al fenomeno della desertificazione, ma che riesca a rispondere alle esigenze della società contemporanea.
4. Nuovo modello di coabitazione
A partire dalle premesse fatte si sviluppa un progetto per sviluppare una proposta per un modello di ecovillaggio, ponendo attenzione al tema dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e al recupero delle acque piovane. Tale villaggio si sviluppa in funzione della casa calonica, che viene riqualificata per soddisfare le esigenze del nuovo modello insediativo.
La mobilità all’interno del lotto viene impostata a partire dallo studio morfologico del territorio e all’interno della griglia che si viene a formare si inseriscono gli edifici comuni e i moduli abitativi.
Questi ultimi vengono disposti a ridosso dell’argine, appoggiandosi ad asso per godere di una vista privilegiata. L’argine, quindi, non diventa più un elemento divisorio fra la campagna e la laguna, ma diventa l’elemento di unione tra le diverse abitazioni.
Si conclude riportano delle linee guida, per permettere di riproporre la metodologia d’intervento anche in altre località rurali che sono soggette al graduale spopolamento e che rischiano di perdere la loro unicità.
Dott. Giovanni Barbera
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
Corso di laurea magistrale Chimica dell’Ambiente
Precipitazione di struvite da biomasse di scarto: un approccio circolare al recupero di nutrienti
Entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 10 miliardi, incrementando la produzione agricola del 70%, dei fertilizzanti dell’1,9% annuo e aumentando i rifiuti urbani del 70%. La produzione di fertilizzanti, pari a 275 milioni di tonnellate annue, utilizza principalmente fonti non rinnovabili di azoto e fosforo. Circa il 50% delle 20 milioni di tonnellate di fosforo estratte annualmente viene rilasciato negli oceani, mentre il 70% dell’azoto si perde nei corsi d’acqua e in atmosfera. Considerando gli attuali scenari geopolitici ed ambientali, è necessario gestire al meglio questi due elementi in modo da non alterare eccessivamente i loro cicli. Una possibile strategia è quella di recuperare N e P dalle biomasse di scarto. Lo studio ha visto la collaborazione di IREN spa: holding multiservizi che produce e eroga energia elettrica, teleriscaldamento, servizi idrici integrati e servizi ambientali di gestione dei rifiuti. Ha collaborato anche Biogas Wiptal srl, un moderno impianto situato a Vipiteno per la produzione di biogas da reflui zootecnici. Lo studio è stato possibile grazie ai progetti Nodes ed Econutri. Le biomasse studiate in questa tesi sono tra le più abbondanti e disponibili: i reflui zootecnici e la FORSU ovvero la frazione organica del rifiuto solido urbano. Questi scarti possono essere usati come substrato per la DA (digestione anaerobica), un processo biochimico in grado di convertire la biomassa in biogas, miscela di CH4 e CO2, e digestato ricco di nutrienti. Attraverso la DA si ottiene il digestato, che viene generalmente separato in frazioni solida e liquida, per semplificarne il trasporto, lo stoccaggio e l’eventuale smaltimento. Mentre la frazione solida può essere applicata come ammendante del suolo, la frazione liquida viene normalmente smaltita come scarto. Un approccio più sostenibile è il recupero dei nutrienti dalla frazione liquida tramite la precipitazione di struvite, un fertilizzante a lento rilascio con composizione NH4MgPO4·6H2O. Le condizioni di precipitazione di struvite dalla frazione liquida del digestato sono state ottimizzate per entrambe le biomasse. I risultati migliori sono stati ottenuti con un’ora di processo, pH=9 e rapporto molare N:P:Mg = 1:1:2. L’analisi elementare, XRD e FTIR hanno confermato l’alta purezza del prodotto ottenuto da entrambi i substrati. Le immagini SEM hanno evidenziato cristalli ortorombici puri con dimensione e morfologia omogenea, più grandi per la struvite da FORSU e più piccoli per quella da reflui zootecnici. Le principali differenze tra i due prodotti riguardano il contenuto di carbonio. La struvite da FORSU è classificabile come fertilizzante minerale (C< 3%), mentre quella da reflui zootecnici come fertilizzante organo-minerale (7,5-20 %C). Entrambi i prodotti hanno mostrato una lenta cinetica di rilascio del P in acqua e a diversi pH, condizione che favorisce l’assorbimento di fosforo dalla pianta e la riduzione di perdite di nutriente nell’ambiente. Inoltre, in questo lavoro sono stati testati dei pretrattamenti sulle biomasse con l’obiettivo di aumentare la solubilizzazione del fosforo dalla frazione solida e trasferirlo nella frazione liquida. Nella separazione solidoliquido del digestato, il fosforo organico si concentra nella fase solida (1:1=N:P) e, l’azoto ammoniacale nella fase liquida(>10:1=N:P). Si consideri che l’apporto di N:P richiesto dalle piante per le culture estensive deve essere circa 6:1. Questo squilibrio di P nella frazione liquida, oltre a non essere indicato alla pianta determina che per precipitare struvite è necessario addizionare elevate quantità di P sottoforma di reagente puro. Questo studio ha valutato e confrontato l’effetto di una miscela di cellulasi, emicellulasi e proteasi, volto alla degradazione della materia organica, e due tipi di enzimi per l’idrolisi del fosfato: fitasi e fosfatasi. Un altro pretrattamento studiato è la cavitazione idrodinamica, ovvero un pretrattamento fisico che porta alla frammentazione fisica della biomassa iniziale mediante la formazione e poi esplosione di microbolle di cavitazione. La combinazione di più trattamenti è risultata efficace nella solubilizzazione di P sottoforma di ortofosfato. Per quanto riguarda la biomassa di FORSU è stato registrato un incremento di rilascio del 50% di P disponibile, mentre per la biomassa letame-liquame si è registrato un incremento pari all’ 80%. Questi pretrattamenti studiati saranno testati con prove di DA in progetti di ricerca futuri.
In conclusione, la struvite ottenuta può essere commercializzata come fertilizzante minerale o organo-mineralecon differente cinetica di rilascio di P.
I risultati promettenti di questo lavoro porteranno le aziende ad adottare questo processo per purificare il refluo in modo da ottenere fertilizzante contenente P e N ricavato da biomasse di scarto.
Dott. Giulio Massaro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di laurea magistrale in Scienze Forestali e Ambientali
Studio di fattibilità per l’istituzione di un’area protetta per la tutela e la valorizzazione delle Dolomiti Pesarine in Friuli Venezia Giulia e in Veneto: l’ipotesi progettuale di un parco naturale
Nel contesto attuale della Strategia Europea per la Biodiversità al 2030 risulta prioritaria nella politica ambientale la considerazione dell’ampliamento della rete di aree naturali protette. L’obiettivo che si pone il lavoro è la redazione di un preliminare studio di fattibilità per l’istituzione di un parco naturale nel territorio delle Dolomiti Pesarine in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, presentando la proposta concreta di un eventuale Parco Naturale Regionale Dolomiti Pesarine, che coinvolga il territorio di nove Comuni (13442 ettari) e consideri anche l’aspetto complesso dell’interregionalità. Lo studio di fattibilità vuole rappresentare una base scientifica per eventuali decisori politici e stakeholder interessati alla proposta. L’idea nasce dalla volontà di tutelare e valorizzare il ricco patrimonio ambientale e culturale del territorio favorendo sviluppo economico e promozione sociale nell’ottica della sostenibilità ambientale, economica e sociale. L’ipotesi progettuale è accompagnata inizialmente da un inquadramento concettuale su politica, legislazione e pianificazione in tema di aree naturali protette, seguito da un inquadramento dell’area di studio sotto i numerosi aspetti - naturalistico-ambientali, storico-culturali e non solo - che la caratterizzano. La proposta è corredata da perimetrazione, rispettive cartografie e uno studio approfondito dei due siti Natura 2000 già esistenti nel territorio. Con la convinzione che la politica ambientale debba essere attuata attraverso una governance innovativa guidata da scienza e democrazia, lo studio di fattibilità riguarda aspetti naturalistico-ambientali e dell’opinione pubblica. In particolare, vengono analizzate le numerose cartografie disponibili di Carta della Natura dell’ISPRA come riferimento scientifico e vengono esplorate le opinioni della popolazione, degli attori locali, individuati da apposita stakeholder analysis, e degli esperti attraverso indagini in campo: n. 579 questionari e n. 66 interviste. I numerosi dati ambientali analizzati mostrano per il territorio una ricca diversità biologica in specie, habitat ed ecosistemi, ma anche geologica e paesaggistica, con un alto valore ecologico complessivo. La popolazione rispondente è in media propensa all’istituzione di aree naturali protette, anche se i residenti risultano più dubbiosi e diffidenti rispetto ai non residenti. La motivazione è riscontrabile in alcune questioni pratiche attuali che i residenti, in particolare gli attori locali delle attività agro-silvo-pastorali, si trovano a dover affrontare nella quotidianità e che spiccano come prioritarie nel contesto della tutela ambientale: attività venatoria e fauna selvatica, usi civici e proprietà collettive e aumento della copertura forestale. Altri punti di debolezza e minacce sono da affrontare nel percorso, con il sostegno di numerosi punti di forza e opportunità. L’istituzione di un nuovo parco naturale costituisce un’iniziativa di innovazione sociale come opportunità di sviluppo del territorio e, come tale, necessita di essere portata avanti da un serio processo partecipativo, che porti alla convergenza dei consensi. Questo lavoro ha solo iniziato il processo partecipativo.
Dott.ssa Martina Mercuri
UNIVERSITÀ DI PAVIA
Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per la Natura
Inquinamento da microplastica nelle biocostruzioni del polichete Sabellaria spinulosa (Annelida) dell’Adriatico meridionale: manipolazioni in vasca
La mia tesi si è focalizzata sul potenziale accumulo di microplastiche all’interno delle biocostruzioni arenacee edificate in ambiente litorale dal polichete sedentario Sabellaria spinulosa (Leuckart, 1849). Il sito campionato è quello di Torre Mileto (promontorio Garganico, Puglia), lungo la costa Adriatica meridionale. Lo scopo è stato quello di indagare se e in quale modo le microplastiche venivano inglobate all’interno delle biocostruzioni tramite la manipolazione in vasca di alcune porzioni di biocostruzione prelevate in ambiente naturale. I dati ricavati sono serviti per fare delle considerazioni su come questo inquinante si può accumulare nell’ecosistema biocostruito da policheti nell’ambiente marino costiero. Sebbene esistano studi sulla potenziale pericolosità delle microplastiche per diverse specie marine, la loro interazione con i policheti sabellariidi risulta ancora inesplorata e questa tesi rappresenta il primo studio di manipolazione in vasca.
L’esperimento è stato condotto presso il Laboratorio di Micropaleontologia – Foraminiferi del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente, dell’Università di Pavia, durante lo svolgimento del mio tirocinio curriculare. Una volta prelevate in ambiente, le piccole biocostruzioni sono state fatte crescere per 28 giorni in acquario, introducendo, insieme al sedimento, microplastiche in PET azzurro in quantità nota. Poiché è noto che questi policheti catturano i granuli per biocostruire i tubi arenacei nei quali vivono solo quando percepiscono che il sedimento è in sospensione durante le tempeste, è stato necessario munire le vasche con un sistema di areazione che mettesse in sospensione il sedimento simulando questo processo naturale per circa 2 ore al giorno. In dettaglio, sono state utilizzate due vasche riempite con acqua di mare artificiale: una di controllo (CTRL) e una di esposizione (EXP); ciascuna vasca era suddivisa in tre settori con all’interno 6 campioni di biocostruzione. Per facilitare il riconoscimento della parte di biocostruzione cresciuta in acquario rispetto a quella già presente in ambiente, è stato utilizzato del sedimento sabbioso di colore bianco. Passato un mese, sono stati prelevati circa 5 grammi di campione da ogni biocostruzione, separando la parte pre-costruita (PRE) da quella neo-costruita (NEO); i campioni sono stati trattati con perossido di idrogeno, in modo tale da rimuovere completamente il cemento organico e disgregare la biocostruzione.
Nei 12 campioni di residuo ottenuti, tramite l’utilizzo di uno stereomicroscopio, sono state identificate e conteggiate le diverse microplastiche classificandole per dimensione, colore e forma (fibra o frammento). Va specificato che sono state conteggiate come abbondanze assolute (numero di microplastiche per grammo secco di residuo analizzato) tutte le microplastiche, sia quelle in PET azzurro fornite durante l’esperimento, che quelle accumulate nel loro habitat naturale o derivate da contaminazioni successive in laboratorio.
I risultati mostrano che i campioni nella vasca di esposizione (EXP) presentavano abbondanze medie di 15,99 ± 6,619 Ng-1 (Media e Err. Standard) rispetto ai campioni di controllo (CTRL) dove le abbondanze assolute erano di un ordine di grandezza inferiore 2,006 ± 0,436 Ng-1 (Media e Err. Standard). La differenza tra le due vasche è risultata statisticamente significativa (test ANOVA) indicando che i policheti accumulano microplastiche durante il processo di biocostruzione. Tenendo poi conto delle porzioni neo-costruite (NEO) e pre-costruite (PRE), in ciascun campione si è potuto notare come nei campioni della vasca di esposizione EXP l’abbondanza assoluta delle microplastiche quantificate nella porzione NEO-costruita è risultata essere decisamente superiore rispetto a quella PRE-costruita, rispettivamente con valori di 28,713 ± 7,348 Ng-1 (Media e Err. Standard) contro 3,27 ± 1,79 Ng-1 (Media e Err. Standard). Anche in questo caso la differenza tra le due porzioni è risultata statisticamente significativa (test ANOVA). Per quanto riguardava invece i campioni provenienti dalla vasca di controllo (CTRL), l’abbondanza assoluta di microplastiche nelle due porzioni NEO e PRE presentava valori comparabili: nella porzione NEO l’abbondanza assoluta media è risultata di 2,37 ± 0,432 Ng-1, mentre nella porzione PRE è risultata di 1,642 ± 0,795 Ng-1 e la differenza tra i due è risultata non statisticamente significativa (test ANOVA).
In conclusione, questo studio ha dimostrato che le microplastiche presenti nel sedimento costiero possono effettivamente essere incorporate nelle biocostruzioni di Sabellaria spinulosa. Questo conferma la necessità di ulteriori ricerche sull’impatto delle microplastiche sugli ecosistemi costieri, e in particolare su quelli biocostruiti dai policheti, organismi che svolgono un importante ruolo ecosistemico, in quanto offrono habitat e cibo ad altri organismi marini, aumentando di conseguenza la biodiversità.
Dott.ssa Chiara del Fabbro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Influenze ambientali e comportamentali sulla probabilità di presenza e rilevamento dei mammiferi nel Carso Triestino
Nel corso dei campionamenti faunistici, la probabilità di rilevamento di una specie corrisponde alla probabilità di rilevarla quando questa è presente nell’area di studio. Nel caso di specie particolarmente elusive, quali i mammiferi, questa osservazione spesso fallisce ottenendo pertanto una falsa assenza che può avere effetti negativi sulla stima della distribuzione e abbondanza delle popolazioni. La probabilità di rilevamento può dipendere da vari fattori, tra cui l’abbondanza della specie e fattori ambientali, ma può altresì dipendere dal comportamento degli animali. In questo studio si ipotizza che alcune specie siano caratterizzate da individui audaci ed esplorativi, che hanno una maggiore probabilità di essere osservati/catturati rispetto a specie caratterizzate da individui più schivi. In particolar modo in questa tesi è stata esplorata la possibile correlazione tra il comportamento della specie e la sua probabilità di rilevamento. A tale scopo si è condotto un campionamento tramite l’utilizzo di fototrappole in 40 siti del Carso Triestino, ogni sito composto da un transetto di due fototrappole più attrattivo, distanti 100 m una dall’altra. Abbiamo raccolto dati di presenza/assenza e dati comportamentali su nove specie di mammiferi presenti nell’area di studio: Martes spp, gatto domestico (Felis silvestris catus), sciacallo dorato (Canis aureus moreoticus), tasso europeo (Meles meles), volpe rossa (Vulpes vulpes), cinghiale comune (Sus scrofa), capriolo (Capreolus capreolus), cervo nobile (Cervus elaphus) e ghiro (Glis glis). A partire dai dati raccolti è stata innanzitutto condotta un’analisi con modelli occupancy per stimare la probabilità di presenza e rilevamento di ciascuna specie e metterle in relazione alle caratteristiche ambientali e di campionamento. Successivamente sono stati quantificati alcuni tratti comportamentali per ogni individuo di ogni specie ed infine correlati alla probabilità di rilevamento. Quest’ultima è da intendersi come un’analisi esplorativa finalizzata alla stima preliminare della possibile relazione tra comportamento e probabilità di rilevamento. I risultati mostrano come la presenza di tutte le specie indagate è sottostimata, se non si tiene conto della probabilità di rilevamento. Inoltre abbiamo individuato alcune caratteristiche ambientali importanti nell’influenzare la probabilità di rilevamento e di presenza della maggior parte delle specie indagate. Il capriolo risulta la specie più rilevata sul Carso Triestino assieme allo sciacallo dorato, specie che recentemente ha fatto la sua comparsa in Italia e che si sta espandendo molto velocemente in tutta l’Europa sudorientale. Si conferma l’esistenza di eterogeneità comportamentale tra le diverse specie, in particolare: capriolo, cervo e cinghiale risultano essere le specie meno interessate e meno audaci nell’interazione con l’attrattivo. Sciacallo e tasso sono le specie più interessate e con maggior numero di interazioni con l’attrattivo, ma lo sciacallo risulta essere molto più titubante del tasso. Infine, la volpe rossa è poco audace, ma moderatamente interessata all’attrattivo. L’ipotesi che i tratti comportamentali potessero essere correlati alla probabilità di rilevamento della specie non è risultata statisticamente significativa ulteriori analisi con un campione di maggiori dimensioni sarebbero necessarie per giungere a conclusioni più definitive. In conclusione, la tesi ha contribuito a comprendere la distribuzione delle specie e associazione specie-habitat dei mammiferi sul Carso Triestino e a comprendere la variabilità comportamentale interspecifica in ottica di una possibile influenza sul rilevamento della specie.
Dott.ssa Annamaria Petrarca
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura
Paspalum distichum L.: caratteristiche, impatto e controllo. Un caso studio nella Riserva Naturale Regionale della Foce dell'Isonzo
La specie invasiva Paspalum distichum L. è una specie erbacea rizomatosa a diffusione mondiale;
si ritiene che sia nativa del Nord e Sud America da dove è stata importata solo successivamente in Asia ed in Europa. La sua prima segnalazione in Italia risale al 1870.
Presenta un’elevata capacità di riproduzione sia sessuale che vegetativa. È una pianta che cresce in ambienti umidi e periodicamente sommersi. È presente anche in prati umidi disturbati da calpestio e sembra molto legata alla pratica del pascolo. Nonostante cresca in ambienti simili, ha bisogno di terreni ossigenati per prosperare e soffre in caso di sommersione prolungata. La sua diffusione è soprattutto legata all’uomo ma particolare rilevanza assume l’endozoocoria. È una specie conosciuta principalmente per l’impatto economico negativo recante alle culture in cui si diffonde, soprattutto nelle risaie, ma più in generale ha un impatto ambientale molto forte nelle aree umide.
Negli ultimi 10 anni P. distichum si è diffuso nelle zone umide adibite a pascolo della Riserva Naturale Regionale della Foce dell’Isonzo: il Ripristino della Marinetta, l’Area del Ripristino 2001-2002 ed il Pascolo del Biancospino. Queste aree sono le più frequentate dall’avifauna e dai cavalli. La recente espansione della specie invasiva ha portato ad una drastica modificazione della copertura vegetale di ampie superfici e ad una diminuzione della ricchezza in specie di queste aree, soprattutto nel Ripristino della Marinetta. Infatti, l’invasiva ha la tendenza a formare popolamenti mono e paucispecifici e a soppiantare le specie autoctone.
Su specifica richiesta della Riserva Naturale Regionale della Foce dell’Isonzo è stato realizzato uno studio su P. distichum, presentato in questo lavoro. Nell’elaborato si sintetizzano le conoscenze generali sulla specie, i suoi impatti economici, sociali ed ambientali e i possibili metodi di controllo; vengono inoltre presentati i dati di una prima campagna sperimentale di rilevamento della specie realizzata nell’area del Ripristino della Marinetta e possibili indicazioni per il controllo della specie nella Riserva.
Dott.ssa Giulia Piacente - Dott.ssa Giulia Toscano
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura
Da Waterscape a Nautopia: scenari di riscaldamento globale e storie di architettura, spazi e habitat radicali
Il lavoro di tesi parte da una riflessione sul riscaldamento globale e sulla sua manifestazione legata all'innalzamento delle acque. Sono stati delineati quattro scenari con diversi stadi di innalzamento partendo dai “possibili futuri climatici” dell’IPCC. Di fronte a queste previsioni di un processo irreversibile, si è voluto esplorare l’opportunità di trasferire la popolazione sull’acqua. L'approccio per fasi mostra l'evoluzione nel tempo del progetto che si adatta al progressivo incremento e una localizzazione specifica aiuta a comprenderne l'impatto a una scala diversa da quella globale. L'analisi è stata supportata da quattro riferimenti progettuali per comprendere il dimensionamento e i punti di forza della comunità galleggiante. La scala scelta è quella del villaggio, legata all'economia agricola e produttiva, con una capacità massima di 2000 persone, replicabile e indipendente. È stata definita una matrice per garantire l'autosufficienza alimentare, idrica, energetica e lo smaltimento dei rifiuti zero waste, partendo dai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'Agenda 2030. Calcolando per ogni categoria il fabbisogno pro capite annuo e l’estensione del sistema di riferimento scelto, si è ottenuto un primo dimensionamento del progetto, che prende il nome di Nautopia. La struttura principale del villaggio è galleggiante, semisommersa, può immergersi in caso di maltempo ed è circondata da un atollo artificiale che attenua l'impatto delle onde. Nel piano subacqueo la griglia di distribuzione permette gli spostamenti orizzontali, presenta delle irregolarità per limitare o ampliare gli spazi ed è dotata di due assi principali che collegano direttamente il mercato, l'edificio del commercio e il centro culturale. Questa distribuzione subacquea mantiene libero il piano emerso per la navigazione. Il passaggio a quest’ultimo avviene tramite gli slot di ancoraggio delle case e degli edifici pubblici, che attraverso delle pedane elevatrici permettono gli spostamenti verticali e che forniscono energia, acqua e sistemi di scarico. Giulia Piacente · Giulia Toscano Al piano emerso si trovano le vasche di piscicoltura e delle 3D ocean farming, mentre i prodotti di origine vegetali vengono coltivati all’interno delle vertical farm. Il sistema energetico combina solare, eolico ed energia del moto ondoso per massimizzarne l'efficienza. Conclude il lavoro di tesi un omaggio a Superstudio che immagina un futuro dove l'uomo nudo è anche liberato dalle sovrastrutture culturali e sociali, portando a riflettere sulla condizione umana e sul ruolo della tecnologia nella vita quotidiana. L'inadeguatezza umana all'ambiente naturale ha guidato il progresso tecnologico ma ha contribuito al riscaldamento globale. La carenza d’immaginazione ambientale di fronte alla sua manifestazione ha portato ad adottare l'approccio del "what if" per configurare nuove forme di vita sul pianeta, offrendo una narrazione al di là dei limiti convenzionali e senza paura della scala globale.
Dott. Alessandro Sicali
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale Economia Ambiente e Sviluppo
Sviluppo sostenibile e transizione energetica in Friuli Venezia Giulia
La presente tesi magistrale esplora lo sviluppo sostenibile e la transizione energetica nella regione Friuli Venezia Giulia (FVG), un territorio che rappresenta un microcosmo delle sfide e delle opportunità globali legate alla sostenibilità. La tesi si basa su una domanda di ricerca centrale: in che modo il Friuli Venezia Giulia può consolidare il proprio ruolo come modello di sviluppo sostenibile nel panorama nazionale, bilanciando gli aspetti naturalistici, ambientali, economici e sociali?
La ricerca adotta un approccio interdisciplinare, analizzando il valore ambientale del FVG in relazione alle politiche globali, nazionali e regionali. Partendo dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dai suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), con particolare attenzione al Goal 7, "Energia pulita e accessibile", si delinea un quadro completo dello stato dell’arte e delle strategie applicate. La metodologia comprende un’analisi di indicatori statistici (Istat-SDG, ASviS, BEST) e strumenti normativi, accompagnata da una SWOT analysis per evidenziare punti di forza, debolezze, opportunità e minacce.
I risultati mostrano che il Friuli Venezia Giulia dispone di un ecosistema favorevole alla transizione sostenibile grazie alla sua diversità ambientale e alla presenza di un consolidato know-how energetico e tecnologico. Tra i punti di forza si evidenzia l'adozione di strategie regionali mirate, come la Strategia Regionale di Sviluppo Sostenibile, e l'investimento nelle energie rinnovabili, con una crescente quota di produzione da fonti idriche e solari. Tuttavia, tra i punti di debolezza emerge uno stato di avanzamento complessivo del Goal 7 inferiore rispetto alla media nazionale italiana. Ciò è imputabile a una quota ancora ridotta di energia prodotta da fonti rinnovabili rispetto agli obiettivi regionali e nazionali, nonché a un'efficienza energetica stagnante, che pone il FVG in ritardo rispetto ad altre regioni italiane. Ulteriori criticità includono un utilizzo insufficiente degli indicatori specifici per monitorare i progressi e una governance energetica frammentata, che limita l'integrazione delle politiche e l’efficacia degli interventi. Le opportunità includono il potenziale per rafforzare la cooperazione transfrontaliera con paesi vicini, come Croazia e Slovenia, per progetti condivisi quali la North Adriatic Hydrogen Valley, nonché la possibilità di attrarre investimenti attraverso il potenziamento di tecnologie verdi e incentivi alla ricerca. Infine, le minacce derivano dalla dipendenza da fonti energetiche esterne, dalla vulnerabilità agli impatti del cambiamento climatico e dalla necessità di adeguarsi rapidamente a normative sempre più stringenti in ambito ambientale.
In conclusione, il Friuli Venezia Giulia si configura come un territorio con un significativo potenziale di crescita nel campo della sostenibilità energetica, ma deve colmare il divario rispetto alla media nazionale attraverso un rafforzamento delle sinergie tra politiche locali, nazionali ed europee. La ricerca sottolinea come il successo di questa transizione non solo possa migliorare il benessere regionale, ma anche offrire un modello per altre aree con simili caratteristiche territoriali e sfide.
Dott. Andrea Fulaz
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea in Scienze Agrarie
La gestione degli organismi nocivi da quarantena prioritari: il caso di Popillia japonica in Friuli Venezia Giulia
I fitofagi alloctoni rappresentano spesso un grave problema negli areali di nuova introduzione: per tale motivo, la legislazione fitosanitaria ha stabilito regole ben precise per prevenirne l’introduzione, rallentarne la diffusione e, se possibile, eradicare i nuovi focolai.
Tuttavia, nonostante la capillare attività di prevenzione e di sorveglianza del territorio, non è infrequente rinvenire nuove specie in aree precedentemente indenni.
A tal proposito, un caso recente e di rilevante importanza è il ritrovamento di un nuovo organismo nocivo all’interno dei confini della Regione Friuli Venezia Giulia. Si tratta di Popillia japonica, un Coleottero alloctono inserito dall’Unione Europea nella lista dei venti organismi nocivi da quarantena prioritari.
L’obiettivo di questa tesi è primariamente l’analisi e il monitoraggio del focolaio mediante la raccolta, l’elaborazione e la rendicontazione dei dati biennali relativi alle misure fitosanitarie applicate nell’area delimitata, fortunatamente poco estesa e dai confini ben definiti. Inoltre, la ricerca della letteratura scientifica annessa e la comparazione delle informazioni già disponibili con l’unicità del caso ivi trattato avrà lo scopo di verificare l’efficacia delle misure sinora condotte e consentirà di avanzare ragionevoli ipotesi sui possibili scenari futuri.
La particolare morfologia del territorio ha comportato non poche difficoltà, ed ha imposto la ricerca di soluzioni su misura per l’attuazione degli interventi finalizzati all’eradicazione di Popillia japonica.
Infatti, la pianificazione e la successiva attuazione del piano di eradicazione si sono basate su un approccio incisivo verso l’organismo nocivo, ma al contempo attento nel preservare e tutelare il più possibile la biodiversità, senza peraltro condizionare la spiccata attività turistica della zona.
Fortunatamente, il confronto tra i dati raccolti nel 2023 e nel 2024, ha rivelato la buona efficacia delle azioni attuate e ha confermato il corretto funzionamento delle misure di eradicazione, poiché il monitoraggio degli individui adulti ha permesso di stimare una popolazione effettiva decisamente contenuta rispetto al valore previsto nel caso dell’assenza di interventi fitosanitari.
Le attività di monitoraggio ed eradicazione dovranno tuttavia proseguire attivamente fintanto che la presenza dell’insetto all’interno del focolaio non sarà azzerata: un allentamento prematuro delle misure – così come l’inosservanza delle stesse o l’adozione di comportamenti scorretti – potrebbe infatti portare ad un’espansione e ad una diffusione incontrollata dell’organismo nocivo, con pesanti ricadute sul paesaggio e sulle produzioni agricole.
A tal riguardo, comunicare e sensibilizzare la collettività in merito all’emergenza fitosanitaria in corso è una prerogativa fondamentale per agevolare l’eradicazione di P. japonica dal territorio del Friuli Venezia Giulia.
Dott.ssa Arianna Del Pino
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Agrarie
Cambiamenti climatici ed espansione degli arbusti nani sulle Alpi: studio dendrocronologico di specie casmofite
Negli ambienti alpini il cambiamento climatico procede più rapidamente, rispetto alle altre zone. Si stima che le temperature medie siano aumentate di circa 2 °C (Elkin et al. 2013), provocando impatti notevoli sugli ecosistemi. Una delle problematiche dovute alla crisi climatica, nelle zone montane, è l’espansione degli arbusti, i quali modificano la propria forma di crescita e si sviluppando a quote sempre maggiori (Myers-Smith et al. 2011). La principale conseguenza di questo comportamento è la riduzione della biodiversità (Pajunen, Oksanen, e Virtanen 2011), perché le specie che si sviluppando ad elevate altitudini subiscono una riduzione degli habitat. Lo studio mira a ricercare le relazioni presenti tra la crescita annuale della specie casmofita Atadinus pumilus e parametri climatici, quali temperature medie, precipitazioni e precipitazioni nevose. La specie presa in considerazione appartiene alla famiglia delle Rhamnaceae, è un basso arbusto che cresce in ambiente alpino e subalpino, su rupi e ghiaioni calcarei e dolomitici, tra i 1200 m s.l.m. e i 2500 m s.l.m., in zone esposte al sole. L’area di studio comprende le Alpi e Prealpi della regione Friuli Venezia-Giulia, i campionamenti sono stati effettuati in 10 località. Sono stati prelevati 19 campioni con un gradiente altitudinale totale di 600 m. Attorno ad ogni campione è stato effettuato un rilievo vegetazionale, su un’area di 3 m2. Successivamente sono state effettuate le analisi dendrocronologiche e statistiche. Dai risultati ottenuti è possibile comprendere come il clima, negli ultimi decenni, abbia subito delle variazioni significative, con un notevole aumento delle temperature e con conseguente diminuzione delle precipitazioni nevose. Inoltre si è scoperto come l’innalzamento delle temperature medie causi un incremento della crescita della specie, mentre con l’aumento delle precipitazioni si riscontra un decremento dello sviluppo. Un aspetto interessante riguarda l’età cambiale, che risulta essere influenzata dalle variabili climatiche solamente durante i primi anni di sviluppo della pianta. Infine l’aumento della varietà floristica porta ad una diminuzione della crescita di Atadinus pumilus, a causa di una maggiore competizione.
Dott. Gabriele Mocchiutti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Architettura
Vipiteno: cinque punti per un museo sul margine
Da sempre luogo di transito, Vipiteno è diventata oggi una delle località più cara eristiche dell’ Alto Adige. Piccolo ma estremamente turistico borgo montano incarna l‘aspe o di un luogo di passaggio ma al tempo stesso distante, un luogo radicato nelle sue tradizioni, un luogo che vive in simbiosi con il paesaggio e la natura, fa o di silenzi, e che sa trasme ere nostalgia. L’antico centro si sviluppa lungo un unica strada principale sulla quale si a acciano la Ci à Vecchia e la Ci à Nuova, separate dalla Torre delle Dodici, punto di riferimento della ci à. Quale potrebbe essere il modo per perme ere a chi vive questo posto di integrarsi nel territorio? Sarebbe possibile ricucire la periferia con il centro della ci à? Questa tesi mira, tramite l’archite ura, a dare una risposta a questa domanda a raverso un proge o per un museo di uso che perme a di integrare maggiormente l’abitato e l’ambiente montano. L’intento è quello di sperimentare una nuova forma di comunicazione che si integri maggiormente con il contesto, un incentivo per la rinascita della ci à, contribuendo alla sua identità culturale e proponendo un modello di riqualificazione il cui principio possa essere riproposto anche in altri borghi montani.
Dott. Davide Mosanghini
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale in Analisi e Gestione dell'Ambiente
Greening delle vette alpine lungo un gradiente altitudinale: osservazioni di lungo periodo attraverso telerilevamento satellitare
I cambiamenti climatici sono la causa di impatti significativi sulla distribuzione della vegetazione nei biomi freddi del pianeta, in particolare nella tundra artica e alpina. Negli ambienti alpini, l’aumento delle temperature sta determinando la migrazione di specie e comunità vegetali verso quote più elevate, alla ricerca dell’optimum climatico per la crescita. Per descrivere questo fenomeno, che porta ad un progressivo aumento della copertura vegetale, è stato coniato il termine “greening”. Il presente lavoro ha studiato attraverso telerilevamento satellitare le dinamiche legate al greening in cinque regioni target della rete GLORIA (Global Observation Research Initiative in Alpine Environments) localizzate tra le Alpi e gli Appennini in Italia. Sono stati calcolati alcuni indici vegetazionali, tra cui NDVI (Normalized Difference Vegetation Index), per i mesi giugno-settembre dal 1985 al 2022, utilizzando immagini multispettrali satellitari Landsat 5 (1985-2011) e Landsat 8 (2013-2022) di ciascun picco montuoso studiato. Attraverso modelli lineari misti sono state analizzate le serie temporali degli indici vegetazionali calcolati e le relazioni con variabili meteo-climatiche quali temperatura e precipitazioni, derivate dai dati climatici CHELSA. Negli ultimi 37 anni si è registrato un aumento lineare dell’indice NDVI, ma con pendenze diverse in funzione delle fasce vegetazionali presenti lungo un gradiente altitudinale dal limite del bosco alla fascia nivale. Nello specifico, il coefficiente di crescita è diminuito gradualmente dal limite del bosco alla fascia nivale, con valori significativamente maggiori al limite del bosco, nelle fasce alpina inferiore e alpina rispetto alle fasce alpina superiore, subnivale e nivale. Inoltre, alle quote più basse l’indice NDVI è aumentato all’aumentare della temperatura, in maniera più marcata con precipitazioni abbondanti, mentre alle quote più elevate non è stato trovato alcun effetto diretto delle variabili meteo-climatiche analizzate. I risultati ottenuti, oltre a fornire un’ulteriore evidenza del greening in atto negli ambienti d’alta quota, mostrano che la vegetazione alle quote più basse sta rispondendo in maniera più repentina e marcata all’aumento delle temperature. Lo studio apre a diverse prospettive future, in primis quella di analizzare eventuali relazioni tra le serie temporali dell’indice NDVI e i risultati delle campagne di rilevamento GLORIA, al fine di approfondire i processi ecologici studiati in una prospettiva di upscaling a scala continentale.
Dott. Paolo Cingano
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Seagrasses on the move: tracing the multi-decades trends of lagoon meadows using a machine learning algorithm
Le lagune sono considerate tra gli ecosistemi più preziosi a livello globale grazie ai numerosi servizi ecosistemici che forniscono. Le significative variazioni ambientali cui sono sottoposte contribuiscono a creare un paesaggio a mosaico, formato da habitat fragili di primaria importanza. Tra questi le fanerogame marine rappresentano un comparto chiave dell’ecosistema, sostenendo numerose reti trofiche, rappresentando un pozzo per il sequestro del carbonio, e influenzando la dinamica dei sedimenti e dei nutrienti. Il loro funzionamento è intimamente legato alle dinamiche di risposta a fattori di disturbo delle lagune costiere, che si riflettono in rapidi cambiamenti nella distribuzione ed ecologia delle comunità vegetali. Inoltre, a causa dei forti gradienti ambientali, le lagune spesso ospitano praterie plurispecifiche di fanerogame marine, le cui dinamiche ecologiche rendono le risposte dell’habitat ai cambiamenti più complesse. Pertanto, un rapido e frequente monitoraggio delle comunità e delle singole specie è necessario per comprendere la risposta agli attuali cambiamenti globali a cui stanno andando incontro questi ecosistemi. A causa dell’intrinseca difficoltà di accesso e monitoraggio di questi ambienti, il telerilevamento satellitare mediante l’uso di sensori ad alta risoluzione e copertura temporale come quelli della missione Landsat, rappresenta uno strumento fondamentale per studiare in modo rapido e continuativo nel tempo le dinamiche delle comunità di fanerogame marine. Inoltre, l’integrazione di algoritmi di apprendimento automatico e nuovi approcci di classificazione delle immagini rappresentano strumenti promettenti per affrontare le sfide legate al monitoraggio di habitat complessi e dinamici come le praterie lagunari. In questa Tesi è stato utilizzato un ampio set di immagini stagionali multispettrali Landsat (dal 1999 al 2019) a cui è stato applicato un algoritmo di classificazione supervisionata Random Forest (RF) per (i) ottenere la mappatura dell’intera comunità di fanerogame marine e (ii) delle singole specie all’interno nella laguna di Grado e Marano (Nord Adriatico), (iii) e analizzare i cambiamenti della loro copertura in un periodo ventennale (1999-2019). I modelli di classificazione supervisionata RF sono stati costruiti con un ampio set di dati di allenamento raccolti in campo nel 2010 (n = 426) e nel 2019 (n = 156) e attraverso le bande multispettrali con risoluzione spaziale di 30 m dei sensori Landsat 5TM e Landsat 8OLI. Per ogni anno dal 1999 al 2019 è stata calcolata la copertura delle comunità di fanerogame marine a partire dalle immagini classificate, ed infine è stata testata l’esistenza di un trend temporale della copertura. Attraverso analisi geospaziali sono state valutate le aree in espansione, stabili e in regressione nel periodo temporale considerato. I risultati hanno evidenziato le potenzialità dell’utilizzo dell’algoritmo RF assieme all’inclusione di immagini stagionali per il rilevamento delle intere praterie a fanerogame marine e l’estensione dell’analisi su scala multi-decennale, ottenendo accuratezze complessive dal 78% al 92%. Nonostante le basse risoluzioni spaziali offerte dai sensori dei satelliti Landsat, tale approccio ha mostrato performance promettenti nella discriminazione delle singole specie raggiungendo accuratezze maggiori del 70%. L’inclusione nel modello di classificazione di fattori legati alle fluttuazioni ambientali intra-annuali dell'ambiente lagunare e sulla fenologia delle specie, potrebbe aumentare l’accuratezza della classificazione delle singole specie. In questo studio è stato possibile effettuare l’analisi dei cambiamenti ventennali delle intere praterie a fanerogame marine tracciando inoltre i movimenti delle singole specie nell’ultimo decennio. Ciò ha fatto luce su molteplici caratteristiche strutturali delle praterie e sulle ampie fluttuazioni a cui è soggetto questo ecosistema. Si è evidenziato che l’intera comunità a fanerogame marine si è espansa di 16.61 km2 all’interno della laguna con un tasso di incremento di 1.69 km2 anno-1 dal 1999 al 2019. Questo fenomeno potrebbe riflettere i processi di “marinizzazione” che stanno modificando radicalmente le lagune dell’alto Adriatico, sottolineando l’intima connessione tra fattori di disturbo dell’ambiente lagunare e le rapide risposte di ecosistemi chiave come le praterie di fanerogame marine.
Dott. Edoardo Asquini
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
Corso di laurea magistrale in Scienze e Gestione della Natura
Relazioni tra popolazioni di bombi e comunità vegetali in praterie secondarie lungo un gradiente altitudinale
I cambiamenti climatici sono una delle principali cause di perdita di biodiversità a livello globale. Per mitigare i loro effetti, è fondamentale sviluppare modelli capaci di prevedere l’impatto sui rapporti tra i livelli trofici. Questo studio analizza le interazioni tra le comunità vegetali dei prati stabili e gli insetti impollinatori, in particolare i bombi, lungo un gradiente altitudinale. L'approccio basato sui gradienti altitudinali è utilizzato come proxy per simulare l'innalzamento della temperatura
La ricerca è stata condotta in 25 prati stabili distribuiti lungo cinque transetti altitudinali, coprendo un gradiente di 1500 metri. Per ciascun prato sono state rilevate le specie vegetali e la loro abbondanza (copertura vegetale), mentre i bombi sono stati campionati pattugliando fasce di 100 metri per 60 minuti.
Le analisi mostrano che la diversità vegetale è principalmente influenzata dalla variabilità climatica legata alla quota, come evidenziato dalla relazione positiva tra ricchezza specifica, β-diversità e altitudine. In contrasto, la diversità dei bombi sembra non dipendere direttamente dalla quota, ma piuttosto dalla diversità vegetale. La relazione positiva tra l’evenness delle comunità vegetali e gli indici di α-diversità dei bombi suggerisce un feedback ecologico: comunità vegetali equamente distribuite favoriscono l’ingresso di nuove specie di bombi e contribuiscono a una maggiore equitabilità nella loro struttura.
Questi risultati sottolineano l'importanza di conservare gli habitat di prati stabili per garantire i servizi ecosistemici e confermano l’utilità dei gradienti altitudinali per studiare gli effetti del cambiamento climatico. In prospettiva, il cambiamento climatico potrebbe ridurre la diversità specifica e composizionale delle comunità vegetali, influenzando indirettamente i bombi attraverso queste modifiche.
Dott.ssa Lucrezia Pacorini
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Triennale in Scienze e Tecnologie per l'Ambiente e la Natura
Analisi della vegetazione e degli habitat dell'area umida residuale delle Sorgenti del Lisert (GO)
L'area delle Sorgenti del Lisert rappresenta uno degli ultimi lembi delle originarie aree umide che in passato si estendevano in tutta la piana monfalconese, in gran parte bonificate per motivi sanitari, agricoli ed industriali. Nonostante la stretta vicinanza con la zona industriale di Monfalcone, le piccole dimensioni e i vari interventi antropici effettuati nel sito stesso, esso ospita ancora degli habitat di notevole pregio naturalistico, alcuni dei quali rientranti tra gli habitat di Allegato I della Direttiva 92/43/CEE (nota come Direttiva Habitat), considerati dall'Unione Europea di elevato valore conservazionistico. È inoltre uno dei soli quattro siti noti al momento per l'ortottero endemico Zeuneriana marmorata, fortemente legato ai canneti costieri e che si reputava estinto fino a una ventina d'anni fa, quando venne ritrovato per la prima volta proprio nell'area delle Sorgenti del Lisert. Per questi motivi, il sito è stato ufficialmente proposto per l'istituzione di un biotopo. Questo lavoro offre un'analisi di dettaglio della vegetazione e degli habitat in esso individuati, con lo scopo di documentare il valore naturalistico dell'area delle Sorgenti del Lisert e supportarne il riconoscimento a biotopo, che ne garantirebbe pertanto la tutela ambientale. Dopo aver esposto la storia dell'area, dall'epoca del Lacus Timavi ad oggi, l'importanza delle aree umide a livello mondiale e dopo aver descritto brevemente le caratteristiche dell'area di studio, vengono riportati i risultati dell'attività di rilevamento svoltasi da marzo a settembre 2021, analizzando i vari habitat rinvenuti attraverso l'inquadramento della vegetazione in formazioni, tipologie Corine Biotopes della Carta del FVG 2017 e habitat di Allegato I della Direttiva Habitat. Infine, vengono discussi i principali fattori di criticità individuati nell'area e alcune proposte per la sua gestione, in modo da preservare questo sito ricco di biodiversità, che altrimenti rischia di scomparire.
Dott. Luigi Comelli
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di laurea in Tecnologie Forestali e Ambientali
Analisi dendrocronologica di Pinus nigra, Quercus spp. e Ulmus spp. presso la Riserva Naturale dei Laghi di Doberdò e Pietrarossa (GO)
Il Lago di Doberdò è uno dei pochi corpi idrici superficiali del Carso. Il Carso classico è un ambiente estremamente ricco in biodiversità, con una ampia varietà di specie e habitat, tanto da essere tutelato sia a livello nazionale che europeo, rientrando all’interno della Rete Natura2000. Il Carso però è un ambiente minacciato da vari elementi, spesso associati ai cambiamenti climatici, come l’arrivo di specie aliene, gli incendi o anche l’abbandono, e ciò che si sta facendo ora non è sufficiente a contrastarli, mettendone a serio rischio la conservazione. Questo studio mira ad analizzare l’influenza di variabili climatiche, quali precipitazione e temperatura, sugli accrescimenti di tre specie forestali caratteristiche di questo ambiente, oltre che all’approfondimento sulla risposta a due anni segnati da fenomeni di siccità e caldo.
Le tre specie scelte sono Pinus nigra, utilizzata in grande quantità per i rimboschimenti del secolo scorso, Quercus spp., facente parte delle formazioni tipiche del Carso, e Ulmus spp., specie tipica di ambienti umidi come questo. I campioni (carote incrementali) sono stati prelevati da 15 individui per specie. Dopo la misurazione degli anelli di accrescimento e la cross-datazione delle serie ottenute, sono stati rimossi i trend di medio-lungo periodo. Successivamente si sono eseguite delle analisi statistiche, calcolando la correlazione tra le cronologie detrendizzate e le variabili climatiche. Sono stati individuati due anni indicatori, individuati nel 2003 e nel 2022, di cui è stato calcolato l’indice di resistenza e, tramite test ANOVA e test post-hoc di Bonferroni, valutate le differenze nelle risposte delle tre specie.
Si è osservato che nel 2022 le piante hanno mostrato una maggiore resistenza rispetto al 2003, probabilmente a seguito di un periodo primaverile-estivo maggiormente secco nel 2003. Nel 2003 Ulmus spp. ha avuto una resistenza significativamente inferiore alle altre, dimostrando una maggiore sofferenza per i lunghi periodi di siccità, mentre nel 2022 P. nigra ha avuto una maggiore resistenza rispetto alle altre due, in quanto probabilmente ha saputo trarre beneficio dalle precipitazioni avvenute in tarda estate. La variabile climatica maggiormente influenzante è risultata essere la precipitazione. Si è dimostrato infatti che tutte e tre le specie abbiano correlazione significativamente positiva, anche per più mesi. P. nigra ha presentato valori significativi solo per i mesi estivi, mentre nelle due latifoglie si è evidenziato un'influenza che parte già in primavera, per concludersi in estate. In generale quindi, si delinea una sofferenza alla siccità estiva. Le temperature minime non presentano valori significativi, mentre quelle massime e medie presentano valori significativi e pressoché identici. Nel caso di queste due ultime variabili, nei mesi invernali la correlazione ha un andamento positivo mentre da inizio primavera fino a fine estate un andamento negativo. In tutte e tre le specie i periodi maggiormente significativi risultano essere quelli estivi, dove le alte temperature svolgono un ruolo importante nella diminuzione degli accrescimenti.
Possiamo concludere che tutte e tre le specie hanno risentito delle due annate estreme, anche se in maniera diversa. Si è ottenuto che la maggior influenza negativa sulle variazioni di incremento interannuali è dovuta alle basse precipitazioni e alte temperature del periodo estivo, soprattutto nel caso del P. nigra, mentre Quercus spp. e Ulmus spp. hanno dimostrato di saper trarre beneficio dalle precipitazioni primaverili. La scarsa resistenza a condizioni di siccità e alle alte temperature estive, sempre più frequenti, potrà portare queste specie al declino e a un futuro cambiamento dei boschi del Carso.
Dott. Luca Redivo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Drought tolerance and flammability of woody species from classical Karst
Negli ultimi decenni sono diventate evidenti le dirette conseguenze ecologiche del cambiamento climatico globale in atto. Tra le principali conseguenze vi sono l’aumento delle temperature superficiali medie, l’aumento della frequenza ed intensità delle ondate di calore e la variazione dei regimi di precipitazione. Le conseguenze dirette ed indirette di questi fenomeni sono state registrate negli ultimi decenni soprattutto negli ecosistemi forestali, dove è aumentato il numero di casi che riportano il disseccamento e la mortalità di numerose specie arboree. Una conseguenza di questi eventi è la massiccia produzione di biomassa secca che può portare ad una modifica dei regimi ed intensità con i quali gli incendi boschivi si manifestano.
Gli obiettivi di questo studio sono stati quelli di: (1) indagare le possibili cause che inducono al disseccamento e alla mortalità delle specie arboree considerate nello studio, (2) caratterizzare l’infiammabilità intrinseca della biomassa legnosa delle diverse specie indagate.
Lo studio è stato eseguito nell’area del Carso classico ed ha tenuto conto delle principali specie arboree presenti nell’area. Dalle nostre osservazioni è risultato possibile attribuire la causa del disseccamento registrato in campo alla vulnerabilità allo stress idrico caratteristico di ogni specie, mentre la vulnerabilità allo stress termico è apparsa meno importante. La caratterizzazione dell’infiammabilità specie-specifica ci ha permesso di produrre un indice sintetico che esprime la sicurezza associata ad una specie in funzione alla vulnerabilità agli eventi siccitosi e alle caratteristiche di infiammabilità della biomassa.
I risultati ottenuti da questo studio consentono di individuare delle specie che presentano una maggiore resistenza agli eventi siccitosi e che possiamo considerare “fire-safe” anche per le caratteristiche di infiammabilità dimostrate. Questi risultati possono rappresentare un punto di partenza per una migliore gestione forestale volta alla mitigazione del rischio di incendio nell’area di studio.
Dott. Nicola Boni
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di laurea in Scienze per l’Ambiente e la Natura
Effetti della sommersione sulla crescita di Amorpha fruticosa L. e possibili implicazioni sulle azioni di contenimento
La crescente diffusione di Amorpha fruticosa L., una specie aliena invasiva, rappresenta una seria minaccia per la biodiversità degli ecosistemi ripariali. La sua capacità di modificare il ciclo dell'azoto, la sua elevata competitività e il suo effetto allelopatico ne fanno una specie particolarmente difficile da gestire. La presente tesi indaga un nuovo approccio per il contenimento di A. fruticosa, focalizzandosi sugli effetti della sommersione sulla sua crescita e sulla sua risposta al taglio.
Lo studio è stato condotto nella Riserva Naturale della Foce dell'Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, dove A. fruticosa è ampiamente diffusa. Sono state confrontate due aree distinte:
- "Prato della Mandria" (M): corrispondente ad un prato golenale sottoposto a sommersioni saltuarie, principalmente durante le piene del fiume Isonzo.
- "Zona Sommersa" (S): corrispondente ad alcuni stagni all’interno del territorio Isola della Cona, caratterizzati da una sommersione prolungata.
In entrambe le aree sono stati campionati individui appartenenti a due classi di età ("giovane" e "vecchia") e sono stati analizzati diversi tratti funzionali della pianta, tra cui il numero di anelli xilematici, il diametro dei polloni, l'altezza degli individui e lo spessore medio degli anelli.
I risultati evidenziano che la sommersione prolungata ha un impatto significativo sulla crescita di A. fruticosa, manifestandosi in individui con minor spessore medio degli anelli rispetto alla zona soggetta a saltuarie sommersioni, ed altezza superiore. Questo risultato, sebbene possa apparire controintuitivo, potrebbe essere dovuto alla presenza di falsi anelli causati dallo stress da sommersione che rendono difficile la stima dell’età reale degli individui.
Nella zona soggetta a saltuarie sommersioni è stata osservata una correlazione negativa tra il numero di eventi di piena del fiume Isonzo e lo spessore medio degli anelli degli individui.
Lo studio dimostra inoltre che il taglio dei polloni, in combinazione con la sommersione, è associato ad una minor crescita del getto annuale. Inoltre, il taglio induce la produzione di foglie più tenere, potenzialmente più appetibili per i ruminanti, aprendo la strada a possibili strategie di controllo biologico.
In conclusione, lo studio fornisce nuove informazioni sull'ecologia di A. fruticosa e suggerisce nuovi potenziali approcci per la sua gestione. I risultati evidenziano l’importanza di investigare sull’efficacia dell’affiancamento di più disturbi, come la sommersione ed il taglio, per favorire una gestione più efficiente ed economica delle aree maggiormente invase da A. fruticosa
Dott. Riccardo Bergamin
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di laurea magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Analisi comparativa sull'efficacia di tre attrattivi per il monitoraggio dei mammiferi, un caso di studio condotto sulle comunità di mammiferi in Friuli-Venezia Giulia e Toscana
In questo studio abbiamo effettuato una analisi comparativa sull'efficacia di tre attrattivi per il monitoraggio dei mammiferi, attraverso un caso di studio condotto sulle comunità di mammiferi in Friuli-Venezia Giulia e Toscana. Gli attrattivi scelti sono stati sardine, burro di arachidi e un attrattivo spray commerciale. L'obiettivo principale era verificare se, e come, questi attrattivi potessero incrementare il tasso di rilevamento delle specie target, ottimizzando così lo sforzo di campionamento. Lo studio è stato condotto in 60 siti distribuiti tra l’altopiano carsico, le Alpi Friulane e i boschi di toscani di Vallombrosa e Le Carline, in cui sono state collocate le fototrappole con un protocollo che prevedeva quattro stazioni di fototrappolaggio per ciascun sito. Le specie monitorate includevano i seguenti mammiferi: volpe rossa (Vulpes vulpes), lupo (Canis lupus), tasso (Meles meles), cinghiale (Sus scrofa), capriolo (Capreolus capreolus), daino (Dama dama), gatto selvatico (Felis silvestris), sciacallo dorato (Canis aureus), lepre europea (Lepus europeaus), cervo nobile (Cervus elaphus), istrice (Hystrix cristata), scoiattolo rosso (Scirus vulgaris) e la faina/martora (Martes spp., non discriminata). Attraverso l'uso di modelli occupancy, multi-method, è stata stimata la probabilità di presenza e rilevamento delle specie in relazione ai diversi attrattivi impiegati. I risultati hanno mostrato che l'uso di attrattivi può incrementare il numero di rilevamenti, soprattutto per determinate specie come lo sciacallo, Martes spp e la volpe. Inoltre, lo studio ha evidenziato come ogni specie considerata abbia risposto in modo differente ai diversi tipi di attrattivi, suggerendo che la scelta dell'attrattivo giusto sia cruciale per ottimizzare il successo del monitoraggio.
Dott.ssa Ilaria Cunico
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Dottorato di ricerca in Civil, Environmental and Mechanical Engineering
Nonlinear dynamics of River biogeomorphic feedbacks
Rivers are amongst the most dynamic ecosystems on earth. River ecosystems are highly disturbed environments, where living organisms, such as riparian vegetation, interact with the surrounding environment, water and sediments, through non-linear positive and negative feedbacks. In the last two decades, it has been widely recognized that these eco-morphodynamical feedbacks play a crucial role in governing the equilibrium and dynamics of river ecosystem.
However, the incomplete understanding and quantification of these feedbacks limit our comprehension of river behavior and the development of efficient predictive models.
Thus, in this research, we model fundamental intrinsic feedbacks between riparian vegetation and hydro-morphodynamic disturbance, where the disturbance is generated by the vegetation itself. Our aim is to investigate how these intrinsic feedbacks govern the equilibrium and dynamics of a simplifiedriver ecosystem.
To this end, numerical simulations were conducted using both a non-spatial model (0D) and a spatial (1D) model coupling hydro-morphodynamics with vegetation dynamics. The case study is a straight channel where vegetation can growonly in the central patch, while on the sides there are bare riverbed regions.
The systemisperturbed periodicallyby a succession of floods of constant amplitude. Vege-tation growth occurs in between of two consecutive floods, during low flood periods. Vege-tation consists of two components, the above-ground biomass (canopy) and below-ground biomass (root depth). In both models, the canopy increases the roughness, reducing flow ve-locity. Variations in the flow field and the reduction of bottom shear stressmodify sediment transport,leading to a greater imbalance between thevegetated and bare areas and thus,in-ducing erosion. Erosion increases the probability of vegetation uprooting, and when scour reaches root depth, uprooting occurs. The overall feedbackloop is negative: higher vegetation biomass causes greater sediment flux imbalance and moreerosion, ultimately resulting in less vegetation.However, root growth may inhibit the negative feedback loop, promoting positive feedbacks. Indeed, this interplay between hydro-morphodynamic disturbance (erosion) and the vegetation resistance (root depth), governs the predominance of either a positive or a neg-ative feedback overall balance.
Model results demonstrate that when the positive feedback overall balance prevails, the system always reaches a stable configuration. Furthermore, the system can exhibit hysteresis, meaning that, depending on the initial condition, it can achieve a stable configuration in two alternative states, the fully vegetated condition or bare soil.
In the presence of the vegetated patch, the system can also exhibit a more complex multi-stable behavior, with infinite equilibria between the two alternative states. This also implies that spatial interactions smooth out critical transitions and tipping points, because shifts are more gradual with multiple smaller intermediate steps. Indeed, the resilience of the system, which is the ability of the system to still maintain its fundamental structure and functions after being subject to the ecological disturbance, increases due to spatial interactions.
In contrast, when the negative feedback overall balance prevails,the system never reaches a steady state but exhibits dynamic oscillations. The oscillations can be either (i) periodic or (ii) aperiodic, strongly dependent on initial conditions, and with a positive Maximum Lyapunov Exponent, indicating chaotic behavior. The study also reveals that the route to chaos is a
period-doubling bifurcation, and the calculation of time scale of predictability shows that the system is predictable only for a few growth-flood periods.
These results suggest that altering the ratio between hydro-morphodynamic disturbance and vegetation resistance, such as through anthropogenic pressure and climate change, may shift the system from a positive to a negative feedback overall balance. This shift could lead from a stable state to periodic oscillations or unpredictable chaotic behavior, limiting long-term predictions of river trajectories. Additionally, understanding how positive and negative eco-morphodynamic feedbacks govern river dynamics cancontribute todevelop efficient predic-tive models. Models areessentialtoolsforimplementing efficient restoration projects and facilitate effective communication with stakeholders.
Dott. Davide Longato
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Dottorato di ricerca in Civil, Environmental and Mechanical Engineering
Methods and Tools for Mainstreaming Nature-based Solutions in Urban Planning
L'obiettivo generale della tesi è quello di studiare, sviluppare e testare metodi e strumenti per promuovere l'integrazione delle Nature-based Solutions (NbS) nei processi e strumenti di pianificazione delle città. La tesi è strutturata intorno a tre obiettivi specifici.
Il primo obiettivo è quello di analizzare casi studio reali che hanno integrato con successo conoscenze e metodi relativi ai servizi ecosistemici (SE) nei processi di pianificazione. A tal fine, è stata condotta una revisione sistematica della letteratura scientifica per identificare ed analizzare casi studio in cui i SE sono stati integrati in processi e strumenti di pianificazione reali. Informazioni chiave relative all'integrazione dei SE sono state ricavate tramite un'analisi approfondita di ogni caso studio identificato, sia in termini di aspetti procedurali e strumentali legati alle politiche e agli attori, che di vantaggi, limiti e fattori abilitanti. Nel complesso, è stato dimostrato che l'integrazione di conoscenze e metodi relativi ai SE nei processi di pianificazione può favorire l’implementazione di NbS e un più efficace coinvolgimento di stakeholder con un alto grado di partecipazione e consapevolezza ambientale.
Il secondo obiettivo si focalizza sullo sviluppo e test di un approccio di pianificazione per selezionare e distribuire le NbS nelle città. L'approccio mira ad affrontare le maggiori sfide urbane massimizzando i benefici che i cittadini traggono dall'implementazione delle NbS e si basa sulla valutazione e mappatura spazialmente esplicita della domanda per i SE come informazione fondamentale. L'approccio è stato testato nel caso studio di La Valletta (Malta), combinando la mappatura della domanda di cinque SE chiave per quest’area con un sistema di punteggi che riflette la capacità di fornire tali servizi di undici tipologie di NbS. I risultati hanno confermato il potenziale dell'approccio nel supportare decisioni di pianificazione volte a prioritizzare sia i luoghi che le tipologie specifiche di NbS per fornire i SE maggiormente richiesti dai cittadini nelle aree urbane, sfruttando la loro multifunzionalità.
Il terzo obiettivo è quello di identificare quali strumenti possono essere adottati per promuovere l'implementazione di diverse tipologie di NbS nei piani urbani. Attraverso una revisione della letteratura scientifica e grigia, viene fornita una panoramica dei diversi strumenti che possono essere utilizzati per tale scopo in base alle applicazioni identificate in casi di studio reali. Questi strumenti includono strumenti normativi, strumenti basati su incentivi e strumenti informativi basati sul trasferimento di conoscenza. Successivamente, è stata analizzata l'idoneità di ogni strumento nel promuovere diverse tipologie di soluzioni. I risultati sono stati sintetizzati in una matrice che mostra quali strumenti specifici possono essere utilizzati per promuovere l'implementazione di ogni tipo di NbS considerato, fornendo così una base di conoscenza ed evidenza per supportare gli operatori del settore come pianificatori, funzionari pubblici e responsabili politici nella selezione degli strumenti più idonei in base alle diverse soluzioni che cercano di promuovere.
In sintesi, questa tesi esplora vari aspetti che devono essere considerati per l'integrazione delle NbS nei processi e negli strumenti di governo del territorio, dagli aspetti di pianificazione a quelli di attuazione, al fine di offrire una visione molteplice su come le NbS possono essere integrate, promosse ed implementate nelle decisioni di pianificazione.
Dott.ssa Dora Scarpin
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Dottorato di ricerca in Scienze e Biotecnologie Agrarie
Innovative technologies enabling plants to increase resilience as a pivotal feature in the conservation of agro-ecosystems
La crescita della popolazione mondiale, l'incessante attività antropica e i conseguenti cambiamenti climatici stanno causando danni significativi all'ambiente e ai sistemi agricoli, determinando problemi come l'aggravarsi degli stress per le piante, l'uso inefficiente delle risorse e l'alterazione generale delle interazioni tra gli organismi di un ecosistema.
Nell'ottica di una transizione ecologica, si stanno esplorando diverse strategie per sviluppare soluzioni sostenibili che possano garantire il mantenimento degli equilibri ecologici assicurando un'adeguata efficienza produttiva e un impatto limitato. In questo contesto, l'obiettivo della presente tesi è stato quello di sviluppare metodi innovativi che facilitino o monitorino la resilienza delle comunità vegetali, elemento cardine nella conservazione degli ecosistemi. La prima parte ha riguardato lo sviluppo di tecnologie impiegabili principalmente nel settore agricolo, mentre la seconda si è concentrata su sistemi applicabili nel contesto della gestione del territorio. L’interdisciplinarietà delle tematiche trattate evidenzia come la sostenibilità vada affrontata seguendo numerose strategie, le quali tuttavia sono tra loro intimamente collegate.
Inizialmente, si è cercato di sviluppare prodotti agronomici sostenibili a partire da materiali naturali, ottenuti attraverso l'economia circolare e funzionalizzati con molecole bioattive. Gli studi sono stati condotti sulla sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle di due diversi tipi: le prime, a base di chitosano, sono state utilizzate come vettori di specifiche sequenze di dsRNA per la difesa sostenibile delle colture dai patogeni fungini; le seconde, invece, fungevano da biostimolante e fertilizzante, essendo costituite da calcio-fosfato (CaP) combinate con sostanze umiche naturali.
Il secondo passo è stato quello di indagare il campo della fenotipizzazione delle piante come approccio innovativo per la gestione ed il monitoraggio di ecosistemi sia naturali che antropizzati. A tale scopo sono stati condotti due studi, utilizzando tecniche di imaging a diverse scale analitiche. In primo luogo, sono stati misurati i tratti morfo-anatomici delle foglie di quattro specie di Amaranthus attraverso dispositivi di acquisizione di immagini a scala reale e microscopica e successiva elaborazione con software. L'obiettivo era identificare le differenze tra specie in uno stadio giovanile, fase fenologica notoriamente difficile da analizzare, ma anche la più critica per la competizione tra diverse specie vegetali. In un secondo lavoro, il telerilevamento è stato utilizzato presso la laguna di Marano e Grado per correlare la risposta allo stress delle comunità vegetali con indici multispettrali. Impiegare le tecniche di imaging per rilevare l'effetto delle inondazioni nelle paludi salmastre si è rivelato essere un esempio di metodo innovativo per il monitoraggio ambientale che determinerebbe un notevole vantaggio in termini di tempo e risorse, e permetterebbe di ampliare enormemente le superfici oggetto di studio rispetto ai metodi convenzionali di laboratorio.
Entrambe le linee di ricerca, sebbene richiedano ancora molto lavoro per essere convalidate, meritano di essere sviluppate. La loro efficacia potrebbe essere migliorata combinandole, integrando pratiche complementari per un approccio multidisciplinare verso il medesimo obiettivo. L'innovatività di questi strumenti e la prospettiva olistica con cui utilizzarli permetterebbero di rivoluzionare la gestione sostenibile di diversi ecosistemi.
Dott. Andrea Fontanot
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura
Relazioni tra dinamica degli incendi e distribuzione delle specie aliene invasive: il caso studio del Carso Triestino
Nel corso degli ultimi decenni il cambiamento climatico si è manifestato sotto forma di un innalzamento della temperatura media globale, causando un aumento dello stress idrico che le piante sono costrette a sopportare. Questo deficit idrico rende le piante più vulnerabili agli incendi in quanto è stato provato che un insufficiente ammontare di acqua presente nelle piante rende la biomassa vegetale più facilmente infiammabile, rendendola il combustibile ideale per la propagazione degli incendi stessi. E’ un fatto assodato che il regime degli incendi, nell’ultimo decennio, ha visto crescere la frequenza e l’intensità di questi eventi, che, come nel caso di quelli che si sono verificati nel Carso Triestino e Goriziano nel corso dell’estate 2022, possono mettere a repentaglio vite umane e impattare in modo negativo la vegetazione delle aree colpite.
Un altro effetto che gli incendi hanno sulla vegetazione riguarda appunto la biodiversità. Infatti, gli incendi favoriscono la propagazione di specie aliene invasive a discapito delle comunità native delle zone impattate.
Partendo da questi presupposti, in questo lavoro di tesi sono stati analizzati gli effetti che gli incendi hanno sulla diversità vegetale del Carso Triestino e Goriziano, studiando, con particolare attenzione, la diffusione delle specie aliene invasive, ed in particolar modo della specie Ailanthus altissima, in relazione alla storicità degli incendi, analizzando un arco temporale che va dal 2008 al 2022.
Oltre ad un’analisi dei dati in ambiente GIS, si è realizzato un campionamento a terra che ha permesso di evidenziare, a seguito degli incendi più recenti, la comparsa di un elevato numero di individui di Ailanthus che, via via con il tempo e guardando alle aree incendiate meno recenti, costituiscono individui adulti in grado di arrivare a maturità riproduttiva e contribuire a diffondere semi nelle aree circostanti, aumentando così la diffusione della specie.
I risultati di questo studio, quindi, oltre a confermare la correlazione tra incendi e distribuzione delle specie aliene invasive, sono importanti poiché indicano la necessità di promuovere azioni immediate di monitoraggio, eradicazione e controllo di queste specie a seguito di impatti ambientali consistenti e la necessità di intervenire tempestivamente per ridurne gli effetti sulla biodiversità.
Dott. Raffaele Bruschi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Studi ecotossicologici e microbiologici in due grotte carsiche inquinate da idrocarburi (Trieste, Italia) finalizzati allo sviluppo di un protocollo di biorisanamento
L'inquinamento da petrolio è uno dei problemi ambientali più pericolosi e diffusi. Il petrolio è formato da un complesso di molecole di idrocarburi eterogenei, sia volatili che non volatili, e presenta un elevato contenuto di metalli pesanti. Una volta rilasciato nell'ambiente, può penetrare nel suolo e raggiungere le falde acquifere o legarsi alla frazione organica del suolo causando ingenti danni ecosistemici. Il Carso è un ambiente formato da rocce solubili quali marmo, calcare e gesso, questo rende l'ambiente carsico estremamente complesso dal punto di vista idrogeologico ed ecologico. L’acqua, entrando a contatto con queste rocce, forma grotte e doline che drenano le acque superficiali nel sottosuolo, creando veri e propri sistemi idrici come fiumi o laghi.
Nel mio progetto di tesi, ho campionato e caratterizzato dal punto di vista chimico, ecotossicologico e microbiologico due grotte, presenti nel carso Triestino (IT), inquinate da idrocarburi e metalli pesanti. In questo studio, l'approccio Before-After (Prima-Dopo) è stato utilizzato per dedurre la differenza di tossicità delle matrici inquinate Prima e Dopo una prova di biorisanamento. A livello ecotossicologico sono stati utilizzati indici integrati di pericolosità ambientale (TBI) e valori di Concentrazione Effettiva (ECx) per inferire sulla pericolosità ambientale
I due siti presi in esame sono risultati fortemente compromessi dal punto di vista ambientale, l’inquinamento è tale che le linee guida ISPRA suggeriscono di agire il prima possibile in ottica di risanamento. I seguenti organismi sono stati utilizzati per i saggi ecotossicologici: un batterio Aliivibrio fischeri, una microalga Raphidocelis subcapitata e due rotiferi Brachionus calyciflorus e Brachionus plicatilis. Le analisi chimiche hanno evidenziato un'elevata concentrazione di idrocarburi e metalli nei fanghi e negli strati acquosi presenti nei siti, superando di molto le soglie previste dalla legge. Dalle matrici inquinate nelle due grotte sono stati isolati 24 ceppi batterici. Il ceppo 17_L8 isolato dal punto 17_L2 è stato identificato metabolicamente con API 20NE ed è stato selezionato per eseguire un esperimento di biorisanamento. L'esperimento 1° è durato 34 giorni e l'esperimento 2° è durato 21 giorni, la crescita di 17_L8 è stata monitorata tramite le misurazioni della densità ottica con lo spettrofotometro. Dopo il test di biorisanamento, il saggio ecotossicologico condotto in After con Aliivibrio fischeri ha mostrato una riduzione dell'inibizione della bioluminescenza fino al 40%. Il processo di biorisanamento ha dato risultati promettenti per l'utilizzo di batteri isolati “in situ” come "biorisanatori".
Questo studio ha posto le basi per ulteriori ricerche nell’ottica di ottimizzare le condizioni di crescita e le popolazioni batteriche indigene in grado di mitigare un inquinamento carsico sotterraneo.
Dott.ssa Giulia Favero
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di Laurea magistrale in Biologia Evoluzionistica
Applicazione dell’Indice di Alloctonia (IA) ai macroinvertebrati dei corsi d’acqua del bacino del Fissero – Tartaro – Canalbianco – Po di Levante
In questo lavoro di tesi, l’obiettivo principale è stato quello di integrare i dati per la valutazione della qualità ambientale dei corsi d’acqua superficiali del Veneto, già raccolti seguendo le procedure previste dal D.lgs. 152/2006, con una valutazione di alloctonia per i macroinvertebrati.
Innanzitutto, è stata realizzata una ricerca bibliografica per individuare la presenza di organismi alloctoni nei corsi d’acqua della regione Veneto. Sono state consultate fonti di tipo faunistico, check-list della regione ed elenchi delle specie macrobentoniche aliene segnalate in Italia nelle acque dolci superficiali.
Una volta individuato il bacino idrogeografico di interesse (Fissero – Tartaro – Canalbianco – Po di Levante), si è passati allo studio dei campioni raccolti e forniti da ARPAV (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto) a partire dall’anno 2014. Sono quindi stati revisionati in laboratorio i campioni raccolti negli anni pregressi al fine di determinare, fino al livello di specie, gli organismi potenzialmente alloctoni.
Con i dati ottenuti, sono state svolte delle elaborazioni di tipo statistico per verificare l’impatto dei taxa alieni sulle comunità acquatiche.
Sono stati così confrontati due indici, l’indice STAR_ICMi attualmente in uso per indicare un giudizio di qualità ambientale, con l’Indice di Alloctonia (IA) proposto ed elaborato da M. Bodon et al. (ARPA Liguria, 2021).
Dalle analisi effettuate emerge con chiarezza che l’indice biologico STAR_ICMi non riflette adeguatamente la presenza e consistenza delle specie alloctone.
Sebbene sia stato dimostrato che non sempre le comunità biologiche siano alterate dalle specie alloctone, sarebbe comunque opportuno e importante integrare nel giudizio di qualità ambientale, un indice che rappresenti lo stato di naturalità della comunità. È bene tenere conto anche della presenza e diffusione delle specie alloctone, dato che purtroppo negli ultimi anni risultano essere sempre più ampie e un problema sempre più rilevante, che può influire sul cambiamento delle comunità e della rete trofica, compromettendo le varie nicchie ecologiche.
Dott. Aldo Bavagnoli
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura
La comunità batterica e le proprietà antimicrobiche del Taxus baccata L.
Le domande che mi sono posto: "Ci sono delle comunità microbiche specifiche sulla pianta del Taxus baccata L. ? C'è un effetto del principio della tassina su tali comunità microbiche?". Nella mia esplorazione bibliografica al momento non ho trovato alcun set di dati che avvalori l'ipotesi della specificità microbica su questo albero. Nonostante questo il Taxus pone delle sfide di tipo biotecnologico che si potranno risolvere nel futuro. Ritengo comunque soddisfacente ciò che ho scoperto e che ho raggruppato in questo elaborato, siccome il mio scopo era scoprire possibili proprietà antibatteriche possedute da questa specie. Sono infatti comunque presenti numerose attività antimicrobiche, antifungine e antiossidanti trovate e studiate su varie parti dell'albero. Le foglie in particolare sono state oggetto di studio di varie ricerche (Prakash et al., 2018; Benlembarek et al., 2021; Srinivasa et al., 2001), ma alcune si sono concentrate anche sulle proprietà antibatteriche del durame (Erdemoglu & Sener, 2000) e della rizosfera (Tayung et al., 2007), da quest'ultima sono riusciti addirittura ad isolare un batterio, Pseudomonas fluorescens, in grado di esibire attività antimicrobica contro vari batteri Gram-positivi e Gram-negativi selezionati, e anche contro un fungo patogeno (Candida albicans). Questi studi potranno portare in futuro allo sviluppo di nuovi antibiotici e nuove medicine per cercare di proseguire e vincere la lotta contro i batteri patogeni, sempre più difficile a causa della crescente antibiotico resistenza.
Dott.ssa Valentina Lupis
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea Magistrale in Analisi e Gestione dell'Ambiente
Effetti degli incendi sulla successione vegetale in foreste temperate carsiche lungo un periodo di quaranta anni
Gli incendi boschivi sono un fenomeno naturale che influenza fortemente i processi dell’ecosistema, tra cui il ciclo del carbonio, il ciclo dei nutrienti, ma anche la struttura della vegetazione e il clima.
Dopo un disturbo di questo tipo le comunità vegetali evolvono secondo una successione secondaria, le cui fasi sono caratterizzate dalla presenza di diverse specie, con diversi tratti funzionali che ne rispecchiano il comportamento. Gli incendi causano una regressione ad ecosistemi più giovanili e alla riduzione della competitività al suolo per le piante spontanee, favorendo l’insorgenza di piante a strategia adattiva ruderale, la maggior parte delle quali sono aliene. Alla fine della successione le comunità vegetali tendono a raggiungere il proprio climax.
Un approccio frequentemente utilizzato per studiare le dinamiche della successione vegetale è quello diacronico basato su cronosequenze che si basa sullo studio della successione considerando siti con caratteristiche simili, ma età diverse.
Con l’aumento delle temperature ed i cambiamenti climatici in atto il fenomeno degli incendi boschivi è sempre maggiore, anche in ecosistemi come le foreste temperate del Carso e studiare la successione vegetale tramite l’utilizzo di una cronosequenza permette di capire in che modo e in quanto tempo le comunità vegetali raggiungono nuovamente la propria stabilità.
L’area di studio è situata in Carso, tra le provincie di Gorizia e Trieste. Questa area presenta un clima temperato, con influenze mediterranee e continentali e ospita diversi tipi di habitat, tra cui: boscaglia carsica, habitat arbustivo e landa carsica.
In questo studio sono stati analizzati i tratti funzionali e gli indici di diversità vegetale di alcune comunità dello strato erbaceo (tutte le specie erbacee, arbustive ed arboree di altezza inferiore a 50 cm) di foreste temperate carsiche che sono state interessate da incendi dagli anni Settanta, circa, fino al 2022.
I risultati hanno dimostrato che nelle fasi iniziali della successione, le comunità sono caratterizzate da specie pioniere con tratti che dimostrano una crescita veloce, come la produzione di un maggior numero di semi, mentre nelle fasi mature ci sono specie con caratteri che rispecchiano un ambiente con più competizione, con una minore richiesta di luce e nutrienti.
È possibile affermare che dopo quaranta anni da un incendio le comunità stanno raggiungendo un nuovo equilibrio e che affinché le foreste raggiungano il proprio climax a seguito di un disturbo è necessario molto tempo.
Dott.ssa Sara Pischedda
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea in Scienze per l’Ambiente e la Natura
Effetti sulla biodiversità e dinamica della vegetazione nel post-incendio del Carso del 2022
L’intensità e la frequenza degli incendi boschivi sono stati alterati dai cambiamenti climatici avvenuti negli ultimi decenni. Ne consegue che gli eventi di incendi forestali stanno manifestando impatti crescenti sugli ecosistemi a livello globale, interagendo spesso in modo sinergico anche con altri cambiamenti globali in atto, come il fenomeno di invasione biologica ad opera di specie vegetali aliene. L’obiettivo di questa tesi è stato quello di analizzare l’impatto dell’incendio avvenuto sul Carso isontino-goriziano nel 2022, focalizzandosi sullo studio della composizione floristica del piano erbaceo nelle aree bruciate. È stato osservato come l’incendio possa aver alterato la struttura delle fitocenosi preesistenti, innescando nuove possibili dinamiche della successione vegetazionale. Lo studio è stato condotto nelle foreste del Carso, un anno dopo il grande incendio che ha interessato l'area. Sono state selezionate 35 parcelle (200 m² ciascuna), distribuite tra diverse classi di gravità dell'incendio, valutate con il differenced normalized burn ratio (dNBR). Questo indice è stato calcolato a partire da immagini satellitari. In ogni parcella è stata quantificata la ricchezza delle specie vegetali vascolari dello strato erbaceo (diversità tassonomica) e la copertura vegetale è stata stimata visivamente. La diversità funzionale è stata valutata considerando sei tratti funzionali estratti da banche dati.
Dott.ssa Elena Scano
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea in Scienze per l’Ambiente e la Natura
Composizione e struttura delle comunità di falene lungo gradienti di habitat nel Sud della Svezia
Le falene svolgono un ruolo fondamentale negli ecosistemi terrestri, agendo come impollinatori, fonti di cibo per numerosi predatori e indicatori della qualità ambientale. Tuttavia, la loro biodiversità e distribuzione sono ancora poco conosciute, in particolare in relazione ai gradienti di habitat e alle caratteristiche ambientali. Questo studio si propone di analizzare la composizione e la struttura delle comunità di falene nella regione della Scania, nel sud della Svezia, esaminando le correlazioni tra la diversità delle specie e la diversità della copertura del suolo.
Il campionamento, condotto tra marzo e aprile 2023, ha utilizzato 183 trappole luminose a LED distribuite in ambienti rappresentativi, tra cui praterie, foreste decidue e aree semi-naturali. In totale, sono stati raccolti 844 esemplari appartenenti a 33 specie e 9 famiglie, con la famiglia Noctuidae che rappresentava il 73% del totale. Le specie più abbondanti, come Orthosia gothica (287 esemplari) e Orthosia cruda (75 esemplari), erano comuni in ambienti boschivi e semiaperti, in linea con la disponibilità di piante ospiti nell’area di studio.
La diversità media locale delle falene, calcolata tramite l'indice Shannon-Wiener, è stata pari a 0.45, con valori massimi di 1.92 registrati in aree più eterogenee. La diversità complessiva regionale è risultata pari a 2.46, coerente con studi analoghi condotti in altre regioni temperate. L’analisi statistica ha mostrato una correlazione positiva e significativa (R = 0.23, p < 0.05) tra la diversità delle falene e la diversità della copertura del suolo, evidenziando il ruolo dell’eterogeneità ambientale nel favorire una maggiore varietà specifica.
Un'analisi di regressione lineare multipla ha inoltre identificato due variabili ambientali – foreste decidue e bordi di strade e ferrovie – come i principali fattori che spiegano il 10.5% della variabilità nella diversità delle falene. Tuttavia, il restante 77% della variabilità è attribuibile ad altri fattori, come il clima, la presenza di predatori e i disturbi antropici.
Questi risultati suggeriscono che la diversità ambientale gioca un ruolo cruciale nel determinare la composizione delle comunità di falene, evidenziando l'importanza di una gestione integrata degli habitat per la conservazione della biodiversità. I metodi impiegati, tra cui l'uso di trappole luminose a LED e applicazioni basate sull’intelligenza artificiale per l'identificazione automatica delle specie, si sono dimostrati efficaci, fornendo un pratico modello replicabile per il monitoraggio ecologico.
Dott. Carlo Mariani, Dott.ssa Yasmine Nouira e Dott. Gianluca Sartin
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
Corso di Laurea Magistrale in Architettura
Manufactured landscapes: Alternative water management in times of global warming
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA Secondo le previsioni future, il riscaldamento globale renderà più complessa la gestione delle risorse idriche, provocando numerosi scenari critici, come siccità, alluvioni e desertificazione, causati da eventi meteorologici sempre più estremi. Una condizione necessaria per il ripristino di un equilibrio ecologico è lo stoccaggio e il riutilizzo delle acque. Il progetto di ricerca mira a guidare le trasformazioni del paesaggio per sviluppare una strategia che supporti una gestione alternativa delle risorse idriche.
METODOLOGIA Dopo aver considerato inizialmente il bacino del Po, come punto di partenza a scala territoriale, il progetto si concentra sui torrenti Baganza e Parma, un caso pilota in cui si individuano sia una concentrazione di criticità sia condizioni spaziali replicabili, soprattutto nella porzione di Italia centro-settentrionale circoscritta tra la sponda destra del Po e la catena appenninica. Partendo dall'analisi delle infrastrutture idriche preesistenti sovrapposte alle caratteristiche geomorfologiche dell'area e alla presenza di nuclei urbani, si determina una strategia a scala di paesaggio che propone possibili sinergie attraverso le fasce spaziali già consolidate.
RISULTATO Gli interventi proposti dimostrano come la riorganizzazione del territorio del Consorzio della Bonifica Parmense rappresenti un modello flessibile che può essere adattato e riproposto su aree con caratteristiche simili apportando miglioramenti concreti in termini di: riduzione del rischio idrogeologico attraverso la prevenzione, la gestione e l'allargamento dell'alveo; aumento della biodiversità grazie alla tutela degli ecosistemi esistenti e alla connessione con nuove eco-centralità proposte dal progetto; ricarica delle falde acquifere nelle aree a maggiore conducibilità idraulica attraverso foreste di infiltrazione; tutela e sostegno delle produzioni agricole attraverso l'implementazione del sistema di laminazione in area golenale in bassa pianura.
Dott.ssa Daniela Glaneo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea in Diritto dell’Ambiente
I nuovi criteri in materia di riciclo della plastica e la tutela dell’ambiente
L’elaborato nasce dalla mia spiccata sensibilità alle questioni che ineriscono la tutela dell’ambiente, oggi più che mai fragile, a causa di tutti i comportamenti antropici che ne stanno minacciando gravemente l’integrità provocando un inquinamento, su tutti i fronti, senza precedenti. L’intento è quello di far prendere coscienza al lettore del problema dato dall’utilizzo, che talvolta sfocia nell’abuso, della plastica; nonché quello di offrire un quadro il più possibile completo sulla legislazione in merito al riciclo di questo materiale.
Dapprima, viene ricostruito il percorso storico che ha portato al concetto di ambiente, tutelato oggi come “bene” in sé e non in una visione puramente antropocentrica. Vengono quindi prese in analisi le fonti nell’ordine: trattati e consuetudini internazionali, fonti comunitarie, fonti nazionali e previsioni costituzionali.
Nel secondo capitolo, dopo aver esposto i problemi che il consumo eccessivo di plastica sta comportando su scala globale, si passano in rassegna le fonti comunitarie che tentano di porre un freno all’inquinamento; tra queste il “Green Deal” e la normativa cosiddetta “SUP” sulla regolamentazione dell’utilizzo della plastica monouso. Vengono poi prese in considerazione le linee guida nazionali per l’attività di riciclo e l’etichettatura obbligatoria degli imballaggi. Nel paragrafo di conclusione al capitolo si mettono in luce alcune debolezze legate al sistema di riciclo.
Il terzo e ultimo capitolo è dedicato, anche con uno sguardo alle soluzioni adottate in merito dagli altri stati, alle forme di contrasto all’obsolescenza programmata del materiale plastico, come il sistema del deposito cauzionale, il riuso e infine l’impiego di nuovi materiali.
Dott. Lorenzo Orzan
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea Magistrale in Ecologia dei Cambiamenti Globali
Testing the relationship between functional and spectral diversity in Friuli Venezia Giulia forests: the potential of trait probability density functions
I cambiamenti climatici e le attività umane stanno causando una rapida perdita di biodiversità a livello globale, con impatti negativi sul funzionamento degli ecosistemi e dei servizi ecosistemici forniti. La diversità funzionale (FD) delle comunità vegetali è particolarmente legata a questi servizi, ed è quindi riconosciuta come una componente fondamentale della biodiversità, per la quale è importante attivare monitoraggi speditivi e su larga scala. La FD è quantificata attraverso la misura dei tratti funzionali, derivanti da intense campagne di campionamento in campo e analisi di laboratorio, rendendo limitata la quantificazione della FD degli ecosistemi a grandi scale spaziali e temporali, specialmente per quelli forestali. Il telerilevamento satellitare può essere uno strumento promettente per monitorare in modo efficiente i cambiamenti a larga scala della FD. In questo studio, ho utilizzato i dati di riflettanza della superficie terrestre prodotti da Sentinel-2 dell'ESA, al fine di: i) testare quali sono i tratti funzionali che possono essere stimati da remoto, e ii) testare la possibilità di stimare la FD nelle foreste montane del Friuli Venezia Giulia (FVG, nord-est d’Italia) da remoto utilizzando un approccio analitico innovativo. L’analisi è stata svolta nei plot forestali indagati durante l’ultimo Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (INFC) grazie al quale abbiamo ottenuto la composizione specifica dei plot. Ad ognuna delle specie presenti sono stati associati i valori di dieci tratti funzionali principalmente ottenuti dal database dei tratti vegetali TRY. Per rispondere al primo obiettivo della Tesi, sono state usate le regressioni parziali dei minimi quadrati, al fine di stimare ogni tratto funzionale (variabile risposta) utilizzando le dieci bande spettrali del satellite Sentinel-2 (Blu, Verde, Rosso, RedEdge1-2-3, NIR, NarrowNIR, SWIR1-2) come variabili predittive. Da questa analisi, l’area fogliare (LA), l’area fogliare specifica (SLA), il contenuto di azoto per area fogliare e per massa secca fogliare (rispettivamente Narea, Nmass), il rapporto carbonio/azoto della foglia (CN) e il potenziale idrico al punto di perdita di turgore (TLP) sono risultati i tratti funzionali che possono essere stimati da remoto con maggiore robustezza (R2 compresi tra 0.30 e 0.52) e sono stati selezionati per calcolare gli indici di FD e testarne la loro relazione con indici di diversità spettrale (SD). Questo studio ha testato un approccio innovativo per stimare gli indici di FD e di SD con lo stesso metodo, rendendoli così comparabili. Le funzioni di densità di probabilità dei tratti funzionali (TPD) sono state stimate a livello di plot per i tratti funzionali delle specie, e per i dati spettrali. Le funzioni TPD sono funzioni di densità di probabilità che riflettono la distribuzione probabilistica dei punti, che saranno specie o pixel, in uno spazio funzionale o spettrale. Sulla base di queste funzioni sono stati calcolati la ricchezza, l’uniformità e la divergenza funzionale e spettrale. Per rispondere al secondo obiettivo della tesi, è stata testata la correlazione tra questi indici tramite il test di correlazione di Spearman. Abbiamo riscontrato una correlazione positiva debole ma significativa (ρ=0.35; valore p < 0.01) tra ricchezza spettrale e la divergenza funzionale, risultato mai finora ottenuto a questa scala spaziale e con un set di tratti funzionali così ampio. Nonostante il potenziale dell’approccio dei TPD combinato con il telerilevamento satellitare, questo studio ne riporta anche alcune criticità. La principale sfida che ci si trova ad affrontare quando l'obiettivo è quello di valutare la biodiversità dallo spazio è la risoluzione spaziale relativamente bassa, ma il potenziale che hanno questi strumenti per capire le risposte degli ecosistemi ai cambiamenti ambientali nello spazio e nel tempo stimolano prospettive future di ricerca in questo ambito.
Dott. Leonardo Serafini
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di Laurea Magistrale in Environmental Engineering
Investigazioni sperimentali su un progetto di restauro di una barina nella laguna di Venezia
Il prezioso e fragile ecosistema della Laguna di Venezia svolge un ruolo cruciale nel mitigare gli impatti delle attività umane, incluso il cambiamento climatico, che rappresenta una minaccia significativa per Venezia stessa. Le barene, componente chiave di questo ecosistema, sono significativamente diminuite negli ultimi secoli. Questa tesi mira a contribuire agli sforzi di ricerca in corso per la protezione e restaurazione della laguna, focalizzandosi sul sito pilota della barena artificiale Le Sorelle-B.
Dopo una panoramica sui servizi ecosistemici e sui fattori di compromissione delle barene, lo studio si concentra sul monitoraggio dell’evoluzione temporale della barena in questione e sulla modellazione numerica delle attività di ripascimento, dell'auto-compattazione dei sedimenti e della subsidenza conseguente che hanno modificato significativamente la morfologia della barena. Tecniche di monitoraggio innovative sviluppate dall'Università di Padova in collaborazione con l'ONG We are Here Venice ETS, in particolare le stazioni Nourishment Elevation Change (NEC), sono state utilizzate per la validazione e calibrazione del modello numerico.
La ricerca utilizza simulatore NATSUB3D, integrando dati geologici, geomeccanici e topografici estensivi, per investigare e modellare il comportamento della barena nel tempo. Uno degli obiettivi principali di questo studio è valutare la capacità del modello di prevedere l'evoluzione a medio e lungo termine di questa formazione terrestre dopo la sua costruzione. Questa capacità predittiva potrebbe risultare fondamentale per ottimizzare i futuri progetti di restaurazione nella Laguna di Venezia e in ambienti costieri simili. Si è dimostrato infatti che l'evoluzione a medio termine dipende fortemente dal comportamento geomeccanico degli strati formatisi durante l’Olocene e dai sedimenti depositati durante i ripascimenti.
Dott. Filippo Trento
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Corso di Laurea in Scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura
Analisi di alcuni servizi ecosistemici del parco del Farneto di Trieste
Abstract I benefici offerti dalle aree naturali all’essere umano sono molteplici: miglioramento della qualità dell’aria, mitigazione dell’inquinamento acustico, regolazione dei parametri ambientali (umidità, temperatura), ripristino psicologico, possibilità di svago e molti altri. Questi benefici sono definiti come “servizi ecosistemici”, ovvero, tutti i contributi diretti o indiretti provenienti da un ecosistema che favoriscono il benessere umano. I grandi parchi urbani sono gli unici luoghi all’interno delle città in cui le persone possono usufruire di tali benefici e saperli definire e quantificare è un passo fondamentale per preservarli. L’obiettivo di questo lavoro è stato analizzare alcuni servizi ecosistemici del parco del Farneto di Trieste. Questo parco è il più grande di Trieste (100 ettari) e studiare qual è il suo impatto nell’ambito cittadino rappresenta un punto di partenza per capire quanto i parchi urbani siano importanti nel contesto urbano. Per farlo sono stati eseguiti due studi per due classi di servizi ecosistemici differenti, i servizi regolatori e i servizi culturali. Per i servizi regolatori è stato scelto di analizzare la quantità di carbonio fissato dalla vegetazione del comune di Trieste, dai parchi pubblici cittadini e dal parco del Farneto. Per fare questo è stato usato il software di modellazione inVEST. Dalle analisi è chiaro che il ruolo del bosco Farneto nell’assorbire e fissare il carbonio è di notevole rilevanza per tutto il territorio della città, questo parco assorbe e fissa il 58% del carbonio organico di tutti i parchi pubblici di Trieste. Tramite dei questionari sono stati analizzati i servizi ecosistemici culturali del parco. Dai questionari è stato rilevato che il bosco viene frequentato principalmente per i suoi servizi ricreativi (godersi il tempo libero, stare in contatto con la natura, ripristino delle condizioni psico-fisiche) e che il parco viene frequentato quotidianamente o quasi-quotidianamente dai residenti dei rioni limitrofi. Le attività svolte principalmente dai visitatori sono state le passeggiate con i cani e la camminata. Tramite lo studio svolto è stato dimostrata l’importanza del parco del Farneto all’interno della città di Trieste. Dalle analisi del carbonio sequestrato è evidente il ruolo centrale del parco nella regolazione della quantità di CO2 nell’aria e dai risultati dei questionari è chiaro come il bosco sia luogo di svago e ristoro per i cittadini residenti vicino al parco. Si è inoltre messa in evidenza la necessità, per gli studi futuri, di sviluppare metodi quantitativi e standardizzati utili a valutare in modo efficace, i servizi ecosistemici culturali, affinché anche essi possano essere facilmente inclusi all’interno del calcolo del Capitale Naturale legato alla foresta urbana.
Dott. Alessandro Serraglio
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Corso di Laurea in Ingegneria Biomedica
Sviluppo di un sensore elettrochimico per la rilevazione di perfluorottanosulfonato (PFOS), acido perfluoroottanoico (PFOA) ed acido perfluorobutanoico (PFBA) in soluzioni acquose
La produzione di questo elaborato è frutto del lavoro svolto quest’anno dall’Uni Padua IT IGEM Team, un gruppo di 16 studenti provenienti non solo dalla facolt`a di Ingegneria Biomedica, ma anche da Biotecnologie, Biologia e Biologia Molecolare, ed è parte della più ampia organizzazione studentesca Mutans. Questo gruppo si è posto l’obiettivo di partecipare alla competizione iGEM (International Genetically Engineered Machine) per il 2024, una competizione studentesca di calibro internazionale che mira a promuovere lo sviluppo della biologia sintetica. Lo scorso anno hanno preso parte alla competizione 393 team, per un totale di 8829 partecipanti provenienti da 44 nazioni differenti. Tra questi, vi è stato anche il primo team proveniente dall’Universit`a di Padova, che ha conseguito ottimi risultati. La competizione prevede l’affrontare, sfruttando i mezzi offerti dalla biologia sintetica, alcune delle problematiche della vita quotidiana. Quella scelta dal nostro team è l’inquinamento da PFAS (sostanze polifluoroalchiliche), un problema particolarmente grave nel nostro territorio, di grande importanza e complessità. I composti per- e polifluoroalchilici (PFAS) rappresentano una classe di contaminanti ambientali di crescente preoccupazione a causa della loro persistenza, bioaccumulazione e potenziali effetti nocivi sulla salute umana. La rilevazione precisa e sensibile di questi composti è fondamentale per monitorare e mitigare la loro diffusione nell’ambiente. Tuttavia, le tecniche attuali di rilevazione, basate principalmente su metodi cromatografici e spettrometrici, presentano limiti significativi in termini di complessità, costi e tempi di analisi. Questo lavoro di tesi esplora tali limiti e propone l’impiego di misurazioni elettrochimiche come soluzione innovativa. Le misurazioni elettrochimiche offrono vantaggi potenziali quali una buona sensibilità, tempi di risposta più rapidi e costi operativi ridotti.
Dott.ssa Francesca Corradini
UNIVERSITÀ CA' FOSCARI VENEZIA
Master’s Degree in Environmental Humanities
A sonic ethnography. A sound journey in Val di Rabbi Stelvio-Trentino National Park
Questa tesi esplora il paesaggio sonoro multispecie della Val di Rabbi nel Parco Nazionale dello Stelvio-Trentino. Si tratta di una tesi in antropologia del suono con approcci interdisciplinari dalla disciplina dell’ecoacustica. Ho condotto uno studio etnografico sul paesaggio sonoro alpino del Parco Nazionale dello Stelvio ispirandomi agli antropologi Steven Feld, Tim Ingold e Sarah Pink i quali hanno sottolineato l’importanza del suono nella ricerca etnografica. La metodologia etnografica ha combinato attività di osservazione partecipante, appunti sul campo, interviste semi-strutturate, fotografia in bianco e nero nonchè registrazioni sonore sul campo con registratori Zoom H2n, Zoom H5 e Audiomoth al fine di indagare il paesaggio sonoro e la percezione umana dei suoni nei contesti alpini. Il suono nel parco viene utilizzato in attività specifiche; è invece prevalente l’utilizzo della vista in particolare nelle attività di monitoraggio, divulgazione, educazione ambientale e progetti di citizen science. In questa tesi chiedo a diverse persone che lavorano nel parco se un modo specifico di monitorare il suono può essere inserito nei programmi di ricerca del parco e se il suono può essere incorporato nelle attività di educazione ambientale implementando passeggiate sonore e proponendo la creazione di una mappa sonora partecipativa. Come dimostrato nella tesi entrambi i metodi possono essere implementati presentando una serie di effetti positivi. Il monitoraggio sonoro automatico e l’incorporazione di iniziative di ascolto attraverso le passeggiate sonore e la creazione di una mappa sonora possono aiutare a monitorare la natura in modo più accurato e a mappare sistematicamente la biodiversità migliorando l’esperienza umana e non umana nel parco e preservando un sistema di comunicazione sonora, migliorare l’ascolto profondo, la consapevolezza acustica, la conoscenza delle specie e l’atteggiamento di conservazione dei visitatori contribuendo al contempo alla conservazione e all’archiviazione delle diversità bioculturali del parco.
Dott.ssa Asia Ouargziz
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
La tutela penale dell’ambiente in Italia. Tra istanze europee, innovazioni legislative e supplenza giudiziaria
Il presente elaborato si pone come obiettivo quello di indagare, in un'ottica evolutiva, la configurazione attuale del sistema di tutela penale dell’ambiente nel nostro ordinamento giuridico alla luce degli interventi legislativi e degli apporti giurisprudenziali più significativi, rilevandone punti di forza e profili di criticità. La tutela giuridica dell’ambiente rappresenta oggi un tema particolarmente fecondo per la riflessione scientifica, nonché uno dei temi di maggiore attualità e vivo interesse. Invero, la proliferazione di complessi fenomeni e processi industriali incuranti delle delicate implicazioni ambientali ha suscitato nella società l’affermarsi di un crescente grado di attenzione e di sensibilizzazione verso l’ambiente. In tale contesto si è ravvisata dunque la necessità di ricorrere allo strumento penale come extrema ratio per apprestare una sua tutela più efficace ed incisiva. L’orizzonte tematico in cui si dipana la tutela dell’ambiente riveste un indubbio fascino per i penalisti per la rilevanza del bene giuridico tutelato, per la spiccata trasversalità della materia e, non da ultimo, per l'intreccio di disposizioni multilivello che governano il settore penale di riferimento. Nell’ambito di questa disamina si è voluto partire proprio dalla rilevanza costituzionale dell’ambiente allo scopo di metterne in risalto la portata, ancor prima di volgere l’attenzione al tema del bene giuridico ambiente e agli aspetti relativi al principio di offensività, alle tecniche di descrizione della modalità di offesa, nonché ai profili strutturali che caratterizzano l'illecito penale in materia ambientale. Parallelamente all’intervento penale del legislatore italiano, sull’attuale assetto normativo si registra altresì l’incidenza significativa delle fonti normative europee. Infatti, il diritto dell’ambiente costituisce la materia rispetto alla quale il processo di integrazione europea ha maggiormente plasmato il diritto penale. Inoltre, il tradizionale sistema penale a salvaguardia dell'ecosistema, incentrato su reati di natura contravvenzionale e sul modello di anticipazione della rilevanza penale della condotta, è stato innovato – seppur con ampie zone d’ombra – dalla legge n. 68/2015, che è intervenuta in materia di “ecoreati”, prevedendo fattispecie di tipo delittuoso imperniate direttamente sull’offesa all’ambiente. Infine, si prosegue l’analisi con un focus specifico sul ruolo creativo della giurisprudenza nel processo di tipizzazione della fattispecie di disastro ambientale – indubbiamente debitrice delle indicazioni e sollecitazioni provenienti dal c.d. diritto vivente – a partire dal delitto di disastro innominato ex art. 434 del codice penale.